Magia e Antropologia di Leonella Cardarelli

di Leonella Cardarelli

Magia: Finzione o Realtà? Ve ne presentiamo una lettura in chiave antropologica

Magia: finzione o realtà?
La magia ha sempre esercitato un grande fascino su tutti noi, anche sul nostro popolo occidentale che ci ha sempre insegnato che la magia non esiste. “La magia non esiste” ci è stato ripetuto dai grandi quando noi, da bambini, guardando i cartoni animati restavamo incantati dai poteri magici di eroi e principesse, salvatori dell’umanità ecc. Una parte di quei bambini ha creduto ai grandi e si è rassegnata all’idea che la magia è solo finzione, anche perchè provando a ripetere le formule magiche dei nostri eroi dei cartoni ha visto che su di noi non sortivano lo stesso effetto. L’altra metà di quei bambini invece ha continuato a sognare, a credere che da qualche parte di questo mondo o semplicemente da qualche parte dentro noi stessi la magia potesse funzionare. Ma allora la magia cos’è? E perché per alcuni esiste e per altri no? A tale quesito ha risposto per noi il celebre etnologo napoletano Ernesto De Martino (1908-1965).

I poteri magici secondo De Martino
Ernesto De Martino ha dedicato al fenomeno della magia un’intera opera, Il mondo magico (1948). In questo saggio passa in rassegna un cospicuo numero di documenti etnoantropologici (soprattutto relativi allo sciamanesimo) e si chiede come mai la magia per alcuni esiste e per altri no. L’etnologo riporta ad esempio un frammento del saggio The Umu-Ti, or Fire Walking Ceremony di W. E. Gudgeon in cui l’autore descrive le pratiche di signoreggiamento del fuoco e la camminata sulle pietre roventi. Riporta poi passi di documenti che descrivono gli specchi magici, attraverso i quali sono stati identificati ladri e delinquenti o previsti fenomeni avverati posteriormente. Anche Marco Polo, descrivendo una seduta sciamanica a cui ha assistito alla fine del 1200 ad est dell’attuale Birmania, non si vergognò ad ammettere che dopo la seduta il malato guarì effettivamente. De Martino sostiene che il problema dell’esistenza della magia deriva dal concetto di realtà. Il concetto di realtà per gli occidentali esclude l’esistenza della magia, per altri popoli invece il concetto di realtà include la magia stessa. De Martino afferma che

proprio la resistenza ad accettare il problema (cioè l’esistenza dei poteri magici, nda) deve diventare a sua volta un problema per il pensiero: almeno nella misura in cui l’indagine vuol essere critica, cioè libera da presupposti dogmatici.

Prosegue poi riportando il seguente passo di S. M. Shirokogoroff:

E’ d’uopo accostarsi al problema con intenti positivi di ricerca. […] Lo scetticismo dovuto all’ignoranza e al pregiudizio non ha permesso la raccolta e la pubblicazione dei fatti. In realtà sino ad alcuni anni fa chiunque avesse osato discutere tali questioni o pubblicare i fatti avrebbe incontrato la critica degli ‘uomini di scienza’ per i quali tutto ciò rientra nella ‘superstizione’, nel ‘folclore’, nel ‘difetto di critica’ e simili, mentre poi essi stessi sono prigionieri delle teorie esistenti e delle ipotesi accettate come ‘verità’.

Come si ponevano, infatti, gli scienziati (o più in generale gli occidentali) di fronte ai poteri dello sciamano? De Martino, dopo aver esaminato un cospicuo numero di documenti,

giunge a considerare quegli ‘stati psicofisici’ e quei ‘poteri’ non come aberrazioni patologiche, ma come esperienze corporee reali. Ciò però non significa procedere a un accertamento della ‘verità’ degli stati psicofisici, dei poteri e delle pratiche ‘paranormali’, ma spinge a mettere in gioco una più ampia apertura alla discussione e al confronto: De Martino, infatti, mostra come il problema dei poteri magici coinvolga non soltanto la qualità di tali poteri, ma anche il nostro stesso concetto di realtà, cioè non solo l’oggetto dell’osservazione ma anche la ‘categoria giudicante’ che guida l’osservatore.

In poche parole, quindi, De Martino sostiene che il fatto di credere o no alla magia o di ritenere valida una certa pratica dipende sostanzialmente da come noi ci poniamo di fronte ad essa, dalle nostre griglie interpretative. Le categorie mentali di realtà e di normalità non sono le stesse ovunque.

Magia, scienza ed energie
La magia è un atto volto a modificare la realtà. Anche la visualizzazione è magia, tuttavia con il termine magia si intende comunemente un rituale (cioè un incantesimo, tanto per intenderci) corredato di precisi accessori: candele, nastri colorati, incenso, cannella ecc. a seconda della funzione del rituale stesso. Ciò che fa funzionare l’atto magico è il pensiero, l’intenzione. Tutti gli altri elementi hanno il ruolo di potenziare il pensiero stesso, in quanto si tratta di oggetti simbolici che conferiscono maggiore potere al rito. Il rito in sé e per sé è solo un mediatore, ciò che conta è il pensiero.
La magia è tante cose, o meglio… tante cose rientrano nella magia, per questo la magia, secondo me, può essere di due tipi: casuale o intenzionale. La magia casuale è quella esercitata dal pensiero positivo o dalla visualizzazione. Se ad esempio io devo sostenere un esame e sono ottimista, penso che ce la farò, l’esame mi andrà sicuramente bene perché a forza di essere ottimista mi convincerò che andrà tutto bene e se ne convincerà anche il mio subconscio. Finirò per crederci e creerò così la mia realtà. Quello è un atto di magia, ed è casuale in quanto il soggetto non sapeva che il suo pensiero positivo avrebbe influenzato l’esito dell’esame, attraverso il subconscio (è il subconscio che modella la realtà). Allo stesso modo chi sogna sempre ad occhi aperti di veder realizzato un suo grande desiderio, molto probabilmente lo vedrà realizzato sul serio in quanto la visualizzazione è un potente atto magico. Spesso si dice “smettila di sognare ad occhi aperti”, invece è proprio sognando ad occhi aperti che potremmo realizzare i nostri sogni.
Pensiero positivo e visualizzazione possono essere usati anche intenzionalmente, anzi, una volta che se ne conoscono le virtù possono diventare delle vere e proprie tecniche magiche. Nella magia intenzionale rientrano poi i riti, cioè i piccoli incantesimi volti a modificare la realtà. Anche la telepatia può essere considerata un atto magico, soprattutto se telepaticamente inviamo a qualcuno pensieri d’amore, di guarigione o buoni consigli.
La magia si divide in:

-magia bianca: è volta al bene;
-magia rossa: è volta all’amore;
-magia verde: è volta al bene ed utilizza le energie della natura;
-magia nera: è la magia malefica, volta a fare del male e fa ricadere il male su chi la pratica.

A prescindere dalle pratiche magiche bisogna sempre tener presente che ogni cosa che facciamo ci torna indietro. Se fai del bene ti tornerà indietro il bene, se fai del male ti tornerà indietro il male (questa è una delle leggi dell’universo). Qualsiasi cosa fai, ti tornerà indietro.
Un tipo di magia piuttosto conosciuto è la magia wicca. La wicca è una religione pagana che utilizza la magia e deriva dallo sciamanesimo. Solitamente nella magia wicca si fa uso dei simboli runici, che sono simboli molto antichi e potenti, utilizzati anche a fini di vaticinio. Nel Medioevo sono state bruciate al rogo molte streghe in quanto si credeva che fossero legate al diavolo. La parola strega deriva dal latino striga che a sua volta deriva dasl greco strigòs che vuol dire uccello notturno. Presso gli arabi la strega è detta sahirat, dal maschile sahir che a sua volta deriva dal verbo sahar cioè stregare, fare incantesimi. La strega è detta altresì fattucchiera, termine proveniente da feticcio, mentre in francese si dice sorcier che proviene da sorts, sorti (il sorcier è colui che predice le sorti). La strega è stata sempre vista di cattivo occhio, in realtà essa era (ed è) semplicemente una donna saggia che conosce le forze della natura e sa come utilizzarle a favore suo e della comunità. Solitamente si fa distinzione tra il termine mago e il termine stregone: il mago opera a fin di bene e gode di un riconoscimento sociale, è anche un guaritore. Lo stregone, di contro, può utilizzare i poteri magici anche per danneggiare il prossimo James Frazer (1854-1941) nel suo celebre saggio The golden bough (Il ramo d’oro, 1922) sostiene che l’evoluzione dell’uomo è passata attraverso tre fasi: magia, religione, scienza. Per Frazer quando l’uomo non riusciva a spiegarsi i fenomeni della natura, se li spiegava dapprima con la magia, poi, a mano a mano che si evolveva, con la religione ed infine con la scienza. In realtà la storia dell’uomo non è da intendersi in termini evolutivi bensì ciclici.
Ioan P. Couliano in Alcune riflessioni sulla magia e la sua fine parla di morte della magia. Egli afferma che

il paradigma magico, così come era inteso nel Rinascimento ficiniano, sia defunto sul finire del Seicento. Il suo funerale è un dato di fatto e si è celebrato a certe date molto precise in ognuno dei paesi europei […] e secondo le tradizioni storiche locali.

L’autore sostiene che la magia sia morta per lasciar spazio alla scienza e alla religione, dietro le quali essa si cela e ciò presuppone una continuità della magia anche se Couliano è convinto della sua morte. A mio parere però la magia non è morta semmai è morto il suo concetto di realtà. Oggi vi sono anche studiosi che connettono la magia con l’alchimia e la fisica moderna (fisica dei quanti) e personalmente ritengo che l’approccio di De Martino sia molto più corretto di quello di molti scienziati.

Magia e antropologia
Molti sono i popoli che fanno uso di riti magici. In alcune aree africane in cui si professa il cristianesimo o la religione musulmana sono sopravvissute pratiche autoctone che fanno uso di magia. E’ interessante notare come la magia sia intesa da queste culture come una parte stessa della religione, mentre per il cattolicesimo si tratta di qualcosa da bandire assolutamente. Alcuni riti sono particolarmente interessanti e vale la pena approfondirli.
Prendiamo come esempio il candomblè. Il candomblé è una religione afrobrasiliana (ma è diffusa più o meno in tutto il Sudamerica) che adora gli Orixàs, termine con cui si identificano le divinità naturali. Il Brasile, così come il Sudamerica in generale, ha risentito fortemente delle influenze africane. Gli schiavi deportati in America Latina hanno portato con sé anche la loro cultura e le loro credenze ed hanno fatto di tutto per non perderle, partorendo così nuovi culti che si sono mescolati alle pratiche autoctone. Il termine ‘candomblé’ è di origine africana e in lingua yoruba (il popolo yoruba è un popolo dell’Africa occidentale) significa danza, festa, perché le divinità si invocavano danzando e cantando. Non è un caso, infatti, che in Africa il ballo è di pregnante importanza in ambito culturale ed anche in Sudamerica si dà molto valore al ballo come forma di comunicazione. Il Candomblé si è diffuso in Sudamerica nel XIX secolo e ha il suo perno nella possessione e nella credenza che la natura abbia una sua propria anima: gli Orixàs, non riuscendo più a comunicare con noi umani, entrano nei corpi delle sacerdotesse (Mãe de santos o, nel caso di uomini, pai de santos) tramite le quali diffondono energia vitale, chiamata Axè. Gli Orixàs sono molti ed hanno grandi affinità con i nostri santi cattolici, con gli dei greci, romani e con le altre divinità. Ciò ci ricorda che le energie della natura, per quanto le si voglia chiamare con nomi differenti, sono le medesime in ogni luogo. Ad esempio l’Orixà Oxalà è il nostro Gesù.
Un rito magico piuttosto conosciuto anche da noi è il rito dell’eliminazione del malocchio. Con il termine malocchio si intende un pensiero negativo che qualcuno ci ha “buttato” con lo sguardo, perciò ha questo nome. A credere nel malocchio sono in special modo le aree mediterranee, mediorientali ed ispanoamericane, ma la credenza nel malocchio è diffusa in tutto il mondo, anche in Messico (dove si chiama daño) Se una persona è invidiosa di me o mi vuole male, essa mi manderà pensieri negativi o mi auguererà il male. Premettendo che ogni pensiero negativo o azione malefica torna indietro a chi la produce e provoca l’accumulo di nuovo karma da pagare, dobbiamo tener presente che i pensieri, positivi o negativi che siano, volontari o involontari, arrivano.
I nostri pensieri non sono tutti nostri, sono anche quelli che ci mandano gli altri, consciamente o meno, e noi li consideriamo comunque nostri. Quando una persona è particolarmente stanca, o quando ci va tutto storto, quando ci fa male la testa… è probabile che qualcuno ci abbia “fatto il malocchio”, cioè ci abbia inviato pensieri negativi. E’ bene evidenziare, però, che il malocchio è involontario, cioè chi ce lo invia non è consapevole di inviarcelo.
Il rito dell’eliminazione del malocchio è un rito antico e tuttora in Italia è praticato, soprattutto dalle signore anziane che riescono con più facilità anche ad interpretare il significato delle macchie d’olio. Per togliere il malocchio si prende un piatto bianco e ci si versa dentro dell’acqua. La persona che toglie il malocchio (chiamiamola esecutore, tanto per intenderci) prende il piatto con l’acqua e lo tiene con le mani sulla testa del ricevente e poi pronuncia una formula, dopo la quale esegue per tre volte il segno della croce (notare il sincretismo tra cattolicesimo e paganesimo). A questo punto si versano nel piatto delle gocce d’olio. Se le gocce restano intatte vuol dire che il malocchio non c’è. Se “l’olio si distrugge” il malocchio c’è. Nel momento in cui ci si è accertati che c’è il malocchio è bene ripetere il rito fino a quando l’olio resterà intatto, cioè è bene continuare il rito (cambiando sempre piatto o lavandolo) fino a quando non si è certi di aver eliminato tutto il malocchio. Quando l’olio si distrugge esso dà luogo a varie forme, le quali ci indicano chi è stato a farci il malocchio. Ad esempio possono venir fuori delle lettere alfabetiche o altri simboli (occhiali, spade…) relativi alla persona che ci ha buttato il malocchio. Questo rito ovviamente è indicativo, cioè è solo uno dei tanti: si possono riscontrare varianti nelle formule o nella pratica. Sembra che questo rito si debba tramandare solo da donna a donna. A questo punto ci si può chiedere: perché funziona? Secondo me funziona perché nel momento in cui l’esecutore tiene il piatto sulla testa e pronuncia la formula, gli eventuali pensieri negativi che sono stati inviati si trasferiscono simbolicamente dalla testa al piatto. La psiche si libera da quei pensieri. Prima di affrontare una prova importante è bene verificare se qualcuno ci abbia fatto il malocchio… non si sa mai! Inoltre per difendersi è consigliato non attirare eccessivamente l’attenzione su di sé, portarsi del sale dietro, magari dentro un sacchetto (e cambiare il sale ogni tanto) o ancora farsi regalare un cornetto rosso.

Bibliografia e articoli
Bartoli, P. La prova del fuoco. Contesti culturali e tecniche del corpo nella pratica del firewalking, in Rivista della società italiana di antropologia medica, estratto da 5-6 ottobre 1998, pag. 61-103.
De Martino, E. (1973) Il mondo magico, Boringhieri, Torino.
Bazan, Couliano, DuQuesne, Idel, Izutsu, Jilek, Lopez-Baralt, Marchianò, McLean, Sullivan (1991) La religione della terra, Red, Como.
Autori vari (2000) Atti. Terzo convegno sulla stregoneria, Pro Triora editore.

Per approfondimenti
Arcella, L. (1998) La terra della nostalgia: movimenti spiritistici a Buenos Aires, Berardino Marinacci, L’Aquila.
Arcella, L. (1996) Rio Macumba, Bulzoni, Roma.
Fabietti, U.; Remotti, F. (1997) Dizionario di antropologia, Zanichelli, Bologna.
Frazer, J. E. (1922) The golden bough, Macmillan, London; trad. it. (1965) Il ramo d’oro, Boringhieri, Torino.
Pizza, G. (2005) Antropologia medica, Carocci, Roma.

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