«Così l’Italia lavorò al raggio che crea energia dal nulla»

Alcuni documenti provano gli esperimenti fatti dallo scienziato Clementel
negli anni 70. Ma ora nessuno può vedere il prodotto di quegli studi

di Rino Di Stefano

Nell’Inverno del 1976 il governo italiano autorizzò il professor Ezio Clementel, presidente del CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare), ad effettuare una serie di esperimenti per verificare l’efficacia di una misteriosa macchina che emetteva un fascio di raggi in grado di annichilire la materia, producendo grandi quantità di energia. Giulio Andreotti aveva appena formato il suo terzo governo, un monocolore Dc che si reggeva sull’astensione di Pci, Psi, Psdi, Pri e Pli, dopo le elezioni del 20-21 giugno che avevano visto la vittoria di Dc e Pci.
La lettera con cui il professor Clementel inviava la sua relazione sulle prove da eseguirsi, è datata 26 novembre 1976 e indirizzata all’avvocato Loris Fortuna, Presidente della Commissione Industria, presso la Camera dei Deputati, in piazza del Parlamento 4, a Roma. Il socialista Fortuna era il deputato incaricato dal Presidente del Consiglio per seguire il lavoro di Clementel.

La relazione è composta da cinque facciate. Nella seconda, quella che segue la lettera di accompagnamento, c’è l’elenco delle cinque prove richieste dal protocollo, con i relativi dettagli. In sostanza, si trattava di far forare al fascio di raggi emesso dalla macchina, lastre di acciaio inox e alluminio poste a diverse distanze dall’obiettivo della macchina stessa. Nelle tre facciate successive, viene calcolata la potenza del raggio. In un altro documento di due facciate, il professor Clementel scrive di suo pugno, siglandole in calce, le sue conclusioni relative alla valutazione delle prove effettuate, all’energia e alla potenza del fascio, alla natura del fascio stesso.
Scrive il professor Clementel: “L’energia del fascio impiegato è stimabile tra i 150.000 e i 4 milioni di Joule (il joule è l’unità di misura dell’energia n.d.r.); i numeri dati corrispondono all’energia necessaria per fondere rispettivamente vaporizzare 144 grammi di acciaio inox. Una valutazione più precisa sarà forse possibile al termine delle analisi metallurgiche in corso per uno dei campioni di acciaio inox. Poiché, come risulta dalle prove, il fascio è quasi certamente di tipo impulsato, con durata degli impulsi minore di 0,1 secondi, occorrerebbe una esatta conoscenza di tale durata per poter determinare la potenza del fascio. Si può comunque dare una stima del limite inferiore della potenza in gioco, assumendo una durata dell’impulso pari a 0,1 secondi. Con tale valore, si ha una potenza totale del fascio di 1500 Kw/cmq nel caso della fusione del metallo; nel caso della vaporizzazione del metallo la potenza totale del fascio salirebbe a 40.000 Kw e la densità di potenza a 4000 Kw/cmq”.
E poi conclude: “Circa la natura, del fascio, le semplici prove effettuate non consentono una risposta sufficientemente precisa, anche se vi è qualche indicazione che porterebbe ad escludere alcune fra le sorgenti più comuni, quali ad esempio getto di plasma, fasci di particelle cariche accelerate, fasci di neutroni, eccetera. In ogni caso, anche nell’ipotesi non ancora escludibile di fascio laser, le energie e soprattutto le potenze in gioco, si porrebbero al di là dei limiti dell’attuale tecnologia. Si può in ogni caso escludere che si tratti di fasci di anti-particelle o di anti-atomi”.
Il professor Clementel fece fare delle riprese di quelle prove sulla misteriosa macchina e i filmati, insieme alla relazione, sono giunti integri fino a noi. Nelle scene in bianco e nero si vedono distintamente la macchina e la lastra di acciaio inox verso cui è diretto il fascio di raggi. Un attimo e un grande bagliore avvolge l’acciaio; quando le fiamme si diradano, appare il grosso foro sulla lastra
Il ritrovamento di questa documentazione a 34 anni di distanza, prova due cose. La prima è che nel 1976 la macchina che produce energia con un fascio di raggi, esisteva. La seconda è che quegli esperimenti, autorizzati dal governo, conferiscono un primo grado di attendibilità al dossier della Fondazione Internazionale Pace e Crescita di Vaduz, nel Liechtenstein, l’organizzazione che si proclamava proprietaria della fantastica tecnologia. Ma è proprio così? La Fondazione era realmente il soggetto che disponeva di questo macchinario? Non proprio.
Per saperne di più, abbiamo cercato la risposta a Civitella d’Agliano, un caratteristico borgo medioevale tra le colline di Lazio e Umbria, in provincia di Viterbo, dove si trova il villino dell’ingegner Aristide Saleppichi, uno dei primi tecnici a occuparsi della costruzione e dello sviluppo della misteriosa macchina. Saleppichi, ex direttore dello stabilimento Montedison di Terni, ha due lauree: una in ingegneria industriale meccanica e una in fisica. Ma non solo. L’ingegnere, che oggi ha 91 anni e mantiene una invidiabile e lucidissima mente, fa parte del gruppo che da quarant’anni gestisce la macchina. Secondo lui, il fatto che proprio adesso si cominci a parlare del misterioso macchinario, non è casuale. “Vede, io ho un concetto un po’ teologico degli avvenimenti – spiega – La fisica cammina. Ad un certo punto il Signore ci dice quando dobbiamo scoprire alcune cose. E’ come se qualcuno ci desse da mangiare un poco per volta. Questo dunque, potrebbe essere il momento giusto per affrontare l’argomento”.
Ed è proprio per fornire un chiarimento sulla vicenda, che l’ingegnere ha organizzato una riunione in casa sua tra lo staff di questo gruppo e il cronista che vi parla. “Quella tecnologia appartiene solo a noi. E, per essere più precisi, a Rolando Pelizza, colui che ha materialmente costruito la macchina a Chiari, in provincia di Brescia. – esordisce Pietro Panetta, ex imprenditore di Roma e portavoce di Pelizza –  La Fondazione Internazionale Pace e Crescita, che si vantava di disporre di questa tecnologia, è stata costituita da un nostro conoscente, il professor Nereo Bolognani. Lo abbiamo avvertito a più riprese che, senza il nostro consenso, non poteva continuare su quella strada. Alla fine, lo abbiamo minacciato di azioni legali e allora lui, nel 2002, ha messo in liquidazione la Fondazione” .
Risolto il mistero della Fondazione, resta quello di chiarire chi sono coloro che adesso si attribuiscono la proprietà della tecnologia in questione. Di certo, il nome di Rolando Pelizza non è estraneo alla cronaca. Infatti fu proprio lui a finire sul banco degli imputati, insieme all’ex colonnello del Sid Massimo Pugliese, al processo di Venezia voluto dal giudice Carlo Palermo per traffico internazionale di armi. Pelizza venne subito assolto, Pugliese si beccò 2 anni e 8 mesi. Ricorse in appello e fu a sua volta assolto perché “il fatto non costituisce reato”. Sempre per la cronaca, il colonnello Pugliese trascorse il resto della sua vita intentando cause contro il giudice Palermo, l’allora Presidente del Consiglio De Mita e gli ex ministri Colombo (Finanze) e Zanone (Difesa) chiedendo 9 miliardi di lire di risarcimento. Inascoltato in Italia, si rivolse persino alla Corte di Strasburgo. Ciò premesso, vediamo adesso chi sono e cosa pretendono gli amici di Pelizza.

Tutto cominciò oltre 50 anni fa

Signor Panetta, quando e come nasce l’invenzione di questa macchina.
“L’origine del progetto risale al 1958, ma soltanto nel 1972 si ebbe la prima manifestazione sulla materia. Infatti, il fascio di raggi era diretto verso il materiale da trattare: investito, in una frazione di secondo l’oggetto subiva un processo di annichilimento, generando calore”.
L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, da noi consultato, afferma che, alla luce delle nostre attuali conoscenze scientifiche, una simile macchina non sta né in cielo né in terra, anche se in linea di principio non sarebbe impossibile. Lei che cosa risponde?
“Questo è ciò che loro sanno. Ma la realtà è diversa. E lo dimostrano le prove fatte dal compianto professor Clementel, con la collaborazione di Pelizza. Nei fatti, un grande fisico teorico, quasi per ispirazione divina, ha intuito il mezzo per far interagire la materia. E si è dedicato interamente alla stesura del progetto”.
Di chi sta parlando?
“Certamente non di Pelizza, che ha soltanto aiutato questo fisico a costruire la macchina. Lo chiamava “il professore”. Ha imparato da lui a gestirla, frequentandolo per oltre quindici anni. Da solo non avrebbe mai avuto né la preparazione né la capacità per arrivare a tanto”.
Dica di chi si tratta, allora.
“Mi dispiace, ma non posso fare nomi. Non sono autorizzato a farlo. Tutto quello che posso dire è che occorsero circa dieci anni, e arriviamo così al 1981, per riuscire a controllare il fascio di raggi”.
Va bene, allora ci può mostrare questa prodigiosa macchina: può farci assistere ad una prova?
“No, mi dispiace. Nessuno può vederla. Solo a suo tempo, quando avremo definito certe trattative che abbiamo in corso a livello mondiale, potremo mostrarla. E in quell’occasione parlerà anche Pelizza. Ma non prima”.
Ma il gruppo collegato a Pelizza, che sta per creare una Fondazione, è davvero l’unico a conoscere i segreti della misteriosa tecnologia? A quanto pare, non proprio.
Da anni, infatti, qualcun altro si sta interessando attivamente a questi problemi. Ma come si è formato questo secondo filone di ricerca?
“Per caso – risponde l’ingegnere elettronico milanese Franco Cappiello -. Fu verso la fine degli anni Novanta che conobbi il colonnello Pugliese, allora nel pieno della sua campagna giudiziaria contro giudici e politici. Un giorno, forse sentendo la fine vicina, mi raccontò tutta la storia della macchina e mi regalò la documentazione di cui era in possesso. C’erano i disegni e i piani di costruzione, aveva conservato tutto. Mi diede anche qualche indicazione utile sul come costruire un prototipo. E fece appena in tempo, perché morì nel 1998. Così, da quel momento, mi sono dedicato anima e corpo alla macchina e, dopo avere studiato bene il fenomeno, posso dire che la base scientifica di questa scoperta non manca davvero. A mio avviso, si tratta di un generatore di energia a trasporto positronico (i positroni sono antiparticelle degli elettroni, dotate di carica positiva n.d.r.). L’energia che fornisce è termica e completamente priva di radioattività”. Cappiello, però, si rende conto che una scoperta scientifica, per essere giudicata tale, deve essere studiata ed esaminata da scienziati veri.
“Ed è per questa ragione – afferma – che ho chiesto l’aiuto di una equipe di ricercatori dell’Università di Pavia. Questi scienziati, guidati da un’autorità come il professor Sergio P. Ratti, studieranno tutti gli aspetti di questa macchina. Ci tengo comunque a chiarire che recentemente ho instaurato una fruttuosa collaborazione con Rolando Pelizza”.

PROVE?
In alto, la pagina di presentazione e poi la pagina più importante del documento che il presidente del Comitato per l’Energia Nucleare, Ezio Clementel (ritratto nella foto in basso), spedì al presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, per ragguagliarlo circa le prove che erano state fatte di una macchina che produce energia da un misterioso raggio. In basso la doppia pagina del Giornale del 6 luglio scorso quando ci siamo occupati per la prima volta del raggio che dà energia gratis. Il nostro articolo di quel giorno ha creato molto rumore, soprattutto su Internet. Con questa puntata raccontiamo gli sviluppi di una storia che presenta molti lati oscuri e anche per questo è molto affascinante.

Le domande degli scienziati

Difficile immaginare uno scienziato più illustre del professor Ratti per studiare la funzionalità della macchina. Docente di Fisica Sperimentale all’Università di Pavia, oggi in pensione, Sergio P. Ratti è uno degli scienziati italiani più conosciuti al mondo e una della massime autorità in fatto di positroni.

Professor Ratti, come è giunto alla decisione di dirigere le ricerche sulla macchina che dà energia?
“Confucio diceva che la scienza è scienza quando sa separare ciò che conosciamo da ciò che crediamo di conoscere. Nel caso specifico, si tratta di accertare se questo macchinario sia in grado o meno di liberare positroni dal vuoto assoluto. Dunque faremo tutte le prove necessarie, adottando i dovuti accorgimenti, per verificare se questo possa realmente accadere. Nelle opportune condizioni, l’esperimento deve essere ripetibile. Altrimenti non si parlerebbe di scienza”.
Il Prof. Sergio P. RattiChe cosa intende quando parla di accorgimenti?
“Mi riferisco alla legge 626 sulla sicurezza del lavoro. Qualora si ottenesse l’annichilimento di 500 grammi di ferro, dove andrebbero a finire i residui? Nei polmoni dei presenti? E’ quindi tassativo, tanto per fare un esempio, che il locale in cui vengono svolti gli esperimenti sia dotato di uno specifico sistema di ventilazione, con filtri per l’aria. E dovranno essere presenti anche tutti gli altri dispositivi di sicurezza attiva e passiva”.
Avete già i locali adatti?
“Ho inoltrato una richiesta in questo senso al rettore dell’Università di Pavia. Attendo una risposta”.
Da un punto di vista scientifico, questa scoperta potrebbe cambiare la fisica come oggi la conosciamo. Secondo lei, come potrebbe essere accolta una novità di questo genere?
“Ha presente che cosa accadde a Galileo quando parlò delle sue conclusioni sul moto della terra intorno al sole? Il problema è che, prima di parlare di scoperta scientifica, si devono avere tutte le prove del caso. Quello che posso dire è che ho consultato diversi miei colleghi in giro per il mondo, e ho avuto risposte interessanti. Uno, decisamente molto importante che lavora all’Università di Harvard, mi ha confermato che, in linea di principio, potrebbe essere. Insomma, bisogna studiare il fenomeno nel modo più serio e corretto possibile. Quanto alle conclusioni, vedremo a tempo debito”.

Fonte – Il Giornale & Rino di Stefano, 26 Settembre 2010

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