Giorgio Galli Politica e New Age: William Blake & Internet

Riemergono oggi antiche culture di cui è bene avere presenti i limiti ma alle quali è opportuno riconoscere alcuni aspetti positivi: una migliore conoscenza di se stessi e delle proprie potenzialità individuali.


Lo stimolo per queste riflessioni mi è stato offerto dal saggio di Mauro Ceruti , Evoluzione senza fondamenti (1995) , le cui valutazioni convergono con mie recenti considerazioni sul rapporto tra problemi della scienza politica (nel quadro delle questioni epistemologiche affrontate nel saggio) e crisi della democrazia rappresentativa. Ho trattato il tema in tre scritti usciti nel 1996:Alba Magica. Dalle elezioni italiane al New Age della scienza politica (con Giuliano Boaretto); La sinistra italiana; e Il rinnovamento culturale della Sinistra, nel volume collettaneo a cura di David Milibaud, Reinventiamo la sinistra. La mia tesi di fondo è che, per ampliare le prospettive della politologia e al tempo stesso per individuare le possibili soluzioni della crisi della democrazia rappresentativa, sia necessaria una rivisitazione del passato, unita alla prospettazione del futuro.

  • Per quanto concerne quest’ultimo punto, occorre prendere in considerazione le occasioni offerte da quella che viene definita “democrazia elettronica” (o anche agorà informatica). Ma per evitare pericolose illusioni tecnologiche (conseguenza negativa dell’etnocentrismo culturale che Ceruti critica) è necessario unire a questa prospettazione il recupero di quanto può essere valido nelle culture alternative sacrificate dalla rivoluzione scientifica. Questo recupero può aiutarci a capire quello che appare il paradosso dell’ultimo decennio del secolo e del millennio: quello per il quale la democrazia rappresentativa risulta in crisi, sul piano concettuale come su quello della partecipazione dei cittadini, proprio dopo aver vinto le due grandi sfide, competitive nei suoi confronti, del XX secolo ( ” il secolo delle ideologie”, secondo la definizione del maestro della politologia germanica, Karl Friederich Bracher ) .
  • Infatti nella prima metà del secolo le liberaldemocrazie hanno sconfitto, alla prova delle armi, i fascismi storici (che, nella loro concezione, proprio a questa prova si erano affidati) e, nella seconda metà del secolo, hanno battuto il cosiddetto “socialismo reale”, sconfitto a sua volta (e dopo essersi alleato con le stesse liberaldemocrazie contro i fascismi) proprio su quel piano dell’economia che, in base all’originaria concezione marxista, aveva privilegiato come terreno di confronto col capitalismo.
  • Vengo, dunque, alle conclusioni di Ceruti dalle quali partire: “La critica all’etnocentrismo propone una nuova interpretazione del valore conoscitivo dei miti, dei riti, delle religioni, delle narrazioni, delle spiritualità: in breve, di tutto quanto la ricostruzione della storia delle idee informata dalla visione scientifica del mondo ha cercato di definire come superato e come confinato a sfere sempre più ristrette dell’esistenza umana. Fra i miti più diffusi nelle varie aree del mondo, un posto significativo spetta a quelli che potremmo definire miti di rimpiazzamento […] Sono miti della fine del mondo, ma, nel contempo, sono anche miti dell’origine di un mondo nuovo. I miti di rimpiazzamento presuppongono la conoscenza del fenomeno astronomico noto come precessione degli equinozi […] . Fra i tanti movimenti di cui il moto della Terra si compone vi è un moto di oscillazione periodica dell’asse attorno al quale il pianeta ruota su se stesso. Proprio perche il moto è periodico, il ciclo si chiude: ogni 25.920 anni, l’orientamento dell’asse terrestre torna a essere identico a quello iniziale” (pp. 71-72).
  • Dopo aver derivato, da questi dati, i “numeri sacri delle varie civiltà del mondo antico”, si giunge a questa valutazione: “I popoli di tutte le aree del mondo hanno sviluppato proprie tradizioni astronomiche che non sono inquadrabili nel primo o nel dopo della successione della civiltà occidentale in questo o in quello stadio di sviluppo della nostra scienza. Sono piuttosto altrove: in mondi talvolta convergenti, talvolta paralleli, ma per nulla omologabili alle nostre idee di rigore e di astrazione” (pp.74-75).
  • Per cui “non vi è mai distruzione e ricostruzione totale del sapere e delle conoscenze. Ciò che si delinea è piuttosto un continuo ‘ bricolage’ tra schemi, temi, valori, paradigmi di diversa origine, di diversa portata, di diversa natura” (pp. 77-78).
  • Invece “molti scienziati e filosofi della scienza hanno creduto di detenere una forma di conoscenza privilegiata per qualche diritto atemporale e definitivo […] . Hanno cercato di confinare o di rendere vassalle le altre forme di conoscenza e soprattutto le profonde tradizioni filosofiche, cosmologiche, spirituali, religiose dei popoli sia occidentali che orientali” (pp. 79-80).
  • Condivido questa impostazione. Anche se non mi sento di rispondere alla domanda finale “Sarà possibile l’emergere di una civiltà planetaria?” (p. 86), accetto la premessa che la sua possibilità “penda a favore della pluralità piuttosto che dell’omogeneità, a favore della creazione piuttosto che a favore dell’eliminazione di ciò che è considerato ‘ superato’ ” (ivi). E tra il “non superato” colloco le culture alternative di cui ho detto.
  • Sono convinto possa valere per la scienza politica quanto viene detto per la scienza in generale: “L’illusione che fosse un tribunale privilegiato dal quale giudicare le grandi questioni dell’esistenza umana si è rivelata mortifera e letale […] . La fine di queste illusioni e di queste ambizioni è una condizione per ridare energia, libertà e creatività all’esistenza umana. È una condizione per ridare energia, libertà e creatività alle singole forme della conoscenza umana, a cominciare dalla scienza stessa. Le scienze occidentali di fine millennio hanno iniziato dialoghi fecondi con le altre tradizioni filosofiche e spirituali” (p. 82). Se siamo forse, metaforicamente, alla vigilia di un “Grande anno” platonico, che coglie “il ritmo macroscopico dell’universo conosciuto” (p. 74), e staccandoci invece dall’ultimo Platone, la cui repubblica oligarchica dei custodi potrebbe essere il futuro negativo della democrazia rappresentativa (cfr. Robert Dahl), ci si presenta l’occasione di ampliare l’orizzonte della scienza politica. Non si rinuncia a nulla della razionalità occidentale, ma anzi la si aggiorna e la si completa, se si adotta una nuova e più adeguata interpretazione di quella che è stata la grande rivoluzione culturale e scientifica del XVII secolo. Essa può essere sintetizzata nel nome di Newton, principale elaboratore delle leggi della fisica che ci hanno dato una visione del mondo valida sino alla successiva rivoluzione quanto-probabilistica del XX secolo, ma anche direttore della zecca di Inghilterra, deputato whig al parlamento, astrologo, impegnato in esperimenti alchemici.
  • Tra il XV e il XVII secolo, tra il Rinascimento e l’Illuminismo, non si è, tuttavia, combattuta una battaglia della scienza contro la superstizione, della razionalità contro l’irrazionale.
  • È accaduto, invece, che in una temperie culturale molto complessa, un approccio autoaffermatosi come “scientifico”, non solo per i progressi ottenuti ma anche con pratiche duramente repressive, ha ridotto al silenzio o emarginato altri approcci culturali, la cui storia e i cui valori vanno reinterpretati con altri criteri che non siano la logica dei vincitori. Questa reinterpretazione tiene conto del bilancio complessivamente positivo del processo che si è evoluto attraverso la rivoluzione industriale e lo stato di diritto: nell’area investita da questi fenomeni (l’Europa centro-occidentale, l’America settentrionale di lingua inglese, l’Australia e la Nuova Zelanda), le condizioni materiali e le garanzie di vita associata sono migliorate, in tre secoli, in una misura nettamente superiore che in ogni altro periodo della storia umana conosciuta. Dal punto di vista propriamente politico, la rivoluzione contrattualistica (col pensiero di Hobbes, di Locke, poi di Montesquieu; e con la pratica del potere legislativo del parlamento, a partire da quello inglese) ha stabilito il principio del potere basato sul consenso, per la prima volta dopo l’esaurirsi della democrazia assembleare delle polis dell’Ellade e della Roma repubblicana. Per quasi due millenni il potere si era basato, invece che sul consenso, sulla pura forza delle armi oppure sulla non verificabile pretesa di una investitura divina (per papi, re, imperatori).
  • Dal XVII secolo in poi, proprio basandosi sul principio basilare della rivoluzione contrattualista il potere è venuto fondandosi su un consenso sempre più ampio, attraverso l’estensione del suffragio, sino a quello detto “universale” (la popolazione adulta sopra i diciotto anni), facendo del diritto di voto l’asse portante della democrazia rappresentativa. Ma, alla fine del secolo e del millennio, le voci negative di questo bilancio complessivamente positivo si vanno evidenziando con chiarezza sempre maggiore.
  • L’utilizzazione più razionale delle risorse naturali, che ha reso possibile un costante miglioramento del livello di vita nelle aree del pianeta prima citate, si è trasformata in un saccheggio incontrollato della stessa natura, che compromette la vivibilità sulla Terra (“Gaia”, secondo una interpretazione che ne fa un unico organismo vivente, spezzando la dicotomia umanità-natura). Le conseguenze di questo saccheggio sono evidenti, al di là delle enfatizzazioni dei movimenti ecologisti e anche senza entrare nel merito di questioni controverse quali l’effetto serra e il buco nell’ozono. Si è inoltre determinata una squilibrata allocazione delle risorse, in conseguenza della quale un quinto della popolazione del pianeta utilizza l’ottanta per cento delle risorse, determinando crescenti tensioni nelle aree arretrate del globo. Negli stessi paesi avanzati, l’area della povertà ha cessato di ridursi: la messa in discussione del welfare state è oggi la caratteristica fondamentale di tutte le democrazie rappresentative e aggiunge un nuovo e forse determinante fattore alla loro crisi, nei termini descritti da Robert Dahl. La partecipazione al voto è ovunque in declino, in particolare in quelle nazioni che sono state storicamente la culla della democrazia del consenso (Svizzera, Inghilterra, Stati Uniti), mentre la sua estensione alle nazioni dell’ex impero sovietico si è rivelata un’illusione, particolarmente in una Russia che ha sostituito l’economia centralizzata non già con l’auspicato e pronosticato “libero mercato”, ma con un sistema di capitalismo selvaggio controllato da consorterie criminali.
  • È a questo punto che propongo un salto culturale che prende lo spunto da un’affermazione del matematico inglese Jacon Bronowski, che vede la storia della conoscenza come una continua crescita di connessioni e di collegamenti: l’immaginazione consiste nel prendere due parti dell’universo (o pluriverso?) che non erano mai state messe insieme, ponendone in luce il rapporto.
  • Quella che propongo è la relazione, che la scienza politica potrebbe prendere in considerazione, tra la diminuzione del numero di coloro che votano nelle società post-industriali (rette a democrazia rappresentativa) e l’aumento del numero di coloro che consultano normalmente i cosiddetti “operatori dell’occulto” (veggenti, cartomanti, astrologi, interpreti di “spiriti-guida”, contattisti di misteriose “entità”, “maghi” e “guru” delle più varie e dubbie estrazioni).
  • I due indici – quello in caduta e quello in crescita – possono essere interpretati come convergenti manifestazioni di una tendenza al cosiddetto “irrazionale” : una spinta minore ad atteggiamenti concreti (il voto in difesa dei propri interessi, dei propri diritti, dei propri valori); e una spinta maggiore verso soluzioni illusorie (in Italia, circa un quarto della popolazione adulta con diritto di voto – quarantanove milioni di persone – consulta, a pagamento, almeno una volta all’anno un “operatore dell’occulto”).
  • Si può dare un’ interpretazione diversa: da un lato, politologi anche su posizioni differenti, da Robert Dahl a Giovanni Sartori, ritengono che i cittadini facciano sempre più fatica a esprimere un voto informato e meditato sui molteplici problemi di una società complessa; dall’altro lato, coloro che si rivolgono agli “operatori dell’occulto” (come mettono in luce ricerche promosse anche dalla Chiesa cattolica), non sono più per la maggioranza persone a basso livello di reddito e di istruzione inferiore, eredi di antiche “superstizioni” (per lo più contadine), ma al contrario in misura maggioritaria e crescente sono persone ad alto livello di reddito e di istruzione superiore (sino alla laurea): cioè i ceti ” forti ” della società post-industriale.
  • Questa, dunque, l’interpretazione alternativa a quella di un diffondersi dell’irrazionalità: non riemergono vecchie “superstizioni”, bensì antiche culture (da quella astrologica a quella ermetico-alchemica), delle quali occorre avere presenti i limiti ma alle quali è opportuno riconoscere una dignità intellettuale e qualche aspetto positivo, quali una migliore conoscenza di se stessi e delle proprie potenzialità individuali.
  • È lo stesso orientamento che porta alla crescente diffusione della “meditazione” e di discipline delle varie scuole di provenienza orientale e che è in contrasto con la prevalente opinione della scienza ufficiale, secondo la quale il ricorso passivo agli “operatori dell’occulto” sarebbe indice di subalternità e di dipendenza (lo schema interpretativo di Adorno nel famoso saggio Stelle su misura, con riferimento specifico all’astrologia; per una diversa valutazione rimando a una ricerca sui lettori di “Astra” : Noi e le stelle , di G. Galli e R. Stauder, con la collaborazione di C. Canta).
  • Il riemergere delle culture esoteriche presenta, comunque, aspetti diversi e in parte contraddittori: occorre tenere conto di un livello di massa e di un livello di élite, a due stadi: al primo livello, decine di milioni di persone in Europa si rivolgono a “operatori dell’occulto”; altrettanto avviene negli Stati Uniti, dove il fenomeno della New Age, dell’Età dell’Acquario, ha assunto aspetti significativi sotto il profilo culturale ma è anche fortemente caratterizzato dalla commercializzazione e dal consumismo. Per queste decine di milioni di persone, sulle due rive dell’Atlantico, le culture alternative possono essere una modalità di deresponsabilizzazione, un affidarsi al fatto o alle decisioni altrui (il citato schema adorniano); ma queste stesse culture possono essere uno sprone per un tentativo di realizzazione della personalità, fuori dei canoni della routine e del pragmatismo, un impegno allo sviluppo del potenziale umano inutilizzato ma di cui ognuno potrebbe disporre.
  • Su questo occorre puntare, dal punto di vista della scienza politica e di fronte ai problemi della democrazia rappresentativa, per consolidare modalità razionali di approccio con la realtà ma ampliandone gli orizzonti e mettendo in guardia un vasto pubblico dal rischio delle manipolazioni ( forse quattro quinti degli “operatori dell’occulto” non sono affidabili) e dalla tentazione della deresponsabilizzazione, sollecitando invece la crescita delle potenzialità personali.
  • Per quanto riguarda i due strati di élite, si tratta per la scienza politica, da un lato, di prestare attenzione alle correnti di pensiero delle discipline classiche più attente alla reinterpretazione della rivoluzione scientifica; e, dall’altro lato, di distinguere tra gli stessi “operatori dell’occulto”. Sotto il primo profilo, vanno dunque tenute presenti le scuole degli “autori ormai classici” citati da Ceruti (Graves, Dumezil, Campbell, Kerényi, Detienne, Vernant , p. 70), ai quali possono essere aggiunti gli altrettanto classici storici inglesi (Hill, Webster, Yates), precursori di indirizzi sulla cui continuità la scienza politica deve puntare.
  • Il secondo strato da prendere in considerazione è quello degli stessi “operatori dell’occulto”. Il loro numero è rilevante. In Italia, quelli ufficialmente registrati sono una dozzina di migliaia, ma quelli realmente attivi, secondo alcune ricerche, si avvicinerebbero ai centomila. Si tratta, come si è detto, per circa l’ottanta per cento di manipolatori, che sfruttano la credulità di chi si rivolge a loro e la cui influenza è, quindi, estremamente negativa. Ma per il rimanente venti per cento si compone di operatori culturali corretti e di buon livello (il cui lavoro presenta molte analogie con quello degli psicanalisti), con influenza culturale crescente, soprattutto in direzione del potenziamento della personalità di chi si rivolge a loro.
  • Il superamento degli orizzonti attuali della scienza politica potrebbe, con queste premesse, essere meglio definito in un quadro di mutamenti in atto sul piano propriamente politico, tra i quali le citate difficoltà delle democrazie rappresentative.
  • Le culture alternative riemergono. Studiosi di prestigio ne reinterpretano l’approccio globale e taluni aspetti positivi delle loro formulazioni. L’alchimia di Newtonnon consisteva nell’astrusa ricerca della pietra filosofale o dell’elisir di lunga vita ma nella ricerca di un possibile rapporto tra macrocosmo e microcosmo, utile ad arricchire la conoscenza umana. L’astrologia praticata da Galileo e da Keplero andava nella stessa direzione; nel frattempo essa si è evoluta, grazie a un sistema simbolico molto più articolato, che ne ha favorito la sorprendente rinascita nel XX secolo. Anche telepatia e precognizioni sono oggetto di studio.
  • Decine di milioni di persone sono coinvolte da questi interessi, che influenzano la loro vita. Anche se raramente lo ammettono e anche se talvolta fingono di riderne, personalità politiche e anche imprenditori consultano sempre più frequentemente, prima di prendere importanti decisioni, “operatori dell’occulto”, anche se l’ottanta per cento di essi risulta pericolosamente inaffidabile.
  • Gli aspetti negativi di queste tendenze sono evidenti e proprio la concomitanza delle difficoltà delle democrazie rappresentative e della diffusione di un’ irrazionale credulità di massa potrebbe costituire la premessa di pericolose involuzioni. Il modo migliore per fronteggiarle, a livello di scienza politica, può consistere nell’assumere una coraggiosa iniziativa culturale: riconoscere dignità alle culture alternative che sono state sacrificate dalla rivoluzione scientifica, anche se si ritiene che abbiano dovuto esserlo in una situazione storica data e per consentire gli sviluppi positivi che sono stati indicati.
  • Questa iniziativa potrebbe essere assunta dagli scienziati politici in collaborazione con gli studiosi che quelle culture stanno oggi reinterpretando e con la minoranza degli operatori che, correttamente, tentano di ridare vitalità ad antiche discipline, che, anche in Occidente, hanno accompagnato la storia umana, dagli albori dei tempi conosciuti sino alla fine del secondo millennio.
  • I loro valori risultano confermati dal fatto di aver saputo resistere e di essere in ripresa, anche dopo le sconfitte subite da parte della stessa rivoluzione scientifica e dopo le conquiste da questa realizzate. Tutto questo benché siano state strettamente intrecciate a essa e siano state represse con procedure analoghe a quelle dell’Inquisizione contro Galileo, procedure che indussero Cartesio a negare ogni interesse per i Rosa-Croce , espressione della cultura ermetico-alchemica distrutta in Germania e in Boemia durante la guerra dei Trent’anni (assume valenza simbolica la morte dell’autorevole studioso e alchimistaMichael Meier, ucciso a Magdeburgo messa a ferro e a fuoco, come le grandi biblioteche di quella cultura, a Praga e a Heidelberg): quegli stessi Rosa-Croce minacciati di essere mandati al rogo dai gesuiti nella Francia di Richelieu.
  • Come detto all’inizio, credo che solo questa rivisitazione del passato possa consentire di utilizzare per il futuro, in termini di scienza politica, la tecnologia elettronica e informatica. Essa potrebbe essere già attualmente disponibile per migliorare il funzionamento della democrazia rappresentativa. Ma le classi politiche attuali non appaiono disponibili ad adottare su larga scala metodologie che consentirebbero, al tempo stesso, una migliore informazione dei cittadini e un più stretto controllo del potere.
  • La banalità delle più recenti campagne elettorali, dagli Stati Uniti all’Italia, è un indice significativo del rifiuto delle classi politiche di mettere la tecnologia al servizio della democrazia, così come è un indice la crescente disaffezione dei cittadini (aumento del “non voto” : astensionismo, schede bianche e nulle) per l’esercizio di un suffragio che sempre più si va trasformando in una sorta di mandato in bianco.
  • Possiamo, ancora una volta, ricorrere al già citato Jacon Bronowski per stabilire un collegamento tra due aspetti della realtà che non erano mai stati messi in relazione: da un lato, l’esaltazione verbale della tecnologia, ma il sostanziale rifiuto, da parte dei detentori del potere, di metterla al servizio di una democrazia rappresentativa in difficoltà; dall’altro, il ricorso di massa, proprio in un periodo di difficoltà, a operatori non tecnologici (quelli dell’ “occulto” : anche se alcuni di essi, come gli astrologi, utilizzano una strumentazione che va dalla statistica all’elettronica).
  • Il maggior politologo contemporaneo di scuola ” liberal “, lo statunitense Robert Dahl , afferma, più che ottantenne, a conclusione di una vita di studi, che la miglior democrazia possibile dei nostri successori (che egli definisce “poliarchia III”, evoluzione delle prime due dei tempi moderni, caratterizzate da una crescente burocratizzazione) non sarà in nessun caso quella dei nostri predecessori.
  • La raccolta Reinventiamo la sinistra , con i contributi di molti studiosi europei, si conclude, forse sorprendentemente per chi non tenga conto del riemergere di culture alternative, con una citazione di William Blake , artista, poeta, incisore ma soprattutto esoterista e ribelle: un maestro che potrebbe apparire in controtendenza nel Settecento illuminista.
  • Questa la citazione: ” Se vuoi far bene, fallo nei minuti particolari “. La presente riflessione si può concludere con la proposta di vedere il futuro della scienza politica e il futuro della democrazia affidati al possibile abbinamento tra William Blake e Internet .

( Questo articolo è stato già pubblicato sulla rivista “Pluriverso. Biblioteca delle idee per la civiltà planetaria”, anno II, numero 1, marzo 1997 )

Fonte – Studi Filosofici


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