‘ULISSE, NESSUNO, FILOTTETE’, Chi ha ucciso realmente i Proci? La sorprendente soluzione dei misteri dell’Odissea
Per gentile concessione dell’autore Alberto Majrani vi proponiamo l’introduzione al saggio da lui scritto sul protagonista nascosto dell’Odissea. La prefazione del libro è di Giulio Giorello; sul sito www.filottete.it e su quello dell’editore Logisma www.logisma.it/ulisse.htm ci sono interviste, riassunti e una lunga videoconferenza assieme all’archeoastronomo Guido Cossard
di Alberto Majrani©
ULISSE, NESSUNO, FILOTTETE
Chi ha ucciso realmente i Proci?
La sorprendente soluzione dei misteri dell’Odissea
Fu proprio Ulisse l’autore della strage dei Proci, oppure Telemaco si fece aiutare da qualcun altro? Chi poteva essere veramente il misterioso straniero, giunto a Itaca dopo vent’anni e che nessuno era in grado di riconoscere? Un’attenta lettura dell’Odissea ci rivela la miriade di indizi lasciati da Omero per la sorprendente soluzione. Ulisse non era… Ulisse, ma il migliore degli arcieri achei: Filottete! Con questa chiave, il poema omerico assume improvvisamente una logica e una coerenza finora insospettata. E le sorprese non finiscono qui: tutte le apparenti incongruenze dell’Iliade e dell’Odissea, che hanno afflitto generazioni di studenti ed insegnanti, creando l’irrisolta e micidiale “Questione Omerica”, trovano ora una brillante spiegazione.
IL PROTAGONISTA DELL’ODISSEA? FILOTTETE!
Strana storia, quella di Ulisse. Possibile che il re di Itaca se ne stia lontano per vent’anni, struggendosi dal desiderio di rivedere la sua patria, abbandoni una bellissima ninfa immortale per tornare da una moglie non più giovane, rientri a casa dopo una pericolosissima traversata in solitaria, nessuno lo riconosca, neanche il padre o la moglie stessa, ne ammazzi tutti i pretendenti rischiando di provocare una mezza rivoluzione, e finalmente, quando avrebbe tutto il diritto di starsene un po’ tranquillo, decida di ripartire di nascosto lasciando tutti con un palmo di naso? D’accordo, è un racconto mitologico, però, insomma, non è molto… logico!
E se Ulisse non fosse stato… Ulisse? Già in molti hanno avuto una intuizione simile, ma una possibile ricostruzione realistica della vicenda ci arriva dal formidabile e controverso “Omero nel Baltico”, saggio sulla geografia omerica di Felice Vinci, di cui potete trovare un’ampia analisi critica nella seconda parte di questo volume. Quasi di sfuggita, tra le pieghe del discorso, Vinci ipotizza che il figlio di Ulisse, Telemaco, abbia ingaggiato un mercenario per interpretare Ulisse e fare strage dei Proci, i pretendenti alla mano della madre Penelope.
Lo stesso Telemaco avrebbe poi scritturato un poeta per raccontare una fantasiosa storia che potesse giustificare tutti gli anni di assenza del padre; oggi forse un avversario politico invidioso definirebbe quel poeta un “pennivendolo di regime” (esistevano già allora, a quanto pare!). Tutto ciò allo scopo di liberare la reggia dai pretendenti che gli stavano mangiando tutte le sostanze; si aggiunga poi che se qualcuno ne avesse sposato la madre, Telemaco avrebbe perso il diritto alla successione e al regno; era lei infatti di stirpe nobile, essendo figlia del potentissimo re Icario, mentre Ulisse era un “parvenu” che si era arricchito con l’arte dei commerci, della pirateria e del saccheggio, attività fra le quali a quei tempi i confini erano piuttosto labili. I pretendenti stessi, poi, stavano tramando per toglierlo di mezzo, e quindi bisognava anticiparli al più presto.
Stavo rimuginando sulla faccenda, quando improvvisamente una possibile soluzione ha attraversato la mia mente come un lampo. Oh perbacco, io so chi era quel mercenario! Riuscite a immaginarlo? Provate a pensarci…eppure ce lo suggerisce Ulisse stesso…quando si trova nella terra dei Feaci. Ulisse afferma di essere il migliore degli Achei nel tiro con l’arco, subito dopo Filottete!
Filottete, chi era costui? Qualcuno forse si ricorda di lui grazie al simpatico cartone animato “Hercules”, prodotto dalla Disney nel 1997, tuttavia in quel caso gli sceneggiatori si sono fatti prendere un po’ troppo la mano dalla necessità di inventare una storia divertente, modificando le vicende e i ruoli dei vari personaggi mitologici, per cui sarà meglio riferirci alle fonti classiche. L’Iliade ci narra che egli era a capo di un contingente degli Achei che andavano alla guerra di Troia. Ma era stato morso ad un piede da un serpente che gli aveva causato una grave ferita. La lesione si era infettata tanto da costringere i compagni ad abbandonarlo sull’isola di Lemno. La tradizione mitica, ripresa da Sofocle in una sua opera teatrale, racconta che, secondo una profezia, Troia sarebbe caduta solo con l’aiuto delle armi di Ercole. Filottete era stato allievo di Ercole e ne aveva ereditato l’arco e le frecce, per cui venne recuperato sull’isola e curato dal medico acheo Macaone; poi, proprio Filottete avrebbe ucciso Paride, dando un contributo determinante alla sconfitta dei Troiani.
Ma certo! Il mercenario era Filottete! Questo spiega molte cose: conosceva da tempo Ulisse, e quindi si prestava bene ad interpretarlo, inoltre era “amico di famiglia”, e dunque poteva essere disposto a rischiare la pelle in una impresa così pericolosa; era poi un abilissimo arciere, evidentemente abituato a un “numero da circo” come quello di attraversare con una freccia gli anelli di dodici scuri allineate, il che presuppone anche un certo allenamento, cosa che Ulisse non poteva più avere dopo tanti anni per mare. Ammesso poi che fosse realmente dotato di questa abilità, visto che in tutta l’Iliade, poema che è molto più realistico dell’Odissea, lo stesso Ulisse non usa mai l’arco, neanche durante i giochi in onore di Patroclo, nei quali vince invece le gare di lotta e di corsa. Da notare inoltre che Omero non dice che Filottete fu abbandonato a Lemno per ordine di Ulisse: questa è un’elucubrazione dei mitografi successivi, poi ripresa anche da Sofocle, che ha rielaborato i vecchi miti per costruirci sopra il suo racconto, non molto diversamente da quanto hanno fatto gli autori della Disney! Quindi non c’è motivo per pensare che Filottete dovesse covare del risentimento nei confronti di Ulisse o dei suoi familiari.
Logicamente, i giovani di Itaca non conoscevano Filottete, ma certo qualche anziano avrebbe potuto riconoscerlo, per cui sarebbe stato necessario eclissarsi al più presto a missione compiuta. Come abbiamo detto, egli era stato ferito gravemente al piede dal serpente, il che doveva avergli lasciato una evidente zoppìa. E infatti Omero, pur senza dirlo apertamente, fa di tutto per farci capire che il misterioso straniero zoppica: infatti cammina lentamente, appoggiandosi a un bastone, viene paragonato al dio Efesto, zoppo pure lui, fino alla trovata davvero geniale della vecchia nutrice che riconosce “Ulisse” dalla ferita al ginocchio causata da un cinghiale (cosa che non viene mai accennata né nell’Iliade né nel resto dell’Odissea, in cui le gambe del corridore Ulisse sono assolutamente perfette). Il riconoscimento avviene proprio mentre gli lava i piedi, quindi ciò può significare che il problema era nel piede, e non nel ginocchio! Però Filottete non si accontentava di una cospicua ricompensa, ma voleva anche la gloria eterna! Ma siccome non si poteva rivelare l’inganno, ecco l’idea di cantarlo come “il migliore degli arcieri achei”, a detta addirittura del grande Ulisse. Ma vi pare che lo stesso Ulisse, che si potrebbe definire quasi un “miles gloriosus” ante litteram, avrebbe ammesso, nel poema a lui dedicato, che c’era qualcuno più bravo di lui?? La sua frase, più che un lapsus freudiano è un vero e proprio “messaggio in bottiglia” lanciato ai posteri, come a dire “chi ha orecchie per intendere, intenda!”. E Omero ha lasciato una miriade di messaggi simili in tutto il poema, per farci intuire il reale svolgimento della vicenda.
Quanto ad Ulisse, probabilmente doveva essere morto da tempo, ucciso in battaglia o annegato sulla via del ritorno. Lo si può dedurre dal fatto che, in tutta l’Odissea, l’idea che l’eroe sia ormai defunto viene ripetuta più volte in modo deciso, mentre l’ipotesi che possa essere ancora vivo viene avanzata in modo dubitativo. La stessa dea Atena, sotto l’aspetto del mercante Mente, si contraddice in modo palese, quando afferma di non essere un indovino, ma che vuole formulare lo stesso una profezia, per annunciare che Ulisse tornerà. Ma Mente… mente!
Ed anzi esorta Telemaco a pensare egli stesso a come cacciare i Proci, essendo ormai diventato grande, per cui il figlio di Ulisse parte a cercare notizie del padre proprio dai suoi migliori alleati. Che dire poi del fatto che Ulisse ad un certo punto discende nel mondo dei morti? O che nell’episodio di Polifemo dichiara di chiamarsi Nessuno, per cui il ciclope ripeterà che Nessuno lo acceca, Nessuno lo uccide? Altri messaggi in bottiglia, che… nessuno, finora, aveva preso alla lettera! E ancora, non appare molto sospetta la straordinaria coincidenza temporale, per cui Ulisse tornerebbe ad Itaca dopo vent’anni, e dopo poche ore suo figlio sbarcherebbe sulla stessa spiaggia, situata dalla parte opposta rispetto al porto principale? E poi, cosa dovremmo dedurre dalle tradizionali biografie, secondo le quali Omero era cieco??
Vediamo di ricostruire con ordine la vicenda, come potrebbe essersi svolta nella realtà. Il principe Telemaco, adolescente “complessato” con qualche problema con la madre, si annoia a Itaca e sta meditando il modo di liberarsi dai Proci, prima che loro si liberino di lui, e gli soffino eredità e potere. E’ arrivato a corte un vecchio cantore cieco o quasi, affetto da cataratta oppure vittima di una ferita, che ai tempi della guerra aveva assistito agli avvenimenti. Magari è stato chiamato, ironia della sorte, dai Proci stessi per il proprio divertimento. Telemaco ascolta la storia dell’Iliade e gli viene in mente un piano diabolico: partire con la nave e andare a cercare un arciere abilissimo, killer infallibile, per eliminare la concorrenza. Che poi passi dalla reggia di Nestore, sapendo di trovarlo lì, che l’idea gli venga dallo stesso Nestore o da Menelao, oppure si rechi direttamente da Filottete, e inventi una storia per giustificare la sua partenza improvvisa, questo non è dato sapere, ma ha poca importanza.
Durante il viaggio di ritorno, Filottete e Telemaco perfezionano il piano: metteranno assieme una serie di racconti e leggende di marinai, ambientati in terre lontane, per giustificare la lunga assenza di Ulisse. E così, Filottete viene sbarcato nottetempo in un angolo di Itaca, assieme alla sua ricompensa in oro e oggetti preziosi (fatta passare come dono dei Feaci ad Ulisse); anche Telemaco sbarca sulla stessa spiaggia con la scusa di andare a visitare le sue proprietà, e tornare in città a piedi, mentre la nave fa il giro e arriva in porto (per questo i Proci in agguato non la vedono transitare). Filottete-Ulisse non viene riconosciuto da nessuno, tranne che dal cane (che non può “testimoniare”, anche perché muore subito), dalla vecchia nutrice rimbambita, e in seguito dal padre Laerte, tutti destinati a morire da lì a poco senza potere smentire la loro testimonianza. Così moriranno pure tutti gli avversari di Telemaco, come tutti i Proci e una dozzina di ancelle loro compagne. Gli altri servi fedeli, come il porcaro Eumeo e il mandriano Filezio, si preoccupano di comunicarci che riceveranno in premio una bella moglie, una casa e un podere. Mentre un altro amico di Telemaco, l’araldo Medonte, guarda caso porta lo stesso nome del “vice” di Filottete, che aveva preso il comando della spedizione a Troia quando questi era stato lasciato a Lemno.
Quanto a Penelope, difficile che non ne sapesse niente fin dall’inizio, visto che è proprio lei in persona a indire la gara di tiro con l’arco da cui prenderà avvio il massacro dei pretendenti, e comunque non sarà certo lei a denunciare il figlio. Compiuta la strage, Omero viene incaricato di mettere in bella copia la storia dell’Odissea, e magari di aggiungere qualcosina (raccontata dalla viva voce di “Ulisse”) all’Iliade. E se qualcuno avesse avuto di che eccepire, il poeta sarebbe sempre stato in grado di giustificarsi: “Sono cieco, come potevo riconoscere Filottete? Nulla vidi, tutto sentii!”.
Ma c’è un altro “messaggio in bottiglia”, che vale la pena di notare: durante il viaggio di ritorno dalla reggia di Nestore ad Itaca, Telemaco porta con sé un certo Teoclimeno, in fuga per avere assassinato un uomo. Teoclimeno viene presentato a corte, dichiara di essere un indovino e profetizza che Ulisse è già in patria. Ci si aspetterebbe che Teoclimeno, se non altro per gratitudine verso Telemaco che lo ha accolto togliendolo dai guai, si offrisse di dare una mano nel momento cruciale della strage dei Proci. Invece niente, sul più bello sparisce dalla narrazione e non si fa più vedere! Già, ma sarà semplicemente un caso che “Teoclimeno” sembri quasi, come vedremo, un approssimativo anagramma di “Filottete”?
Ma torniamo ad Omero, il cui nome può significare anche “ostaggio”: è possibile che fosse un Troiano, finito prigioniero degli Achei. Questo spiegherebbe il motivo per cui si avverte che fa il tifo per i Troiani, e che conosce troppe cose accadute entro le mura di Troia; se fosse stato un cronista acheo, gli sarebbe stato difficile ricostruire gli avvenimenti troiani dopo la caduta della città. Ciò potrebbe forse spiegare anche le differenze stilistiche tra Iliade ed Odissea; per quanto simili, Achei e Troiani dovevano avere delle piccole diversità di lingua e di religione, e dopo essere vissuto per vent’anni tra gli Achei, lo stile del poeta potrebbe essersi adattato alle usanze della nuova patria.
Invece il buon Telemaco doveva essere un contaballe di prima categoria, ma che a sua giustificazione poteva esclamare “tale il padre, tale il figlio!”. Per dare un’idea di che bel tipo fosse, basta leggere la scena in cui strangola con gusto le ancelle infedeli. E comunque, era tutt’altro che un ragazzino spaurito, ma una specie di piccolo Stalin che liquidava ogni oppositore, e modificava pure la storia a suo uso e consumo! Da Omero ad Orwell c’è davvero poca differenza!
Che ne pensate? Mandiamo questa storia a Sherlock Holmes oppure al tenente Colombo? Per concludere, devo aggiungere che per me questo è stato un “serio divertimento”. Però… però ho sottoposto la mia ipotesi ad alcuni grecisti, che dopo essere sobbalzati sulla sedia ed avere strabuzzato gli occhi, hanno balbettato qualcosa come “Mah, sì, è possibile…, però non racconti in giro che glielo ho detto io!”.
Nelle prossime pagine vedremo come il poema omerico, letto in questa chiave, senza perdere nulla del suo immenso valore letterario, assuma improvvisamente una unitarietà e una logica che nessuno prima d’ora aveva mai neanche sospettato.
“Quandoque bonus dormitat Homerus”, ogni tanto dorme anche il buon Omero, proclamava Orazio… ma forse Omero era molto più sveglio di quanto si sia sempre creduto! Ora si capisce perché continuava a lodare l’arte dell’astuzia e dell’inganno!
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