INDIA – Il paese dai 33 milioni di Dei o… Uno solo?
“Dio è Uno, ma i saggi lo chiamano con nomi diversi” (Rig-veda I 164, 46).
Le diverse Divinità che popolano il pantheon indù sono rappresentazioni simboliche delle molte funzioni e manifestazione di un unico Dio. “Respirava senza produrre respiro, per propria forza, quell’Uno” (Rig-veda X 129, 2).
di Enrico Baccarini© – Il termine “Induismo” è infatti una parola-contenitore, al suo interno possiamo trovare molte tipologie di fedi diverse in taluni casi anche antitetiche tra loro come correnti materialistiche e atee, la filosofia del Samkhya; correnti devozionali, come la cosiddetta bhakti, dove dio è vissuto come personale e l’uomo vi si affida completamente. Quando parliamo di induismo si è sempre erroneamente definito questa religione come “politeista”, in realtà siamo davanti ad una forma di enoteismo.
All’interno del Vedanta (corrente filosofica estremamente importante e che costituì l’ideologia portante del rinascimento induista del XIX secolo), vi è l’Advaita Vedanta, caratterizzato da un monismo assoluto, dove la liberazione avviene nel momento in cui si comprende che l’anima particolare, atman, è identica al Brahman universale, mentre lo Dvaita Vedanta, dualista, che invece sottolinea l’eterna distinzione fra questi due stessi principi. “Induismo”, quindi, è una parola del tutto riduttiva e creata dal colonialismo britannico per raccogliere sotto una sola entità una pletora di visioni differenti ma accomunate da una medesima linea portante.
Nell’induismo Dio, l’Essere Supremo, è denominato in molti modi tra cui Brahman, Bhagavan (possessore di benedette qualità e potere), Dhatr (Colui che sostiene l’intera manifestazione), Ishvara (il Signore, il Potente), Paramatman (il Sé supremo), Parameshvara (il Signore supremo), Vidhatr (il Creatore) e molti altri ancora. L’Essere supremo, nella concezione induista, non ha né nome né forma ma nonostante ciò tutti i nomi e tutte le forme gli appartengono.
Nell’induismo il concetto di Dio subisce numerose evoluzioni nel corso del tempo, per quanto ci è possibile sapere tutto inizia con il Veda e giunge ad una maggiore “codificazione” in testi come i Purana, gli Agama e i Tantra.
Dio nei Veda
Nel Rig-veda si legge che gli Dei sono 33 per quanto, i nomi citati siano tuttavia molti di più. I trentatre diventano 3339 sino a raggiungere il numero di 33.000.000. Si tratta palesemente di una cifra simbolica atta ad indicare l’infinità di forze che governa ogni aspetto del cosmo e della vita sottile. È importante sottolineare il concetto di un Dio originario che si differenzia in tre, poi in 33 e infine in innumerevoli aspetti di forze spirituali. Un’idea questa che non rappresenta una disgregazione del Dio primevo, bensì sottolinea che Dio è uno e si manifesta, per mezzo del suo potere, in infinite forme. Le Divinità rappresentano i principi fondamentali che operano a vari livelli dell’esistenza cosmica e umana. Sono esseri onniscenti, illimitati, sono modelli universali.
Gli Dei si dividono in tre gruppi: 11 sono distribuiti nel cielo, 11 nell’atmosfera e 11 sulla terra. Ciò suggerisce anche un’associazione con gli elementi naturali. La loro simbologia è fortemente esoterica. Gli inni del Veda sono da intendersi sempre su più livelli, tanto che la lettura degli stessi può essere fatta in molti modi: letterale, figurata o secondo la tradizione di appartenenza.
Nelle Upanishad
Al tipo di religiosità vedico, basato soprattutto sul rituale, segue il periodo delle speculazioni delle Upanishad. Queste indagarono la natura dell’Assoluto, Brahman; affermando che alla sorgente di tutto il mondo manifesto, che è parimenti sempre mutevole, vi è una Realtà assoluta e infinita. Da questo Assoluto, Brahman, la manifestazione appare e scompare come un’onda nel mare.
Il Brahman, impersonale, principio neutro, trascendente e privo di attributi è oltre il nome e la forma. Pur essendo trascendente permea tutti i piani del manifesto, della materia, del piano sottile e causale. Alle speculazioni upanishadiche, nel corso del tempo, si affiancò un altro tipo di religiosità. La Divinità non è più solo evocata attraverso gli inni e celebrata nel sacrificio, non solo è meditata nel profondo del cuore o ricercata attraverso l’ascesi, Essa acquista dei caratteri “personali” e iconografici ben definiti. Tale trasformazione è supportata da un corpus di testi sacri noti come Purana e Itihasa.
Nei Purana e negli Itihasa
In tale processo di progressiva oggettivazione, l’Assoluto “inizia” ad apparire come distinto, come Ishvara, il Signore a livello cosmico, come un’anima incarnata, jiva-atman, a livello individuale. Ishvara è la somma totale di tutti gli esseri, è il “Reggente” della manifestazione, ne è il Signore, il Regolatore che porta ordine, dharma. Ishvara supremo si definisce Parameshvara o, a seconda delle tradizioni, Mahashiva, Mahadevi, Mahavishnu, ecc.
Partendo dall’angolatura del mondo, l’uomo nell’elaborare un concetto di Dio, gli attribuisce, prima di ogni altra, la funzione di Creatore, Brahma. La creazione, in una concezione ciclica del tempo, si ripete in un andamento eterno di creazione, mantenimento e riassorbimento; è più corretto pertanto esprimersi in termini di creazioni, al plurale. Una volta creato il mondo, Dio lo sostiene attraverso il suo potere e lo “ordina” secondo le leggi del dharma e della responsabilità individuale di ciascun essere – karman. In quest’ottica Egli assume la “veste” di Sostenitore, Vishnu o Lakshmi. Infine, al termine di un ciclo creativo, riassorbe l’intera manifestazione in Se stesso espletando in tal modo la funzione di Trasformatore, Shiva.
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