Storia del conflitto Indo-Musulmano fino alla creazione del Pakistan

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Il deflagrare del conflitto fra indù e musulmani è un fatto recente, questa è la breve storia di come una pacifica convivenza può tramutarsi in un’immane catastrofe in nome dell’avidità, dell’arroganza, e del fanatismo.

di Massimiliano Pizzirani

Una delle grandi tragedie del XX secolo è stata la divisione di India e Pakistan in due stati separati e nemici dopo molti secoli di convivenza non proprio totalmente ma di certo sommariamente pacifica di indù e musulmani.
I musulmani entrarono in India molto presto nella loro storia, già nell’VIII secolo il califfato conquistò il Sindh, regione occidentale del subcontinente indiano, ma fu solo nel XIII secolo che l’islam entrò prepotentemente in tutta l’India settentrionale con l’invasione turco-afghana che portò alla creazione del sultanato di Delhi nel 1206.

Da allora l’induismo e l’islam hanno convissuto insieme, all’inizio i musulmani erano solo una ristretta minoranza di conquistatori ma poi molti si convertirono e l’islam entrò a far parte delle tante tradizioni religiose indiane senza grandi contraddizioni nonostante la religione più monoteista della storia si trovasse a convivere con adoratori di idoli con pantheon dallo spropositato numero di divinità. Nonostante molti ulama (i dottori della legge coranica) cercassero di spingere i governanti a forzare gli indù alla conversione e ad imporre le leggi della sharia quasi tutti i governi islamici cercarono la collaborazione degli indù, anche perché questi ultimi erano numericamente molto superiori a loro e non era possibile pensare di governarli solo con la forza bruta.


Col passare del tempo l’islam smise di essere solo la religione dei potenti conquistatori, il sultanato cadde, nuovi stati più piccoli si formarono, alcuni indù e altri musulmani, poi vi fu la creazione dell’impero Mughal nel 1526, il più grande stato musulmano (e non) della storia indiana prima dell’India britannica. Fino alla conquista inglese non vi furono scontri comunitari, essi incominciarono per via della politica del governo coloniale.

Gli inglesi, come i sultani di Delhi e gli imperatori mughal, si trovavano ad avere il problema di governare una moltitudine di indiani avendo a disposizione un numero di forze molto limitato. Anche allora l’India era molto popolata, se vi fosse stata dunque una sommossa generale, o anche di gran parte della popolazione, l’esercito per quanto molto meglio armato e addestrato avrebbe avuto la peggio, dunque gli inglesi scelsero in un primo tempo di non immischiarsi troppo nelle faccende sociali e religiose indiane e lasciare che loro vivessero secondo i loro costumi, dal momento che alla fine ciò che era importante era che l’India pagasse le tasse e fornisse uomini per l’esercito imperiale.
Questo atteggiamento cambiò con la grande rivolta del 1857-58, quando molti dei soldati indiani dell’esercito britannico si ammutinarono e furono seguiti da una considerevole parte della popolazione. Tutto inizio dalle voci secondo cui le cartucce di un nuovo fucile erano unte con grasso di vacca (sacra agli indù) o di maiale (immangiabile per i musulmani), e che avrebbero dovuto essere prese con i denti nel processo di caricamento. Vi erano certo altre cause, come la paga di molto inferiore ricevuta dagli indiani in confronto ai soldati inglesi, ma il fatto che fosse stata una motivazione religiosa ad essere la miccia della grande rivolta (che per quanto destinata in partenza alla sconfitta andò molto vicina a cacciare gli inglesi dall’India) convinse il governo coloniale che non si poteva più lasciare gli indiani a briglia sciolta. Oltre a varie riforme dell’esercito per aumentare il numero di soldati inglesi e per escludere quelle categorie sociali che erano state coinvolte nella grande rivolta per mantenere più facilmente il controllo i britannici cercarono l’alleanza dei ceti dominanti. Questo ebbe una conseguenza che può sembrare assurda, e cioè che gli inglesi divennero i primi difensori del sistema castale e delle leggi tradizionali.

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Il dominio inglese aveva causato un terribile impoverimento dell’India, le cui risorse economiche erano risucchiate dai colonizzatori per finire tutte nella madrepatria, questo causò anche un irrigidimento della società. Non era possibile creare industrie locali (come gli ultimi governanti prima della dominazione britannica stavano tentando di fare), perché l’India doveva essere solo una produttrice di materie prime, agli occhi degli inglesi non era affatto necessario lo sviluppo economico, anzi era controproducente perché avrebbe creato concorrenza per le industrie inglesi. Così L’India si bloccò magicamente diventando quella che gli studiosi orientalisti europei descrivevano come una terra senza storia e senza progresso. Gli inglesi utilizzarono molti orientalisti come consiglieri per sapere come agire nei confronti della popolazione, come cioè essa doveva essere governata, e questo finì per essere disastroso per l’India. Gli orientalisti non sapevano né capivano nulla, erano tutti presi a creare il mito della superiorità occidentale e diversi di loro non erano nemmeno mai stati realmente in India, conoscevano solo gli antichi testi della tradizione, e partendo dal presupposto che gli indiani non conoscono il progresso pensarono bene che governarli significasse applicare leggi contenute in testi vecchi di 15-20 secoli, perché tanto nel frattempo la società non doveva essere cambiata.
Così gli inglesi con la loro politica economica e il loro governo fecero nascere la cosiddetta “India tradizionale”, in pratica cioè crearono loro quell’idea di India che era nella mente degli orientalisti. Purtroppo accanto ai movimenti per le riforme sociali e religiose e per l’ottenimento dell’indipendenza si svilupparono anche i movimenti tradizionalisti, essi sono sopravvissuti fino ai giorni nostri e hanno avuto un peso sostanziale nell’aiutare gli inglesi a creare una frattura fra indù e musulmani, convincendo una parte notevolmente larga della popolazione che essere indiano significava essere indù.
Per quanto riguarda i musulmani il governo coloniale ebbe l’idea di usarli per creare scompiglio nella società indiana. Dal momento che dalla fine dell’800 i movimenti riformisti che aspiravano ad una futura (per quanto graduale e magari non totale) indipendenza dell’India si facevano sempre più forti quando nel 1906 l’Aga Khan (il capo dei musulmani ismaeliti) chiese udienza al vicerè lord Morley chiedendo, in nome dell’importanza storica e culturale dell’islam, degli elettorati separati per i musulmani e una iperrappresentanza che desse loro un numero di seggi superiore alla loro reale presenza demografica la sua richiesta fu subito accolta. In questo modo privilegiando i musulmani gli inglesi si aspettavano di creare un altro strato della popolazione che sarebbe diventato filobritannico perché in cerca della protezione inglese (come già erano i principi, i proprietari terrieri e i grandi mercanti), mettendo l’uno contro l’altro indù e musulmani.


Sempre nel 1906 si ebbe la creazione della lega musulmana (muslim league) che si proponeva di rappresentare gli interessi politici dei musulmani indiani e fare da contraltare al congresso (all-India congress), che era fino ad allora il principale partito politico che lottava per ottenere una indipendenza almeno limitata.
Ma questo fu solo l’inizio, perché la lega e il congresso per quanto divisi su alcuni punti miravano entrambi all’indipendenza dell’India, e su questo almeno inizialmente trovarono un accordo comune che li fece unire in alleanza. Tuttavia i rapporti comunitari erano destinati a deteriorarsi in maniera decisiva negli anni a venire. Proprio in quel periodo (1905) vi fu la decisione da parte del vicerè lord Curzon di dividere in due il Bengala. Curzon era un efficientista e la regione del Bengala era la più vasta e popolosa dell’India britannica, pensava dunque di dividerla per migliorare la possibilità di governarla, e decise per una divisione di tipo religioso: da una parte i territori a maggioranza indù e dall’altra quelli a maggioranza musulmana. Questa decisione portò a violenti moti di protesta ma fu attuata comunque. I musulmani che vivevano nel Bengala orientale dopo la spartizione godettero di condizioni migliori, avendo l’opportunità di accedere all’amministrazione pubblica (per decisione del governo coloniale), ed erano quindi restii a protestare anche loro contro la spartizione, il movimento di protesta proseguì ancora a lungo ma a poco a poco calò di intensità. Non esisteva ormai più quando salì al trono Giorgio V nel 1911, il re, che quando aveva visitato l’India era rimasto colpito dalle proteste per la spartizione, la fece revocare quando ormai sembrava una cosa fatta e pareva non ce ne fosse più ragione. Questa decisione deluse profondamente i musulmani, i quali persero totalmente fiducia negli inglesi che apparivano agire illogicamente ed essere contrari all’islam, così le correnti politiche più radicali ebbero la meglio nel rilanciare l’idea della difesa degli interessi della comunità musulmana, vista sempre di più come una comunità a parte e sempre più circondata da nemici.

Il congresso e la lega negli anni che li videro lottare per l’indipendenza passarono dall’alleanza al conflitto, soprattutto per la questione degli elettorati separati e perché da parte della dirigenza del congresso c’era l’idea di fondo di voler fare l’India da soli in quanto veri unici rappresentanti del popolo indiano, mentre la lega era vista come una organizzazione settaria senza alcun diritto di autorità. Dopo 20 anni di tentativi di accordo nel 1937 Ali Jinnah, capo della lega musulmana, decise che non era possibile scendere a patti col congresso ed era necessario distruggerlo. Fu in quel periodo che nei suoi discorsi incomincio a nascere l’idea del Pakistan, di una terra in cui i musulmani avrebbero potuto essere padroni e non sempre una minoranza bisognosa di protezione, ed anche l’idea che i musulmani fossero una comunità staccata ed altra rispetto al resto della popolazione indù (idea che storicamente non ha alcun fondamento, e che probabilmente lo stesso Jinnah non intendeva in maniera così netta come poi fu applicata).

Gli incidenti inter-comunitari crebbero di anno in anno, e ai vertici un accordo era ormai impossibile. Nehru, a capo del congresso, e Gandhi, che anche quando si ritirò ufficialmente dalla politica comunque esercitava la sua autorità, erano entrambi assolutamente contrari all’idea della divisione dell’India, tuttavia negli anni ’40 chiunque osservasse la situazione con un po’ di realismo si rendeva conto che ci si era spinti ormai troppo oltre e, una volta ottenuta l’indipendenza alla fine della guerra, la separazione sarebbe stata inevitabile.

Nel 1946 si cercava di definire i termini del passaggio dei poteri agli indiani, ma il congresso e la lega continuavano a litigare stupidamente rendendo di fatto vane le trattative. Il 16 agosto la lega indisse una giornata di protesta per dimostrare il suo effettivo seguito popolare, il risultato fu lo scoppio a Calcutta di una tremenda guerra civile che causò in meno di un mese più di 4000 morti e 10000 feriti e che si diffuse a tutto il resto dell’India provocando continui episodi di violenze e distruzioni che non era più possibile fermare.

Il 15 agosto 1947 si ebbe la creazione dell’India e del Pakistan, ma essa avvenne in un bagno di sangue. Il Punjab, la storica regione culla di tutti i più grandi stati dell’India del nord, venne diviso a seconda della religione dei suoi occupanti, gli scontri furono seguiti da immense emigrazioni di milioni di indù che fuggivano dal Pakistan e musulmani che fuggivano dall’India causando nel solo Punjab circa 180000 morti. La divisione ha inoltre creato due stati separati e nemici occupati a pensare di distruggersi l’un l’altro, segno che l’andare per la propria strada spesso non è sinonimo di pace.


Non si parla qui di Gandhi o di Nehru e delle loro idee politiche perché sarebbe troppo lungo, però affinché questa storia abbia un senso è necessario dire qualche parola riguardo ai protagonisti che nel bene e nel male l’hanno creata.
Chi ha gettato il seme che ha portato a questa divisione che ora sembra così irrevocabile non è stato l’induismo pervaso di tradizionalismo, né il classico fanatismo che è attribuito ai musulmani, ma è stata colpa degli inglesi, dei loro interessi economici e politici.

Gandhi è morto nel 1948, era allora un uomo molto triste e deluso che vedeva il suo sogno di un’India ambasciatrice della non violenza nel mondo sfumare per sempre. All’inizio di quell’ultimo anno di vita tuttavia trovò comunque la forza per lottare ancora e cercare almeno di diminuire il massacro, minacciando di lasciarsi morire di fame fermò magicamente la popolazione di Delhi dall’unirsi alla guerra civile. Pochi giorni dopo venne ucciso da un integralista indù. Fu allora che l’immensa ondata di violenza che si era propagata di colpo si fermò, l’assasinio (insensato anche perché Gandhi aveva allora già 77 anni) di colui che non aveva mai fatto differenze fra indù e musulmani riportò le folle alla ragione mostrandogli la futilità dei loro gesti. Fu così che il Mahatma ottenne con la sua morte quello che all’apparenza non aveva mai ottenuto in vita con tanti movimenti di protesta non violenta in India. Nehru ebbe poi in mano le redini dello stato indiano per vent’anni, ed è a lui che si deve il carattere laico dell’India moderna. Senza di lui le forze conservatrici avrebbero creato uno stato indù integralista esattamente come poi è divenuto integralista il Pakistan. Lo si può accusare di non aver mai voluto trovare un accordo con la lega, creando poi una spaccatura decisiva, ma non lo fece mai con l’idea di fare qualcosa contro i musulmani, ma per la volontà di creare uno stato che rappresentasse tutti i mille volti dell’India.

E per ultimo Jinnah. Il Pakistan viene additato come un esempio del fanatismo musulmano. Jinnah non era un uomo religioso, e non gli è mai interessato difendere l’islam in quanto religione, lui voleva difendere la comunità islamica, le persone. Se poi la storia del Pakistan ha preso una certa direzione non è colpa sua né dell’islam o dei Pakistani, sarebbe successa la stessa cosa in India senza la fortissima personalità di Nehru, perché ormai non bastavano più le buone intenzioni dei protagonisti per evitare la tragedia. La colpa è da attribuire alla Storia stessa, quella con la S maiuscola, perché nella vita degli uomini come delle nazioni quando si oltrepassano certi limiti poi si può solo precipitare, e se questa storia nella Storia ha qualcosa da insegnare è proprio di fermarsi prima che quel limite venga superato.

Fonte – http://www.peacelink.it/storia/a/12758.html

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