I poteri straordinari della musica a volte cambiano il cervello

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«La musica è un sistema comunicativo non meno importante del linguaggio, ma solo nell’ultimo decennio è diventata oggetto di indagini neuroscientifiche con particolare attenzione al contributo che può dare all’approccio riabilitativo delle malattie neurologiche». Sul potere della musica non ha dubbi Giuliano Avanzini, primario emerito dell’Istituto Neurologico Carlo Besta a Milano, anche grazie alle nuove evidenze scientifiche: «La musica rappresenta un canale privilegiato di comunicazione e, infatti, è parte fondamentale dei riti che scandiscono la vita di quasi tutte le collettività umane. La sua origine evolutiva sta nella capacità di aggregare emotivamente gli individui, favorendo la condivisione delle esperienze». 


Oggi, però, a incuriosire i ricercatori non sono tanto gli effetti sociali, ma le trasformazioni, anche permanenti, che induce nel cervello e i tanto vantati miglioramenti delle nostre capacità cognitive. I vantaggi che deriverebbero dalla pratica musicale vanno dall’accelerazione dello sviluppo del coordinamento a quello della concentrazione. Troppo ottimismo? «Qualunque attività che impegni una certa funzione del cervello può migliorarne l’efficienza, anche a vantaggio di altre funzioni. Nel caso della musica, la cui pratica coinvolge numerose abilità percettive, motorie, mnesiche e immaginative, sappiamo che il suo studio migliora l’apprendimento di lingue straniere e, anche se la documentazione scientifica è meno solida, la capacità matematica – spiega il neurofisiologo -. Per quanto riguarda poi le capacità motorie, a parte il caso della danza, le evidenze provengono dalla patologia». Nel Parkinson – aggiunge – «si perdono alcuni automatismi ritmici, ad esempio quelli rilevanti per la camminata, e quindi la musica apporta evidenti benefici grazie alla potente capacità di imporre il ritmo in chi ne è partecipe. Nel caso dell’Alzheimer, invece, se ne sfrutta l’aspetto comunicativo per recuperare la perdita della dimensione sociale che la malattia comporta».

I vantaggi di un precoce esercizio musicale, inoltre, possono permanere nel lungo periodo, anche quando lo studio della musica viene sospeso, in seguito alle modificazioni di strutture e funzioni cerebrali che la pratica induce. «Grazie ad una fondamentale proprietà, la plasticità cerebrale, il sistema nervoso è in grado di garantire il migliore adattamento degli organismi all’ambiente. La persistenza delle modificazioni cambia in rapporto a variabili solo in parte conosciute. Una di queste è la regione cerebrale di volta in volta coinvolta. Ad esempio, l’ippocampo è dotato di proprietà biologiche che lo rendono particolarmente atto a modificazioni importanti per la memoria – dice Avanzini -. Un’altra variabile, poi, è l’età. La plasticità neurale è più efficiente nell’infanzia, quando le modificazioni della fisiologia e anatomia del cervello indotte dall’esperienza possono modificarne in modo persistente le funzioni. Questo vale per ogni genere di attività».

E allora qual è lo specifico della musica? «Ha caratteristiche proprie che la distinguono non solo dallo sport, quanto alla sfera cognitiva e a quella delle emozioni, ma anche dalle altre attività artistiche, rispetto alle quali impegna in modo coordinato funzioni percettive e motorie. E c’è anche la concomitante coloritura emotiva». Per spiegare la completezza dell’esperienza musicale, Avanzini cita il musicologo del XIX secolo Eduard Hanslick: «Le ingegnose combinazioni di bei suoni, il loro concordare ed opporsi, il loro sfuggirsi e raggiungersi, il loro crescere e morire, questo è ciò che in libere forme si presenta all’intuizione del nostro spirito». «A mio parere – conclude – queste parole evocano bene il vissuto della musica, sfiorando l’ineffabile». Musica composta, eseguita e ascoltata. Un invito per tutti.

 



Fonte  – La Stampa, art. di Nicla Panciera,

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