Un mandala nello spazio, saggio introduttivo a C. G. Jung, Un mito moderno – Le cose che si vedono in cielo

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Un mandala nello spazio, saggio introduttivo a C. G. Jung, Un mito moderno – Le cose che si vedono in cielo, Bollati Boringhieri, Torino 2004

1. Negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso Giorgio Manganelli scrisse per alcuni quotidiani italiani degli articoli sui “dischi volanti” (detti anche UFO: Unidentified Flying Objects). Si era già allora in una fase di parziale declino degli avvistamenti di quei misteriosi oggetti che, mitemente o minacciosamente, navigavano nei nostri cieli, e dell’interesse assai intenso che essi avevano sollevato nei terrestri. Il primo di quegli articoli comincia così: “La delusione più cocente e insieme più astratta della mia vita […] fu senza dubbio il mancato sbarco dei marziani nel decennio tra il 1950 e il ’60.

“Il tono ironico e disincantato dello scrittore sembra nascondere una sofferenza reale, una disperazione del senso che ci permette di assumere le sue pagine come testimonianza di ciò che gli UFO hanno significato nell’immaginario dell’uomo occidentale. Prima di ogni altra cosa, gli UFO sono un luogo del mistero, e dunque per ciò stesso disponibili a diventare tramiti o epifanie del sacro: “un po’ fantasmi, un po’ supermacchine […] Inafferrabili: taciturni, simili a immagini sognate.” “Si è scritto che si tratta di cascami religiosi; perché no? – aggiunge Manganelli – Avete di meglio da proporci? Ci sono modi più tranquilli per parlare di miracoli, di senso, e che so io, con gente che non campa più con la normale razione di realtà e di realismo? […] Sui giornali colti, qualcuno parla […] di ondata irrazionale, di moda dell’assurdo; si scrive anche che si deve tornare al razionale. Sarà. Chesterton ha scritto che “il pazzo è colui che ha perso tutto fuorché la ragione”. La moda degli UFO passerà, ma badate non passerà la voglia dell’assurdo.” L’UFO è “un profetico carro di fuoco che fa il giro del pianeta”, accompagnato dalla “brama che quella cosa insensata, scientificamente impossibile, sia vera.” Evidentemente, siamo nel territorio del mito: non macchine ma simboli infinitamente allusivi, gli UFO dischiudono scenari distruttivi o salvifici, raccontandoci in ogni caso la nostra mancanza. La loro “insensatezza” racchiude in realtà il mistero del significato, la potenziale inesauribilità di ogni simbolo vivo; mentre la terra, questa “malattia del cosmo”, così apparentemente sensata, è abitata da una infelicità “intensa, irreparabile, imminente.” Manganelli si rende ben conto di collocare gli avvistamenti degli UFO, veri o illusori che siano, in una prospettiva apocalittica, quando, riprendendo Hölderlin, afferma che “la salvezza, se esiste, è nello stesso luogo in cui abita la disperazione.” In un mondo consumato da una “lenta insensatezza”, egli riafferma la convinzione che “l’uomo sia pur sempre destinato a cercare il proprio senso nel mito, nella favola, nella matematica inesauribile del sogno.” Giacché non bisognerà mai dimenticare che solo le “cose inutili” ci permettono di vivere: “di cose utili si langue, deperisce e muore.” Oggi si parla assai meno di UFO.

Difficile dirne il perché. Ma una traccia ce la fornisce una non dimenticata pièce di Ennio Flaiano, Un marziano a Roma ( ). Come si ricorderà, in quel brillante (e disperato) lavoro il marziano, inizialmente accolto come la rivelazione di una Potenza, alla fine si ritrova privo di ogni carisma, infelice, trascurato e sbeffeggiato. I miti si consumano, i simboli si svuotano e muoiono, non di rado prima che abbiano sprigionato il loro senso. L’umanità è uno struzzo che tutto ingurgita affannosamente, e tutto mescola nel suo buio deposito intestinale, continuando a far finta di niente. Non vuole fare sforzi, non vuole cambiare e, come Crono, divora le proprie speranze ostentando buona salute, in attesa della prossima illusione. Perciò l’apologo di Flaiano ci insegna che è bene che i marziani non tocchino terra, che restino nella feconda indeterminatezza dello spazio simbolico. Altrimenti, la coscienza collettiva se ne impossessa e facilmente li banalizza.
2. Mi è parso che le osservazioni di Manganelli possano rappresentare una sorta di ouverture, in cui i temi che Jung sviluppa estesamente nel presente saggio sono tutti brevemente evocati e intrecciati con la pregnanza espressiva che è dell’artista. Carl Gustav Jung cominciò a occuparsi di UFO negli anni ’40, leggendo tutto quanto veniva pubblicato sull’argomento e nel 1958, tre anni prima di morire, pubblicò questo saggio denso e provocatorio, che può esser letto come una puntuale interpretazione psicologica del fenomeno, ma anche come una ricapitolazione essenziale delle sue principali idee sulla psiche, e insieme come un messaggio – uno degli ultimi – in cui trovano posto le speranze e i timori che egli nutriva circa il futuro dell’umanità.

Le principali idee sull’argomento erano state elaborate già da tempo, tant’è vero che, in una lettera del 6 febbraio 1951, indirizzata alla dottoressa Beatrice Hinkle di New York, Jung scriveva tra l’altro: “[…] E’ comunque singolare che l’esistenza dei dischi volanti non sia stata ancora provata in modo decisivo […] Non sono riuscito a decidere se si tratta di una diceria accompagnata da allucinazioni individuali o collettive, oppure di fatti obbiettivi. Se si tratta di una voce, allora deve necessariamente trattarsi di un simbolo che proviene dall’inconscio[…] In un’epoca in cui il mondo è diviso da una cortina di ferro, dobbiamo attenderci ogni genere di cose bizzarre: nella vita dell’individuo ciò equivarrebbe a una dissociazione completa, compensata per lo più da simboli di totalità e unità […] Il fenomeno dei dischi volanti potrebbe essere le due cose insieme, nel qual caso si tratterebbe di un fenomeno sincronistico.” Concetti analoghi vengono espressi anche in Ricordi sogni riflessioni, in cui si allude agli UFO come a prodotti di “una compensazione psichica, che ha assunto la forma di simboli circolari dell’unità, che rappresentano una sintesi degli opposti all’interno della psiche.” Ma è naturalmente nel presente saggio che le intuizioni junghiane vengono organizzate ed estesamente argomentate. L’interesse di Jung appare motivato dall’incontro tra un evento sociale ampiamente diffuso (le voci relative all’avvistamento di dischi volanti) e la particolare situazione storica del momento. Jung vi accenna ripetutamente. Si era negli anni ’50, in piena “guerra fredda”. Da non molto la “cortina di ferro” era calata a dividere l’Oriente dall’Occidente e lo scoppio di un nuovo conflitto mondiale – e della catastrofe atomica che molto probabilmente esso avrebbe provocato – sembrava a molti imminente.

A questo pericolo Jung aggiungeva i rischi connessi al “vertiginoso aumento della popolazione” e al correlativo restringimento dello spazio vitale, nonché il proliferare di grandi organizzazioni politiche e sociali che, “non appena diventano fine a se stesse, divorano la natura umana come se fossero una formazione cancerosa, e si rendono autonome” (sembra una anticipazione della battaglia contro le multinazionali!). In termini più generali, Jung lamenta la desolazione, la freddezza, la disumanità e la “solitudine infinita” della vita metropolitana che egli riconoscerà nel quadro di Yves Tanguy riportato nel presente volume. L’impressione di trovarsi in una situazione di emergenza, il clima da “fine del mondo” era in effetti allora molto diffuso. La bomba all’idrogeno era un’invenzione recente e faceva ancora impressione (non che ora le cose vadano meglio ma, purtroppo, ci si abitua a tutto). Per esempio, qualcuno ricorderà come nel 1961 venne tradotto in italiano e suscitò emozione il drammatico diario filosofico di Günther Anders, Essere o non essere – Diario di Hiroshima e Nagasaki, in cui il filosofo tedesco si confrontava con la possibile catastrofe atomica e ne mostrava il carattere qualitativamente diverso rispetto a ogni altro evento bellico: ” […] Signori, un’offerta come questa non è mai stata fatta – la cosa stessa, il Nulla in sé, il Nulla per adulti: l’annientamento, la distruzione fisica, massiccia, totale, che non lascia nulla che non sia distrutto.” Nello stesso periodo in cui pericoli di varia natura sembrano minacciare con particolare intensità la vita sulla terra, in tutto il mondo si vanno diffondendo voci che riferiscono l’avvistamento (se non addirittura il contatto diretto: si veda, nell’Epilogo del presente libro, il riassunto di The secret of the Saucers di Orfeo M. Angelucci) di dischi volanti.

Si tratta per lo più di oggetti di origine extraterrestre (“marziani”), che sfuggono alle leggi di gravitazione e sono pilotati da esseri intelligenti (ma a volte dall’aspetto subumano), che si presumono generalmente non ostili ma anche dotati di terrificanti mezzi di distruzione. La forma degli UFO è di regola lenticolare, oblunga o a sigaro. Malgrado la frequenza degli avvistamenti, colpisce il fatto che rare e dubbie siano le testimonianze fotografiche. Il lettore noterà come Jung – malgrado lo straordinario interesse per il fenomeno, dovuto alle sue implicazioni psicologiche – consideri con distacco e una certa ironia l’esistenza reale, fisica, degli UFO; anche se, come si vedrà, al fine di introdurre l’ipotesi sincronistica, egli sembri disposto, nell’ultima parte del saggio, a dare maggior credito all’effettività dei dischi volanti. Sembra che il proposito di Jung sia quello di smontare e poi di ricostruire, in modo da renderlo comprensibile, un fenomeno profondamente irrazionale, recuperando così al mondo dei significati ciò che altrimenti rimarrebbe relegato nel deposito polveroso delle magie e delle superstizioni (parole che notoriamente designano realtà con cui non osiamo entrare in contatto e che, proprio per questo, rischiano di invaderci e di dominarci). L’apparizione di dischi volanti o altri oggetti del genere era presente nell’immaginario collettivo da moltissimo tempo. Jung stesso presenta in questo saggio vari esempi tratti da epoche lontane, quali un “foglio volante” del 1566, che mostra certi “globi immani” che roteano nel cielo di Basilea, e un altro “foglio volante” del 1561 con analoghe sfere nel cielo di Norimberga; e naturalmente cita anche La guerra dei mondi di H.G. Wells, che nel 1897 inaugurava il filone catastrofista della letteratura fantascientifica. Si tratta dunque di figure non episodiche e occasionali, ma ricorrenti, soprattutto quando la situazione collettiva si presenta come particolarmente minacciosa. Lo scenario è pronto perché, in modo naturale, Jung possa collocare gli eventi entro le categorie del suo pensiero. Come si sa, la riflessione junghiana verte costantemente sul tema degli opposti e della loro integrazione. Ogni unilateralità dell’atteggiamento cosciente è una forma di impoverimento e al tempo stesso l’esperienza di uno squilibrio, portatore di effetti spesso incontrollabili. Il processo di individuazione, che solo attribuisce significato al procedere dell’esistenza, è concepito da Jung come dialogo costante dell’Io con le diverse istanze psichiche, consce e inconsce. Questo significa riuscire a reggere la tensione degli opposti senza cadere vittima (o restare prigioniero) dell’uno o dell’altro.

Alla luce di questo orientamento, la tesi di Jung nei confronti degli UFO è la seguente. Un contrasto politico, sociale, filosofico e religioso di dimensioni eccezionali lacera la coscienza del nostro tempo. Essa è, per così dire, frammentata; un’angoscia profonda la mina, cui non sa dare un nome. L’Io si è troppo allontanato dalle sue radici inconsce; le “meraviglie” della scienza e della tecnica sembrano volgersi in forze distruttive; aumenta l’insicurezza dell’uomo-massa che, nell’adeguarsi sempre più a modelli collettivi di comportamento, perde energia e identità. In questa situazione minacciosa, in cui la coscienza individuale, abbarbicata ai suoi convincimenti, si nega ai valori contrapposti dell’inconscio, i contenuti cui è negato l’accesso diretto alla coscienza cercano di esprimersi indirettamente. Come si sa, tutto ciò che è inconscio tende ad essere proiettato, essendo la proiezione – nelle parole di Jung – “l’estroflessione in un oggetto, in cui compare ciò che prima costituiva il segreto dell’inconscio.” Dunque, gli UFO sono visioni, oggettivazioni fantastiche di una esigenza troppo duramente repressa. In una situazione di emergenza come quella odierna, “la fantasia produttrice di proiezioni […] approda in cielo, nello spazio cosmico delle costellazioni, là dove un tempo avevano sede nei pianeti i padroni del destino, gli dèi.” La credenza negli UFO, e la loro fantasticata visione, racchiude dunque un bisogno profondo: quello di ricostituire l’unità, ripensare e rivivere la totalità dell’umano (la paradossale unione di conscio e inconscio che Jung chiama Sé), che sembra nel mondo moderno irrimediabilmente compromessa. Leggere gli UFO come l’oggetto di una leggenda significa perciò chiedersi quale funzione essi svolgano nell’economia della psiche e, più radicalmente, contemplarne l’ambigua grandezza. Giacché non basta dire che essi esercitano una funzione compensatoria: quella di evocare un sentimento di pienezza, di rendere emotivamente presente l’unità originaria che l’uomo civilizzato ha dimenticato, e di rimetterne insieme i frammenti. I dischi volanti sono un simbolo nel senso forte dell’espressione, cioè un mediatore, un’immagine in cui i contrari, apparentemente irriducibili, vengono tenuti insieme in un modo che non si può tradurre nelle forme della ragione discorsiva.

L’Io, rinunciando alle proprie pretese totalitarie, può accettarne la presenza e così sperimentarne la funzione trasformativa; ma può anche non tenerne conto ed esporsi allora ai suoi effetti distruttivi. E’ dunque nella relazione con la coscienza che si dispiega l’efficacia del simbolo. La funzione trasformativa del simbolo consiste nel riaprire le porte alla collisione consapevole tra i doveri, e di conseguenza nel restituire all’individuo la responsabilità delle scelte etiche, sottraendolo alla schiavitù dei codici morali collettivi. Jung argomenta diffusamente – leggendo la storia della cultura come storia della incarnazione degli archetipi – la natura simbolica delle immagini dei dischi volanti, utilizzando soprattutto analogie morfologiche (in special modo la rotondità, ma anche le analogie falliche) che li accomunano a immagini mandaliche, che in altre opere egli aveva interpretato come simboli della totalità. Con la stessa acribia analizza svariati sogni e opere pittoriche contemporanee, mostrando in che modo in essi si manifesti l’aspetto simbolico degli UFO. Non lo seguiremo oltre su questa strada, ma non possiamo fare a meno di segnalare le idee che, sia pure incidentalmente, Jung esprime sull’arte contemporanea.

Di questa egli sottolinea da un lato il carattere a suo modo “ascetico”, nel senso di una polemica estraniazione dal mondo apparentemente rassicurante in cui l’uomo occidentale è obbligato a vivere, e di una evocazione delle potenze inconsce. Le quali però non appaiono a Jung tanto oggettivate nel prodotto artistico quanto evocate nello spettatore; cosicché sembra che Jung anticipi l’idea che l’opera d’arte nasca dalla e nella collaborazione di creatore (“stimolatore”) e fruitore. Questo tema è diventato centrale nella riflessione sull’arte contemporanea, dal concetto di “opera aperta” , alle più recenti tendenze decostruzioniste. Al tempo stesso, Jung non manca di sottolineare che nel prodotto artistico si rivelano spesso certe configurazioni formali, nelle quali è possibile ravvisare delle strutture archetipiche. Questo avviene all’insaputa dell’autore, ed è tanto più probabile quanto meno il gesto creatore è intenzionato.
3. All’inizio del saggio, Jung aveva posto il problema in questi termini: o “si tratta di un processo obbiettivamente reale, cioè fisico, che costituisce il terreno su cui si genera un mito concomitante”, oppure “è un archetipo a provocare una determinata visione. A questi rapporti di causalità bisogna aggiungere una terza possibilità: quella di una coincidenza sincronica, cioè acausale, significativa […]”. Il libro si sviluppa poi sulla linea della seconda ipotesi, per la quale i dischi volanti hanno una esistenza immaginaria, anche se non per questo meno produttrice di effetti. Nelle ultime pagine però Jung riprende l’ipotesi della realtà fisica degli UFO, allo scopo dichiarato di introdurre il discorso sulla sincronicità, un argomento che lo aveva lungamente appassionato, che egli aveva già utilizzato nel commento al libro oracolare cinese I Ching , e a cui infine aveva dedicato un saggio, apparso nel 1952 con il titolo La sincronicità come principio di nessi acausali . Nell’intento di introdurre il lettore al tema della sincronicità, porterò un esempio di vita vissuta. Un uomo, dopo essere stato abbandonato dalla fidanzata, sogna una grande farfalla dalle ali nere. Mentre sta raccontando questo sogno al suo analista, una farfalla scura, simile a quella sognata, entra improvvisamente dalla finestra e se ne va a morire in un angolo della stanza. Egli scoppia in lacrime, rendendosi conto che un periodo della sua vita si è definitivamente concluso. Jung avrebbe chiamato questo insieme di accadimenti un evento sincronistico.

Se analizziamo gli elementi che lo costituiscono, notiamo anzitutto la improbabile contiguità tra due fatti, di cui uno puramente psichico (il sogno, associato a sua volta alla fine di un amore) ed uno esterno (la farfalla che entra dalla finestra). Questi eventi non sono legati da un rapporto causale (la farfalla sognata non ha causato la farfalla reale, né viceversa) ma da un significato simbolico comune: entrambi sembrano alludere alla morte di qualcosa di delicato e volatile, come può essere un amore o l’anima stessa (in greco farfalla si dice psyché, e chi ha visto il gruppo statuario Amore e psiche di Canova ricorderà che Amore tiene per le ali appunto una farfalla). Sembra anche che la concomitanza dei due eventi sia per così dire retta dalla condizione psichica particolarmente turbata del sognatore, e quindi da una speciale attivazione dell’inconscio. La connessione appare infatti immediatamente significativa all’interessato, come se essa fosse voluta intenzionalmente da una qualche misteriosa entità che regge i destini umani. Naturalmente, ci si potrebbe facilmente sbarazzare di tutto questo parlandone come di una coincidenza fortuita, e non pensarci più. Jung però, che aveva sperimentato, direttamente e indirettamente, numerose coincidenze di questo tipo, elaborò, con l’aiuto del fisico Wolfgang Pauli, un modello interpretativo delle relazioni tra fenomeni che sembrano avere un significato ben definito ma non possono essere spiegate in termini causali.

Il modello, che non intende scalzare il principio di causalità ma ad esso affiancarsi, ha un suo retroterra culturale di tutto rispetto. Dal punto di vista scientifico, esso utilizza la relativizzazione di spazio, tempo e causalità operata dalla fisica contemporanea e, per quel che riguarda i processi inconsci, dalla psicoanalisi. Dal punto di vista filosofico, si riallaccia sia all’idea kantiana secondo cui spazio, tempo e causalità non sono proprietà intrinseche delle cose ma piuttosto aspetti del nostro modo di esperire la realtà, sia alla monadologia leibniziana, che postula un parallelismo di natura non causale tra eventi interni ed esterni (l'”armonia prestabilita”). Ancora più indietro, la sincronicità richiama la concezione greca della simpatia che unisce armonicamente tutte le cose, e la nozione medievale di unus mundus, che implica una corrispondenza sistematica fra macrocosmo e microcosmo. E’ appena il caso di aggiungere che anche il pensiero orientale tende a considerare le cose come un insieme e a cogliere omologie tra vari ordini di realtà. Naturalmente, se ammettiamo che, nei fenomeni sincronistici, il mondo della materia appare, per così dire, come una immagine riflessa del mondo della psiche, e viceversa, allora la dualità di psiche e materia viene essa stessa relativizzata, in base alla presunzione che la molteplicità del mondo fenomenico poggi appunto sulla unità fondamentale di tutto ciò che è. Se consideriamo la questione da un punto di vista letterario, salta agli occhi che la sincronicità è stata spesso utilizzata come espediente romanzesco, cioè come un modo per mettere o rimettere in movimento l’azione e farla procedere verso l’esito prestabilito. Procedimento che si accorda senza difficoltà con l’idea di un romanziere demiurgico che, come accade soprattutto nella tradizione ottocentesca, governa le vite dei suoi personaggi. Ribaltata su un piano metafisico, questa idea suggerisce l’immagine di un dio “romanziere” che, organizzando astutamente l’intreccio di fenomeni psichici e fisici, tesse i destini degli uomini. Non c’è motivo di credere che Jung trovi in queste corrispondenze qualcosa di provvidenziale. Ci sono romanzi di ogni genere, e il dio può essere cieco, o giocare ai dadi, o volersi divertire. Non così pensa la cultura New Age, che si è impadronita del tema sincronistico, ma distorcendo il pensiero junghiano nella direzione di un generalizzato provvidenzialismo. In questa prospettiva il male e la sofferenza vengono ridotti a incidenti di percorso che preludono a un sicuro riscatto; la vita umana si trasforma in una sorta di fiaba manierata; la realtà diventa realtà romanzesca; il buonismo annega tutto nella sua melassa. Jung ha sempre esposto l’ipotesi sincronistica con molta cautela, proponendo i suoi punti di vista come tentativi di affrontare problemi complessi e forse insondabili.

Così fa brevemente anche in questo saggio a proposito dei dischi volanti. Sebbene il numero degli avvistamenti sia notevolmente aumentato a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, tra la condizione psichica dell’umanità e il fenomeno degli UFO in quanto realtà fisica non esiste ovviamente una relazione causale. Si può ipotizzare però una coincidenza significativa i cui elementi essenziali sono, da un lato, le proiezioni che gli uomini fanno sugli UFO e, dall’altro, la forma fisica di questi ultimi: una forma che nelle più diverse culture evoca l’unione dei contrari, e dunque rinvia a uno schema ordinatore che si sovrappone al caos interiore.

Augusto Romano

NOTE

(1) G. Manganelli, UFO e altri oggetti non identificati, Quiritta, Roma 2003.

(2) C.G. Jung, Letters, Routledge & Kegan Paul Ltd., London 1973, p. (La traduzione è mia).

(3) Ricordi sogni riflessioni di C.G. Jung, Il Saggiatore, Milano 1965, p. 372.

(4) G. Anders, Essere o non essere – Diario di Hiroshima e Nagasaki, Einaudi, Torino 1961, p. 83.

(5) Da questo libro Orson Welles trasse la trasmissione radiofonica che nel 1938 – alla vigilia della seconda guerra mondiale! – tanto panico diffuse negli Stati Uniti.

(6) Si veda, ad esempio, C.G. Jung, Simbolismo del mandala (1950), in Opere, vol. 9, tomo primo, Boringhieri, Torino 1980.

(7) Cfr. U. Eco, Opera aperta, Bompiani, Milano 1962.

(8) C.G. Jung (1950), Prefazione a “I Ching”, in Opere, vol. 11, Boringhieri, Torino 1979.

(9) C.G. Jung (1952), La sincronicità come principio di nessi acausali, in Opere, vol. 8, Boringhieri, Torino 1976.

(10) Un esempio abbastanza divertente di questa distorsione è rappresentato dal libro di Robert H. Hopcke, Nulla succede per caso, Mondadori, Milano 1998. Le teorie junghiane hanno anche moderatamente alimentato la letteratura fantascientifica. Si veda, ad esempio, Jonathan Fast, La pietra sincronica, Urania 12.2.1978, Mondadori, Milano. Diverso è il caso della letteratura che, sulle orme di Jung o indipendentemente da lui, si è variamente interrogata sulla sincronicità. Jorge L. Borges, nel suo stile tortuoso e fuorviante, adombra nel racconto Lo Zahir (in L’Aleph, Feltrinelli, Milano 1961, p. 101 sgg.) dei fenomeni sincronistici, ma soprattutto ne indica immaginosamente il fondamento metafisico).

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