Saubha – le ‘città volanti’ dell’antica India
di Enrico Baccarini© – Nella lunga ricerca che ormai da molti anni ci vede coinvolti nei paesi asiatici e nei loro misteri più reconditi, e a maggior ragione l’India, non sono stati rari i casi in cui ci siamo dovuti confrontare con riferimenti a dir poco stupefacenti riguardanti le così dette Saubha, ovvero le città volanti degli dei.
Il termine, secondo il Dowson’s Classical Dictionary of Hindu Mythology indica:
Una città magica, menzionata apparentemente per la prima volta nello Yajurveda. Una città volante che appartenne a Harischandra e, secondo la credenza popolare, è ancora visibile occasionalmente. Viene anche chiamata Khapura, Pratimargaka, e Tranga. Nel Mahabharata una città aerea apparteneva ai Daityas, ed era posta sulla riva del mare protetta dal re Salva.
Nel Dizionario sanskrita.org troviamo invece le seguenti distinzioni del termine:
सौभ saubha [ saubha ] – m. ( also written śaubha ) N. of the aerial city of Hari-ścandra ( q.v. ) MBh. BhP., of a town of the Śalvas MBh., a king of the Saubhas ib., pl. N. of a people ib.saubha-dvāra [ saubhadvAra ] – n. il cancello di un Saubha ib.
saubha-nivāsin [ saubhanivAsin ] – m. pl. gli abitanti del Saubha ib.
saubha-rāj [ saubharAj ] – or m. il signore o re delle Saubhas ib. BhP.
saubha-rāja [ saubharAja ] – m. il signore o re delle Saubha ib. BhP.saubhâdhipati [ saubhAdhipati ] – m. il sovrano delle Saubha MBh.
Nel nostro testo I Vimana e le Guerre degli Dei, abbiamo dedicato ampio spazio alle città volanti delle divinità indiane e abbiamo riscoperto passi di alcuni antichissimi manoscritti in cui veniva indicato come, in molti casi, queste fortezze volanti ospitassero al loro interno i ben più noti Vimana, i ‘carri volanti degli dei’.
Se il mito si è sovrapposto alla storia, le descrizioni che abbiamo di questi velivoli e delle stesse Saubha sono oggi più che mai sconcertanti non solo per la loro dovizia di particolari ma soprattutto per la descrizione di componentistiche tecnologiche difficilmente immaginabili se non avessero avuto, da parte di chi li descrisse, un retroterra reale da cui presero spunto.
Nel Vana Parva, uno dei libri da cui è composto il Mahabharata (Capitoli 168, 169 e 173) è narrata la battaglia divina tra Arjuna e gli Asura (demoni), questi possiedono delle città sottomarine o sotterranee che sono descritte con le seguenti parole:
“Arjuna ascese al cielo verso gli esseri divini e celesti per imparare la gestione delle armi. Durante questo soggiorno, Indra, signore del cielo, chiese ad Arjuna la distruzione dell’intero esercito degli Asura“.
“Gli Asura erano 30 milioni di Demoni che vivevano in fortezze nelle profondità dei mari. Indra, signore del cielo,affidò ad Arjuna il proprio veicolo volante che venne pilotato da Matali il suo abile assistente di volo. Questa nave era in grado di muoversi anche sott’acqua. Nella feroce battaglia che ne seguì, piogge diluviali furono provocate dagli Asura, ma Arjuna approntò un arma divina, in grado di sezionare tutta l’acqua. Gli Asura furono sconfitti, e dopo la battaglia, Arjuna scese verso le dimore dei demoni sconfitti rimanendo affascinato dalla bellezza e dal lusso di queste città subacquee. Arjuna chiese a Matali la storia di queste città, venendo a sapere che erano state originariamente costruite dagli dei per il loro uso personale“.
Capitolo 102 del VanaParva
Gli Asura erano emersi dalle loro città sotterranee, tormentando l’uomo e gli dei. Quando Arjuna ritornò in cielo con il suo indistruttibile veicolo anfibio,scoprì una città meravigliosa che si muoveva sul suo asse al centro dello spazio. “La città appariva raggiante, bella, piena di edifici, alberi e cascate ed era sorvegliata da vedette munite delle armi più diverse.”
Arjuna venne informato circa l’origine di questa splendida città celeste e Brahma Matali lo inforno’personalmente che la città era chiamata Hiranyapura (Citta’ d’orata). Il Creatore Onnipotente, Brahma, aveva lasciato che gli Asura abitassero questa città. Ma gli Asura furono istituiti per espandersi in città, lontano da Brahma e dagli altri dei.
E distrussero la città dei demoni.
E dal momento che Arjuna aveva combattuto i demoni, Matali lo istigò a distruggere la città volante. Quando Arjuna arrivò nella costruzione spaziale, lottò contro i demoni con armi potenti:
“Arjuna innescò una terribile battaglia, durante la quale la città volante venne spazzata via dal vento verso terra, sballottata da una parte all’altra, fino a sprofondare nelle profondità. Dopo la lunga battaglia, Arjuna sparò un proiettile (Astra) mortale che distrusse l’intera città in mille pezzi, lasciando cadere le macerie sulla a terra. I sopravvissuti tra gli Asura, abbandonati tra le rovine, continuarono a lottare duramente e infine Arjuna concluse la battaglia con l’aiuto dei potenti Pasupata distruggendo tutti gli Asura.
Indra e gli altri Dèi festeggiarono Arjuna come un eroe.
Leggendo il capitolo 3 (versetti 6-10) del Sabha Parva, troveremo il ulteriori riferimenti alle città celesti indiane.
Nella trattazione della storia si afferma che Maya, l’architetto degli Asura, aveva programmato con Yudhisthira, il maggiore dei Pandava, una splendida sala di montaggio di metalli in oro, argento e altri, presidiata da 8.000 lavoratori, trasferendola in cielo. Quando Yudhisthira chiese al saggio Narada se una camera così maestosa fosse mai stata costruita prima di allora Narada rispose che simili sale celesti erano dedicate agli Dèi Indra, Yama, Varuna, Kuvera e Brahma.
Secondo il saggio Narada, la sala riunioni di Indra possedeva le dimensioni (espresse in cifre attuali) di 16 miglia di altezza, 1.200 chilometri di lunghezza e 8 km di larghezza.
E ‘oltremodo incredibile quanto che Narada racconta:
“La città di Indra rimase permanentemente nello spazio. Fu costruita interamente in metallo e conteneva edifici, abitazioni e impianti. Era così ampia, che piccoli oggetti volanti (i Vimana, ndr) potevano fare accesso all’interno di essa. La sala riunioni Yama aveva una lunghezza di 750 km, costruita in modo simile, e dotata di tutti i servizi per una vita confortevole ed era circondata da un muro bianco che lampeggiava quando un veivolo era in viaggio attraverso il cielo. La camera di Varuna era sotto l’acqua nelle profondità degli oceani ma mancavano i comfort per una vita lussuosa. La sala riunioni della Kuvera era la più bella di tutto l’universo. Misurava tra i 550 e 800 chilometri, sospesa liberamente in aria, al suo interno vi erano palazzi dorati. Ma il luogo d’incontro più fenomenale era quello di Brahma poiché era il più difficile da raggiungere e sembrava un vero quadro mentre si muoveva attraverso l’universo con il sole e la luna pallida nelle sue vicinanze“.
Risulta più che mai facile liquidare queste descrizioni e racconti come il semplice frutto della fantasia di qualche ‘antico poeta’, ma l’evidenza che sta emergendo sempre più è quella di una realtà dimenticata e di un mondo ritenuto perduto che con sempre più forza stanno reclamando il proprio posto nella storia. Evidenze che dalla loro parte sono avvalorate dagli studi di retroingegneria effettuati su antichissimi manoscritti in sanscrito, custodi non solo di una sapienza religiosa e filosofica ma anche e sopratutto di una tecnologia dimenticata.
Enrico Baccarini©
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