Storia delle Religioni e Parapsicologia, Ernesto de Martino e Mircea Eliade a confronto
(Ernesto de Martino e Mircea Eliade, in P. Angelini, “L’uomo sul tetto”, Bollati Boringhieri, Torino 2001, pp. 126-139)
[Discussione svoltasi alla conferenza di Royaumont e pubblicata in “La Tour Saint-Jacques”, 6-7, settembre-dicembre 1956 (numero speciale La parapsychologie et le colloque de Royaumont), pp. 96-106. Traduzione e cura di Sandro Barbera, già in “Belfagor”, 53, 1998, pp. 455-65. Omessa la traduzione di due brevi interventi finali di Robert Amadou e Pierre Barruchand].
ERNESTO DE MARTINO Non è senza imbarazzo che mi accingo a trattare il tema delle relazioni tra la parapsicologia, l’etnologia e la storia delle religioni. L’imbarazzo e la perplessità che provo derivano da due motivi: il primo è che non posso parlarvi in qualità di parapsicologo, poiché non lo sono, ma solo in qualità di etnologo e di storico delle religioni, molto interessato a tutti i risultati delle scienze ausiliarie rispetto alla sua, e quindi anche ai risultati della parapsicologia. Il secondo motivo di imbarazzo e di perplessità dipende dal fatto che i rapporti tra la parapsicologia, l’etnologia e la storia delle religioni attualmente sono quasi inesistenti. Se i rapporti tra l’etnologia e la psicologia (soprattutto quella psicanalitica) sono molto avanzati in America (Benedict, Sapir ecc.), per quanto concerne i rapporti dell’etnologia con la psicologia paranormale ci troviamo ancora, praticamente, alla fase delle esortazioni preliminari. E comunque non c’è ancora una collaborazione attiva e seria, fondata cioè sull’osservazione e sulla sperimentazione in équipe.
Una foto di Ernesto de Martino
Quest’assenza di collaborazione attiva e seria ha naturalmente delle ragioni storiche e culturali, che Pierre Barruchand ha indicate nella sua relazione: la polemica antimagica della religione cristiana lungo tutto il Medioevo, la lotta della Riforma protestante contro le sopravvivenze magiche nel cattolicesimo, e della Controriforma cattolica per epurare il cattolicesimo da tali sopravvivenze, lo sviluppo infine del pensiero scientifico moderno, che a sua volta ha dovuto distinguersi dal pensiero mistico e magico. A tutto questo bisogna aggiungere il sospetto suscitato dalla “metapsichica”, la quale non era nient’altro che una mescolanza di cattiva scienza e di superstizione. In tali condizioni, la storia dei rapporti tra la parapsicologia, l’etnologia e la storia delle religioni non può essere né molto lunga né molto ricca. Quando fu pubblicata, nel 1871, l’opera di Tylor Primitive Culture, il delirio dello spiritismo aveva raggiunto il culmine in Europa e in America, e lo studio della fenomenologia paranormale non andava oltre il Report on spiritualism of the committee of the London Dialectical Society e gli “esperimenti” di Crookes sulla “forza psichica”. Si comprende allora che un etnologo come Tylor fosse spinto a prendere in considerazione l’ideologia dello spiritismo nei suoi rapporti con le superstizioni magiche primitive, e a trascurare il problema della fenomenologia paranormale. Ecco le parole di Tylor:
Riconosco che il problema delle cosiddette manifestazioni spiritiche è di quelli che meritano di essere discussi, allo scopo di distinguere in questi fenomeni i fatti poco conosciuti – e che possono essere spiegati scientificamente – da tutto quel che è illusione, frode e trucco […] Al di là della questione del vero e del falso (nelle manifestazioni spiritiche e nella magia primitiva), c’è la storia della credenza negli spiriti in quanto ideologia e opinione. Questa storia ci mostra come ciò che cerchiamo nei fenomeni cosiddetti spiritici lo dobbiamo cercare invece nella scienza dell’uomo primitivo. [E. Tylor, Primitive Culture, Murray, London 1871, vol. I, pp. 142 e 145]
Qui l’orientamento assunto dalla ricerca etnologica è oramai netto. La fenomenologia paranormale è trascurata in quanto possibilità, e l’aspetto ideologico della magia e della religione primitive costituisce il solo vero oggetto dell’etnologia religiosa. Ma questo destino “tyloriano” dell’etnologia conteneva in sé una contraddizione degna di nota. Di fatto è impossibile studiare l’ideologia magica e religiosa delle civiltà cosiddette “primitive” trascurando per partito preso la questione della realtà della fenomenologia paranormale. Non esiste scienza che possa essere fondata su fatti verificati a metà: ma l’orientamento tyloriano edifica un’etnologia religiosa e una storia delle religioni primitive con dei fatti verificati a metà, ossia verificati soltanto nel loro lato ideologico e non nell’aspetto paranormale. Lang, un etnologo inglese, ha sottolineato con forza la contraddizione. Eccone un passo assai interessante:
Tylor pensa che sia indifferente – o perlomeno lo ritiene un problema che oltrepassa il suo campo di lavoro – decidere se i fenomeni paranormali che costituiscono la base delle ideologie primitive siano o non siano dei fatti empirici. Ma il problema non è ozioso […] Tylor edifica su base etnologica una teoria delle origini della religione. Tali origini sono spiegate come il risultato di ragionamenti erronei dei primitivi riguardanti fenomeni biologici e psicologici. Ora, se i fenomeni paranormali sono oggetti reali d’esperienza, le induzioni della filosofia primitiva sono probabilmente più o meno erronee; ma le induzioni dei materialisti che respingono la fenomenologia paranormale possono a loro volta essere incomplete. È effettivamente possibile che la religione si sia sviluppata in parte su fatti che non si accordano con il materialismo, nella sua forma dogmatica attuale. [A. Lang, The Making of Religion, Longmans, London 1900, p. 43]
Ma l’orientamento di Lang non ha avuto successo nell’etnologia e nella storia delle religioni primitive. L’orientamento tyloriano – ossia ideologico – restava il modello da seguire nell’ideologia e nella storia delle religioni primitive ed è sopravvissuto al crollo di tutte le ipotesi di Tylor sull’origine della religione e della magia. Dall’epoca di Lang fino a oggi la bibliografia etnologica sull’argomento è assai esigua: vi sono, certo, delle opere scritte da cultori della metapsichica, ma si tratta di saggi privi di valore sia per la parapsicologia sia per l’etnologia. Io stesso ho tentato di affrontare il problema in una monografia pubblicata in “Studi e Materiali di Storia delle Religioni” (1946) [Percezione extrasensoriale e magismo etnologico, in “Studi e Materiali di Storia delle Religioni”, 18, 1942, pp. 1-19 e 19-20, 1943-46, pp. 31-84] e nel libro Il mondo magico (Torino 1947), dove vi è un capitolo dedicato alla fenomenologia paranormale della magia etnologica, e un capitolo dedicato alla storia dei rapporti tra l’etnologia religiosa e la parapsicologia. Ma in generale, e con l’eccezione di pochi casi, la bibliografia etnologica sull’argomento ha un orientamento nettamente ispirato a Tylor. Un etnologo come Frazer, ad esempio, lo segue fedelmente: inThe Golden Bough si limita a constatare il parallelismo tra la credenza moderna nella possibilità della telepatia e le credenze magiche primitive, ma trascura per partito preso il problema della realtà della fenomenologia paranormale [J. G. Frazer, The Golden Bough, vol. I, MacMillan, London 1911, p. 119]. Sulla base di una semi-verifica non ha esitazioni tuttavia a giudicare “tutte” le pretese dei maghi e degli sciamani come sprovviste di realtà e “tutte” le apparizioni di poteri magici come fondate sull’inganno consapevole o inconsapevole [ibidem, p. 53]. Lo stesso orientamento tyloriano si ritrova nella teoria di Lévy-Bruhl sulla mentalità primitiva. Secondo questa teoria le ideologie primitive rappresentano il risultato di una funzione mentale retta dalla “legge di partecipazione” o dalla “categoria affettiva del sovrannaturale”: l’attività di tale funzione impedirebbe di constatare la realtà “normale” e sarebbe responsabile dell’impermeabilità all’esperienza oggettiva. La teoria di Lévy-Bruhl presuppone di fatto che la fenomenologia paranormale non esista e che la realtà normale – ossia che costituisce la “norma” per l’Occidente – sia la realtà paradigmatica, la sola possibile e la sola oggettiva. Ma questo presupposto è smentito dal fatto che i fenomeni detti paranormali esistono e che le civiltà diverse dalla civiltà industriale euro-americana attribuiscono grande importanza a questi fenomeni.
L’orientamento tyloriano dell’etnologia religiosa, naturalmente, ha influenzato anche gli etnologi “sul campo”, i Feldforscher. Lang aveva proposto di inserire nelle spedizioni etnologiche un parapsicologo: il proposito era certamente prematuro ai tempi di Lang, cioè alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX, ma in ogni modo è rimasto senza risposta fino a oggi. Eccellenti monografie etnografiche come quelle di Martin Gusinde sugli indigeni delle Figi, di Trilles e di Schebesta sui Pigmei, di Rasmussen sugli Eschimesi ecc. contengono allusioni più o meno esplicite alla possibilità della psicologia paranormale, ma questi autori, come tutti gli altri etnografi, evitano di compromettersi sull’argomento oppure si limitano a osservazioni occasionali e superficiali. Per questi autori il problema fondamentale rimane in ogni caso il problema dell’ideologia primitiva, dei miti e dei riti: i poteri magici non interessano il loro orientamento tyloriano. Attualmente i rapporti tra la storia delle religioni e la parapsicologia sono ancora più problematici dei rapporti tra l’etnologia e la parapsicologia. L’etnologia religiosa e la storia delle religioni primitive hanno senza dubbio lo stesso oggetto di ricerca, e di conseguenza presentano la stessa serie di problemi riguardo alla parapsicologia. Ma l’ambito della storia delle religioni è molto più esteso di quello dell’etnologia religiosa, che si occupa soltanto delle forme di vita magica e religiosa nelle popolazioni cosiddette primitive. La storia delle religioni abbraccia tutte le religioni della terra, scomparse o ancora esistenti. Qui il problema dei rapporti con la parapsicologia si complica ulteriormente. Le grandi religioni esistenti, come quelle dell’India, della Cina o del Giappone, l’Islam e anche il Cristianesimo, presentano dei “miracoli”, ossia dei fenomeni che possono essere paranormali. Vi è certamente una possibilità di collaborazione attiva tra lo storico di queste grandi religioni esistenti e il parapsicologo. Diversamente stanno le cose per le grandi religioni scomparse, come la religione egizia o quella greca o romana, come pure per il passato delle grandi religioni esistenti. Per queste forme scomparse della vita religiosa la verifica parapsicologica è impossibile, è possibile solo l’induzione filologica o archeologica: tuttavia il progresso della parapsicologia in quanto scienza, e soprattutto il progresso della collaborazione attiva e sperimentale tra la parapsicologia e la storia delle grandi religioni viventi può avere effetti importanti, anche sull’orientamento riguardo a forme della vita religiosa appartenenti al passato. A ostacolare la collaborazione attiva e sperimentale tra la parapsicologia e la storia delle religioni esistenti vi è però una difficoltà particolare. Se per gli storici delle religioni è possibile accettare l’idea di una fenomenologia paranormale, gli storici legati a una confessione religiosa saranno probabilmente poco disposti ad accettare senza riserve per la loro religione un simile orientamento scientifico, o perlomeno limiteranno la ricerca ai soli fenomeni che non sono ritenuti essere di origine sovrannaturale agli occhi della loro religione. Ecco una difficoltà pratica per la collaborazione che il rev. Padre Omez ha affrontato in modo molto generale [Réginald Omez, autore del volume Peut-on communiquer avec les morts?, Fayard, Paris 1955, aveva tenuto alla conferenza di Royaumont una relazione dal titolo Psychologie et parapsychologie. Le point de vue d’un théologien catholique, in “La Tour Saint-Jacques”, numero speciale cit., pp. 127-34], e che solleva dei problemi importanti quando si tratta non più di un punto di vista di un teologo sulla fenomenologia paranormale, ma di rapporti tra la storia delle religioni e la parapsicologia.
Il problema di una collaborazione tra l’etnologia religiosa, la storia delle religioni e la parapsicologia riguarda anche il problema del significato culturale di tale collaborazione. Qualche studioso vede probabilmente in questa collaborazione una nuova possibilità di conferma del relativismo culturale che oggi domina una parte considerevole dell’etnologia e della storia delle religioni. In base a esso bisogna abbandonare il presupposto di una superiorità della civiltà industriale euro-americana, e bisogna ammettere la possibilità di altre civiltà altrettanto valide della nostra, ma diversamente orientate. In una recente opera etnopsicologica sul comportamento sessuale degli uomini si legge:
Molti dei popoli studiati dagli etnologi sono “pre-letterati”. Queste società sono generalmente chiamate “primitive”, ma il termine è scelto molto male. Esse non sono esemplari anacronistici di quel che millenni o centinaia di millenni prima sarebbe stata la nostra civiltà. Al contrario, sono evoluti tanto quanto i popoli europei. L’evoluzione culturale ha preso direzioni diverse nelle diverse società. Anziché specializzarsi nella tecnologia e in altri ornamenti di ciò che noi chiamiamo civiltà, i popoli “pre-letterati” hanno elaborato altri aspetti della cultura. [C. S. Ford e F. A. Beach, Patterns of Sexual Behaviour, Eyre & Spottiswode, London 1952, p. 6]
Recentemente anche il sociologo francese Claude Lévi-Strauss ha scritto qualcosa di simile [C. Lévi-Strauss, Race et histoire, Unesco, Paris 1952, p. 40, trad. it. Razza e storia, Einaudi, Torino 1967, pp. 138-39], e Piddington, un etnografo inglese, non ha esitato ad affermare che “non vi è comunità che sia più bassa, più arcaica o più primitiva di un’altra” e che “ognuna di esse rappresenta degli adeguamenti altamente specializzati, il prodotto di millenni di vita culturale fissati in una tradizione” [Riportato in V. Gordon Childe,Social Evolution, Watts, London 1951, p. 40]. Tutti questi autori, indubbiamente, non parlano della fenomenologia paranormale che prevale nelle civiltà cosiddette primitive e in talune forme di vita religiosa assai complesse, come lo yoga. Si può tuttavia interpretare la distribuzione culturale molto differenziata di questo fenomeno come l’effetto di unadattamento specializzato nel senso in cui ne parla Piddington. Non credo che sia possibile accettare un punto di vista così integralmente relativista, ma in ogni caso questo punto di vista va discusso. Dobbiamo anzitutto proporci lo scopo di stabilire le condizioni favorevoli per una collaborazione fondata sull’esperimento, di allacciare dei contatti tra le istituzioni della parapsicologia e quelle dell’etnologia o della storia delle religioni, di instaurare scambi frequenti e relazioni personali tra parapsicologi, etnologi e storici delle religioni. Il vero progresso della parapsicologia etnologica è legato all’esecuzione di questo programma.
[Segue una discussione]
MIRCEA ELIADE In qualità di storico della religione, ossia senza avere responsabilità né competenze di parapsicologo, a proposito della collaborazione tra l’etnologia, la parapsicologia e la storia delle religioni vorrei intervenire su ciò che concerne la realtà dei fatti parapsicologici che talora sono anche fatti storico-religiosi. È un peccato non aver potuto discutere qui, assieme alla relazione di de Martino, il suo libro Il mondo magico, perché è in questo libro che egli solleva il problema della realtà dei fatti parapsicologici. Cosa bisogna intendere per realtà dei fatti parapsicologici al livello dell’etnologia e della storia delle religioni?
Una foto di Mircea Eliade anziano
Per essere breve e concreto scelgo un unico esempio: il volo magico o l’ascensione, la levitazione. Per un parapsicologo l’importante è la realtà concreta della levitazione. Un parapsicologo vuole provare che c’è stata la levitazione, o che il volo magico è possibile. So bene che gli psicologi si accontentano della realtà psichica dell’ascensione, e che per uno psicologo un sogno a occhi aperti d’ascensione o di volo ha già un significato molto reale, perché questo significato cambia la psiche del paziente. Per lo storico delle religioni è molto importante trovare la credenza o il mito o il rito dell’ascensione, del volo magico, o della levitazione, anche al di fuori di ogni possibile verifica a livello di parapsicologia, perché di fronte al simbolismo del volo magico, o di fronte a riti d’ascensione o di levitazione lo storico delle religioni constata che il simbolo, il rito o il mito ha già una grandissima influenza culturale. La presenza di un complesso simbolico o rituale di questo genere prova già a livello arcaico di cultura un comportamento filosofico: o se si vuole – per dirla più chiaramente – un’idea metafisica che non si poteva immaginare esistente a quel livello.
Per lo storico della filosofia, o lo storico delle religioni, il problema della trascendenza, il problema della libertà sono problemi che appartengono a un determinato stadio di cultura. Il trascendente, la libertà spirituale sono concepiti come risultati di una certa evoluzione delle società umane: le lingue primitive difettano effettivamente di termini per esprimere la “trascendenza”, e allo stesso modo manca il vocabolo per esprimere la “libertà”. D’altro canto quelle stesse società arcaiche che non hanno termini per dire “trascendenza” e “libertà spirituale”, posseggono un gran numero di miti, riti e simboli di levitazione, volo, ascensione, e con l’intemediario di questi simboli miti e leggende esprimono la trascendenza, la rottura di ogni sistema di condizionamento: e questo vuol dire, anche per noi, l’abolizione della condizione umana.
Lo storico delle religioni è dunque felicissimo se trova espresso dai simboli, dai miti, dai riti il desiderio, la nostalgia della libertà, di un affrancarsi dal condizionamento. Si può dire che al livello della storia delle religioni tutti questi simboli hanno realtà, così come, per uno psicologo o uno psicanalista, la realtà di un’ascensione è provata da un’immagine ascensionale, e dalla ripercussione di tale immagine nella psiche profonda del paziente. Per lo storico delle religioni l’esistenza di tutti questi miti, riti e immagini d’ascensione, di volo, presenta già al livello arcaico di cultura un comportamento spirituale adulto omologabile a un comportamento moderno.
Quando ci si pone il problema di sapere cos’è la realtà di un’ascensione, di un volo per un parapsicologo, per un etnologo, per uno storico delle religioni, è molto utile osservare che al livello della storia delle religioni non ci sono rotture, non c’è soluzione di continuità tra le società più arcaiche e i mistici più evoluti. È molto importante la constatazione che i più grandi mistici delle religioni monoteistiche utilizzano l’esperienza ascensionale, e la esprimono con gli stessi simboli, con le stesse immagini di volo, di ascensione, di levitazione che già esistono al livello dei mistici primitivi.
Come trovare un accordo sulla realtà dei fenomeni paranormali? La realtà del fenomeno paranormale al livello della parapsicologia deve essere attestata da un sistema di verifica. Per un parapsicologo non c’è levitazione se non si può fotografare la levitazione. Per uno storico della religione l’esistenza della credenza in questa ascensione all’interno della religione che vuole studiare è già molto importante, perché prova l’ammirevole continuità magico-religiosa delle società più primitive in contesti culturali sempre diversi – poiché beninteso per uno sciamano che penetra fino al nono cielo l’esperienza è ben diversa da quella dell’ascensione di un santo, o di uno yogin.
E non vedo come si possa giudicare la realtà dei fenomeni paranormali con criteri parapsicologici quando ci si pone al livello dell’etnologia, o della storia delle religioni. In altre parole, se un parapsicologo accerta un ammirevole fenomeno di levitazione tra gli Australiani, e se non accerta lo stesso fenomeno di levitazione tra gli Eschimesi, può essere tentato di trarre certe conclusioni riguardo all’importanza dell’ascensione nelle rispettive religioni. E sbaglierà di certo, perché l’importante non è la possibilità reale della levitazione, ma quel che si crede e si spera di ottenere con essa.
In definitiva, il problema è sempre quello di sapere quel che ognuno di noi intende con realtà del fenomeno paranormale.
ERNESTO DE MARTINO Mi sembra che il primo punto da discutere con il mio amico professor Eliade riguardi la distinzione tra l’importanza della realtà dei fenomeni paranormali per il parapsicologo e l’importanza dell’ideologia magico-religiosa per la storia delle religioni.
Mi sia concesso fare un esempio tratto dalla storia che conosciamo meglio, la storia della Rivoluzione francese. Non credo che nello studio della Rivoluzione francese lo studioso debba accontentarsi di esaminare il comportamento degli uomini dell’89; è opportuno piuttosto che studi in che modo la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino abbia potuto modificare il comportamento delle società europee. Questo non vale soltanto per la storia delle civiltà, o per la storia civile, o per la storia politica, bensì per ogni forma di storia. Nella storia della letteratura, nella storia dell’arte ci sforziamo di valutare se colui che ha la pretesa di essere un poeta è davvero un poeta, o chi pretende di essere un uomo politico è davvero un uomo politico, e cerchiamo di procedere alla valutazione in base al criterio della realtà. Non vedo perché nella storia delle religioni dovremmo fare altrimenti. Se vogliamo che tutte le storie – delle religioni, delle letterature, della filosofia – abbiano la dignità voluta, dobbiamo abbandonare la piazzaforte che fino a questo momento costituiva [lacuna nel testo].
Eliade dice che per lo storico delle religioni l’idea, l’aspirazione o la speranza hanno un’importanza in sé, e si realizzano nel volo magico dello sciamano o dello stregone. Non vi è dubbio che la speranza, che consiste nel volersi liberare della condizione umana facendo astrazione dalla realtà di questa liberazione, ha importanza, ma non credo che il compito dello storico debba limitarsi a valutare delle idee. D’altro canto Barrucand ci ha detto – e su questo sono d’accordo con lui – che bisogna dare un orientamento “extra-europeo” al rapporto tra la parapsicologia e l’etnologia culturale; altrimenti si rischia di limitare il campo di queste esperienze a fenomeni paranormali che sono o estremamente esigui o patologici. È certo che sarebbe difficile trovare casi di fenomeni paranormali in condizioni favorevoli a Parigi o a Milano. Invece nelle campagne europee, ad esempio, si trova un terreno molto più favorevole alla loro fioritura.
Vi invito a non trascurare sul piano della nostra ricerca le possibilità culturali offerteci a tale riguardo da certe regioni europee.
MIRCEA ELIADE Utilizzo il termine “arcaico” nel senso classico dell’etnologia culturale, o dell’etnologia morfologica, o dell’etnologia funzionalista, o dell’etnologia americana.
Si intendono con “arcaiche” tutte le società che corrispondono al livello culturale situato tra il paleolitico e il neolitico, ossia tutte le società pre-metallurgiche.
De martino ha visto molto bene il problema. Si tratta di intendersi sul significato del termine “reale” e “realtà” per uno storico delle religioni e un etnologo, o per un parapsicologo. Non volevo dire che uno storico delle religioni non deve interessarsi ai fatti e ai documenti presentati dagli etnologi e dai parapsicologi; ho detto che può accontentarsi – perché è questa la sua prospettiva – di ciò che a proposito di questi fatti si crede, si fa ritualmente, si pensa ideologicamente, di ciò che si sogna con sogni a occhi aperti ecc.
De Martino ci ha dato un esempio magnifico – ma che ritengo errato – tratto dalla Rivoluzione francese. Tutti noi ricordiamo l’analogia. Non credo che si tratti di un esempio davvero esatto. Prendiamo ad esempio una persona che, di qui a mezz’ora, si proponga di assalire quest’abbazia di Royaumont e che in questo modo vuole cambiare la sua condizione sociale, politica e storica; allo scadere della mezz’ora riesce ad assalirci. Cos’è che accade? Lo storico constata che quest’uomo ci ha assalito, ed è questa la storia – ma ha al tempo stesso cambiato la sua condizione sociale, politica e storica?
Prendiamo ora un’altra persona che dice, mezz’ora dopo, di voler volare sopra quest’abbazia. In quanto storico constato che lo vuol fare, annoto il fatto che lo dice, e i suoi gesti. Ma sempre in qualità di storico, o piuttosto di psicologo, mi è sufficiente constatare che questa persona vuole volare. Se vola davvero tanto meglio per il parapsicologo. Per lo psicologo – e io non lo sono, ma immagino che così stiano le cose – se questa persona vuole volare e alo annuncia dopo mezz’ora, vuol dire che ciò corrisponde a una realtà psichica, che è molto reale. In quanto storico delle religioni constato – e de Martino è d’accordo – che ovunque esistono delle leggende, dei riti d’ascensione. Fa parte della realtà di queste società.
È a questo punto che si pone il grande problema metodologico sollevato da de Martino. Se ho capito bene, egli pensa che nel passato il desiderio di volare, di diventare invisibili, erano davvero dei fatti parapsicologicamente esatti, dunque storicamente realizzabili, e che è in seguito a tali fatti parapsicologicamente e storicamente realizzabili che l’umanità ha creduto nella possibilità del volo magico e nell’ascensione. De Martino solleva un problema molto importante e grave, perché se può dimostrare la tesi che le concezioni storico-religiose, o piuttosto magico-religiose dell’ascensione, della sparizione, della metagnomia non sono comportamenti psico-spirituali, ma sono stati o sono ancora fatti parapsicologicamente realizzabili, e che è in seguito all’esperienza concreta di un’ascensione che l’uomo ha creduto di poter volare, ciò suscita il seguente problema; può essere che tutti questi miti d’ascensione, di volo ecc. corrispondano a una certa realtà storics sorpassata dall’evoluzione dell’umanità. Può essere che, a un certo livello del paleolitico e del neolitico, uno sciamano sia riuscito a volare e che in seguito a questo fatto storico appartenente alla parapsicologia (ma che è storico perché reale, constatato) siano comparse l’ideologia, la speranza e la nostalgia dell’ascensione.
Si vede bene quale sia l’importanza di questa osservazione. Personalmente non oso spingermi tanto lontano, constato solamente i fatti. Gli psicologi mi parlano di sogni, e di sogni a occhi aperti, di ascensione, gli stessi simboli che esistono presso gli sciamani eschimesi e australiani. Dal punto di vista metodologico si tratta di un problema assai grave. I sogni a occhi aperti, tutta questa materia che interessa la psicologia del profondo, hanno anche un’origine storica? Sono fossili viventi? esperienze possibili al livello della realtà immediata dell’uomo paleolitico?
Se la risposta è affermativa, ha ragione de Martino e tutto è “storicamente condizionato”, come dice lui. L’uomo si è fatto da sé stesso e l’ideologia del volo e dell’ascensione risale al primo uomo che sia riuscito a volare, o che è stato visto volare. Oppure è vera l’altra teoria: che fin dai tempi dell’uomo paleolitico, dell’australiano constatavamo l’esistenza di una struttura della profondità della psiche in cui il volo, la levitazione, l’ascensione vogliono dire qualcosa. La realtà profonda dell’uomo dice che l’uomo riesce talora ad abolire la sua condizione umana di uomo.
Per questo non posso rispondere a quel che de Martino ha appena detto, perché egli ha sollevato il problema importante dal punto di vista metodologico che si tratta di discutere. Nemmeno lui ha potuto fornirci prove. Ma quando ha commentato l’intervento relativo al ruolo di guida dello sciamano, vedevo benissimo qual era il suo pensiero: è lo sciamano ad avere creato il modello dell’ascensione, ed è la società intera a credere, dal momento che lo sciamano ha avuto quest’esperienza, nella possibilità dell’ascensione. Si tratta di un’ipotesi. L’altra ipotesi possibile è la mia: a partire da un passato assai remoto nella psiche si trovano delle strutture che si esprimono con simboli che adesso gli psicologi ritrovano nei sogni ad occhi aperti, e che sono sempre delle realtà.
La realtà, per me come per lo psicologo, è ciò che accade. Non trascuro la realtà parapsicologica, ma di fronte a un enorme dossier riguardante l’ascensione o la levitazione sono obbligato come storico a interpretarlo e a dire cosa significa per la società eschimese il fatto che lo sciamano pretenda di salire al cielo. È il problema che ho in quanto storico, non in quanto tyloriano. Voglio constatare la realtà storica: tutto quel popolo crede all’ascensione dello sciamano; non si pone il problema di sapere se l’ascensione è reale, gli basta credere all’estasi.
ERNESTO DE MARTINO Se ci limitiamo al concetto tradizionale di natura stabilito dalle scienze rischiamo di finire in un vicolo cieco. Gli storici e gli etnologi vi diranno di non avere mai visto né incontrato la natura in sé. Occorre allora adottare la nozione di una natura culturalmente condizionata. Si tratta del resto di un concetto che le nostre scienze sostengono. Ed è possibile che in esso troviamo, se non un punto d’accordo, un punto almeno di discussione in cui potremo incontrarci con gli psicologi.
Eliade ha domandato: “Cosa significa per gli Eschimesi il fatto che lo sciamano voli?” Ora, è certo che la cosa interessa essenzialmente gli etnologi e gli storici delle religioni. Ma si pone anche il problema di sapere se lo sciamano vola realmente. Gli etnologi sono interessati soprattutto da tutto ciò che è inerente al volo dello sciamano, le sue speranze, desideri, aspirazioni. Ora, la domanda del professor Eliade “perché lo sciamano vola?” non esaurisce la questione da noi posta.
E risiede qui, forse, il mio disaccordo con Eliade. Noi ce lo domandiamo non in sé, ma dal nostro punto di vista di Europei. Non siamo dei Marziani, non possiamo metterci al di sopra della mischia, guardare le cose dal punto di vista di Sirio. Questi fenomeni non sono piante da classificare in un erbario; noi siamo uomini impegnati.
In qualità di filosofo e di storico voglio poter esprimere un’opinione sul fenomeno del volo dello sciamano e suo suo significato. Può essere che la perdita dei poteri letenti, impliciti o espliciti in Australia – ma la situazione dell’Australia non è quella dell’Île-de-France – rappresenti qualcosa di interessante in sé. Si tratta di sapere se la riconquista di questi diversi poteri implichi la perdita della nostra civiltà. Se così fosse, lasciamo pure che lo sciamano voli e non preoccupiamocene! Oppure non è così e allora lo storico (anche lo storico delle religioni) non si è mai sottratto al suo compito. Ma deve portarlo a termine affrontando con precisione e nettezza la questione, non passandole a lato. Eliade ci ha detto che la storia delle religioni dovrebbe accontentarsi di analizzare il sogno, il sogno dello sciamano, ma senza tenere conto del criterio della realtà o del valore culturale, perché questo non avrebbe senso. Ora, il valore stabilito secondo il criterio della realtà non è mai stato estraneo a nessuno storico. Perché dovrebbe essere estraneo allo storico delle religioni?
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