Meditazione trascendentale e malattie cardiovascolari

Le persone affette da malattie cardiovascolari che, a fianco della terapia tradizionale, praticano le tecniche anti-stress della Meditazione Trascendentale vedono ridotti i tassi di mortalità per infarto e ictus del 47 per cento rispetto ai controlli

Le persone affette da malattie cardiovascolari che praticano le tecniche di riduzione dello stress messe a punto dalla Meditazione Trascendentale hanno tassi di mortalità per infarto e ictus inferiori del 47 per cento rispetto ad analoghi pazienti che hanno seguito un programma di educazione alla salute. E’ questo il risultato di uno studio condotto presso il Medical College of Wisconsin, a Milwaukee, pubblicato sugli Archives of Internal Medicine.

Lo studio, durato nove anni, è stato condotto su 201 pazienti afro-americani con età media di 59 anni, sofferenti di stenosi coronarica assegnati in modo casuale a uno di due gruppi: il primo praticava le tecniche di Meditazione Trascendentale, il secondo seguiva corsi di educazione alla salute che facevano riferimento ai fattori di rischio tradizionali e portavano a modificazioni della dieta e a un aumento dell’esercizio fisico. Durante questo periodo, i partecipanti allo studio hanno continuato ad assummere i farmaci per i fattori di rischio di malattie cardiovascolari, tra cui anti-ipertensivi e farmaci contro le iperlipidemie, eventualmente prescritti.

Questi risultati costituiscono la più significativa documentazione finora prodotta delle possibilità di intervento sulle relazioni mente-corpo nelle malattie cardiovascolari, e indicano che la riduzione dello stress con la tecnica TM è un approccio efficace nella prevenzione delle malattie cardiache“, ha detto Robert Schneider, uno degli autori.

L’effetto, osservano i ricercatori, è sempre rilevabile, “tuttavia, è maggiore nei soggetti che stanno assumendo regolarmente i farmaci standard“, ha detto Schneider.

Di conseguenza, la meditazione dovrebbe essere considerata un complemento e non un sostituto delle consuete cure mediche“, ha concluso Theodore Kotchen che ha partecipato allo studio. (gg)

Fonte – Le Scienze, 29 giugno 2011

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