L’uomo che vide l’infinito, la vera storia di Srinivasa Ramanujan il matematico ispirato da una Dea

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di Enrico Baccarini© – Srinivasa Ramanujan nacque nel 1887, in un piccolo villaggio del Tamil nell’India del sud. Fin dalla sua infanzia era un normale ragazzo con un rendimento medio negli studi ma all’età di 18 anni, nel 1905, lasciò il College di Kumbakonam che allora frequentava. Trasferitosi a Madras fece un secondo tentativo per frequentare l’università ma nonostante la sua eccellenza in matematica,  in tutte le altre materie aveva scarsissimi rendimenti. Imperterrito, perseguì da autodidatta un’originalissima ricerca matematica usando notazioni e metodi propri. Nella sua riscoperta  reinventò la ruota, arrivando cioè a risultati già noti ma attraverso sistemi alternativi ed incrociando, talvolta, in idee e formule assai eterodosse. Nel 1912, quando aveva già pubblicato un articolo sul “Journal of the Indian Mathematical Society” si assicurò un posto di lavoro come impiegato.

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S. Ramanujan, 1887 – 1920

Non vi è dubbio che Ramanujan avesse una misteriosa “linea diretta” con complesse e profonde verità matematiche a cui attingeva in modo totalmente diverso da qualsiasi altro essere umano. Questo dono lo spinse coraggiosamente ad inviare a Cambridge a Godfrey Harold Hardy , così come ad altri, alcuni dei suoi stupefacenti risultati, ottenuti da autodidatta.


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G. H. Hardy, 1877 – 1947

Nel tempo, questo condusse a un viaggio proibito per un bramino come lui, in Inghilterra. Dopo aver trascorso cinque difficili anni di lavoro con l’ateo Hardy e il suo collaboratore J. E. Littlewood, in un ambiente culturale poco accogliente per le sue abitudini vegetariane, Ramanujan si ammalò. Nel 1919 tornò dalla moglie che aveva lasciato in India e morì un anno dopo, all’età di 32 anni, non prima di aver però scritto numerosi taccuini con la sua scrittura divinamente ispirata.

Un’equazione non ha alcun significato per me, se non esprime un pensiero di Dio“, diceva. Dopo quasi 100 anni, recentemente, alcuni dei misteri di quei taccuini sono stati finalmente risolti grazie agli sforzi del professor Ken Ono, della Emory University.

Uno degli aneddoti matematici più famosi, è la fascinazione di Ramanujan per il numero 1729. Ciò che è emerso solo recentemente, proprio grazie alle ricerche di Ono in India, è la ragione per cui Ramanujan sapeva già che 1729 può essere scritto in due modi diversi come somma di due cubi (1.729 = 13 + 123 = 103 + 93): scoprì questo fatto mentre era alla ricerca di “soluzioni approssimate” per l’equazione x3 + y3 = Z3, che non può essere risolta con numeri interi.

Nel valutare i risultati di Ramanujan, che in un primo momento non avevano alcuna giustificazione o dimostrazione in senso tradizionale, Hardy disse: “Non avevo mai visto niente del genere fino ad allora. Già a prima vista, appariva evidente che potevano essere stati scritti solo da un matematico di classe eccelsa. Dovevano per forza essere validi, perché in caso contrario nessuno avrebbe avuto la fantasia necessaria per inventarli”.




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Alcuni quaderni di appunti di Ramanujan

Da dove scaturivano le eccezionali intuizioni di Rananujan? Secondo Ono, “Ramanujan sosteneva che molte delle sue formule letteralmente gli venivano presentate durante il sonno dalla dea indù NamagiriCertamente, erano il prodotto di un alto livello di creatività. In un senso più ampio, egli era fiducioso di poter affrontare enormi misteri solo con le proprie forze. I suoi sogni lo portavano su diversi livelli“. Per Ramanujan Namagiri era la spiegazione dei lampi d’illuminazione che innescavano il suo flusso ininterrotto di scoperte matematiche.

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La dea Namagiri

Un compagno di scuola ricorderà in seguito di averlo visto spesso alzarsi a metà della notte per scrivere le formule che aveva sognato. Lui stesso precisò che l’ispirazione onirica gli veniva dalla dea Namagiri, o che il dio Narasimha gli mostrava nel sonno dei rotoli, dei quali al risveglio egli riusciva a trascrivere soltanto una piccola parte. Tra la miriade di divinità, Namagiri era quella cara alla sua famiglia. Era Namagiri, secondo lui, la “musa” che lo ispirava e che gli appariva in sogno svelandogli i segreti dei numeri. Nonostante l’appartenenza alla casta bramhinica, le sue condizioni erano piuttosto misere, Ramanujan avrebbe sofferto spesso la fame. Le sue abilità matematiche si svilupparono fin dalla scuola, in parallelo a un’ipersensibilità quasi patologica verso un mancato riconoscimento, un insuccesso o qualsiasi cosa di cui vergognarsi. Ad esempio, scoprire che delle relazioni trigonometriche che aveva ricavato erano state trovate un secolo e mezzo prima nientemeno che da Leonhard Euler, fu per lui una mortificazione tale che quando se ne accorse nascose i calcoli nel tetto di paglia. Con quell’ingenuità che non avrebbe mai perso, e che avrebbe incantato i matematici occidentali, non riusciva a rendersi conto di quanto fosse eccezionale riottenere da solo un risultato del grande Euler. 

 

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Il film omonimo del 2015 che racconta la sua storia.

Secondo Ono “In Ramanujan, vive l’archetipo di un talento incomprensibile che supera le circostanze avverse. La sua storia ha un che di mitologico, eppure è un messaggio estremamente vitale per la nostra epoca. Ci si potrebbe chiedere: forse Ramanujan è la punta di un iceberg, solo un esempio dei tanti geni spinti dall’automotivazione che lavorano nell’isolamento? Egli è importante oggi perché rappresenta il potenziale inutilizzato in cui dobbiamo credere per poter avanzare nella scienza“.

Per approfondire l’argomento si veda – L’enigma dei numeri primi, Marcus Du Sautoy, 2005, BUR Saggi.



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