1740: La più antica “esperienza di quasi morte” mai documentata
Resoconti di persone che hanno vissuto esperienze “vicino alla morte” sono state documentate fin dall’antichità. Tuttavia, la descrizione medica meno recente proviene da una relazione di un medico francese redatta nel 1740.
Il dottor Philippe Charlier, medico e archeologo ben noto in Francia per le sue indagini forensi sulla morte di personaggi storici, ha recentemente scoperto uno dei casi di Esperienza di Quasi Morte mai documentato.
Charlier ha casualmente scoperto il rapporto medico in un libro edito nel 1740 (“Anecdotes de Médecine”) acquistato per appena 1€ in un negozio di antiquariato.
“Ero interessato sono alla storia della medicina e alle pratiche mediche usate in passato, soprattutto nel 18° secolo”, racconta Charlier a Live Science. “Il libro in sé non è molto importante per la scienza medica, ma da punto di vista di uno storico, poter fare diagnosi retrospettiva su tali documenti è qualcosa di molti interessante”.
Il rapporto scovato da Charlier, redatto da Pierre-Jan du Monchaux, un medico militare del nord della Francia, riporta la descrizione di un’esperienza di quasi-morte vissuta da un famoso speziale (farmacista) di Parigi, il quale, dopo aver perso conoscenza, riferì di aver visto una luce così pura e intensa da fargli credere di essere stato in paradiso.
Charlier ha confrontato l’esperienza descritta da Monchaux con la scala di Greyson, uno strumento sviluppato dal professore in psichiatria Bruce Greyson per misurare la profondità di un’esperienza di pre-morte (NDE) di un individuo e consentire uno studio uniforme del fenomeno.
La scala di Greyson presenta una serie di domande circa le percezioni che le persone riportano durante le esperienze di pre-morte, come l’alterata percezione dello scorrere del tempo, la revisione di vita e sentimenti di gioia. Un punteggio minimo di 7 su 32 punti è classificato come esperienza di pre-morte.
Anche se i dati nel libro sono pochi e limitati, Charlier ha potuto stabilire che l’esperienza del paziente parigino avrebbe segnato almeno 12 punti sulla scala di Greyson. Nel documento del 18° secolo, Monchaux ha anche confrontato le percezioni dello speziale con quelle di altre persone che hanno riferito esperienze simili causate da annegamento, ipotermia e impiccagione. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista medica Resuscitation.
Oggi, le esperienze di pre-morte rimangono ancora un argomento controverso, non riuscendo i ricercatori a trovare unanime consenso sulla loro natura. Sono almeno tre le “fazioni” scientifiche che si contendono la spiegazione reale su tale fenomeno.
Gli psicologi descrivono l’esperienza di pre-morte come un evento psicologico profondo, con elementi trascendenti e mistici, e che si verifica dopo una crisi pericolo per la vita. Le persone che sperimentano il fenomeno riportano sensazioni vivide e forti emozioni positive, provando la sensazione di aver lasciato il corpo, sperimentando un viaggio lungo un tunnel e incontrando persone care decedute.
I medici, invece, ritengono che tali esperienze siano dovute probabilmente alla mancanza di flusso di sangue e ossigeno al cervello, situazione che mette l’organismo in uno stato d’allerta e che provoca le tipiche sensazioni associate alle esperienze di pre-morte.
Infine, i sostenitori della Teoria Quantistica della Coscienza, elaborata dal dott. Stuart Hameroff, medico americano, e Sir Roger Penrose matematico e fisico britannico, ritengono che le esperienze di pre-morte siano l’indizio sensoriale di quello che la fisica quantistica sta solo ora cominciando a prendere consapevolezza: la coscienza umana è indipendente dalla materia (neuroni) ed è capace di sopravvivere all’evento morte.
“Con la morte, l’informazione quantistica (coscienza) non è distrutta, non può essere distrutta, ma viene riconsegnata al cosmo. Quando un paziente torna a vivere dopo una breve esperienza di morte, l’informazione quantistica torna a legarsi alla persona, facendole sperimentare i famosi casi di premorte”, spiega Hameroff al Daily Mail.
La grande portata di questa teoria è evidente: la coscienza umana, così intesa non si esaurisce nell’interazione tra i neuroni del nostro cervello, ma è un informazione quantistica in grado di esistere al di fuori del corpo a tempo indeterminato. Si tratta di quella che per secoli le religioni hanno definito “anima”.
Fonte – ilnavigatorecurioso.it, 27 luglio 2014
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