I Grandi Iniziati della storia

Edoardo Schuré

I GRANDI INIZIATI

Storia segreta delle religioni(1906)

ERMETE

ERMETE

I MISTERI D’EGITTO


O anima cieca! impugna la face dei Misteri e scoprirai nella notte terrena l’altro te stesso luminoso, la celestiale Anima tua. Segui questa divina guida e sia essa il tuo Genio, poiché possiede la chiave delle tue esistenze passate e future.
Esortazione agli iniziati (secondo il Libro dei Morti)

Tendete l’orecchio in voi stessi e mirate nell’Infinito dello spazio e del tempo. Ivi echeggiano il canto degli Astri, la voce dei Numeri e l’armonia delle Sfere.
Ogni sole è un pensiero di Dio ed ogni pianeta una forma di questo pensiero. Ed è per conoscere il pensiero divino che voi anime, discendete e risalite penosamente la strada dei sette pianeti e dei sette cieli loro.
Che fanno gli Astri? che dicono i Numeri? che valgono le Sfere? – Dicono, cantano e volgono i vostri destini, o anime perdute o salvate!
Frammento (da ERMETE)

LA SFINGE

Di fronte a Babilonia, tenebrosa metropoli del dispotismo, fu l’Egitto vera cittadella della scienza sacra nel mondo antico, scuola dei più illustri profeti suoi, rifugio e fucina delle più nobili tradizioni per l’umanità. Mercé immensi scavi ed ammirevoli opere conosciamo oggi il popolo egizio meglio di qualsiasi civiltà che abbia preceduto la Grecia, perché ci si apre la storia sua scolpita in pagine di pietra . Per quanto però si nettino i suoi monumenti e si decifrino i geroglifici, non possiamo ancora penetrare il profondo arcano del suo pensiero, perché questo arcano è la dottrina occulta dei suoi sacerdoti. Questa dottrina, scientificamente coltivata nei templi e prudentemente velata sotto i misteri, ci mostra nello stesso tempo l’anima dell’Egitto, il segreto della sua politica e la principale sua funzione nella storia universale.
Per gli storici, che parlano dei faraoni come se fossero despoti quali si avevano in Ninive e in Babilonia, l’Egitto sarebbe stato una monarchia assoluta e conquistatrice simile all’Assiria, con una differenza soltanto nella durata di qualche migliaio d’anni in più. Essi non sospettano nemmeno che, mentre in Assiria la sovranità reale schiacciò il sacerdozio per farsene uno strumento, in Egitto invece il sacerdozio disciplinò tale sovranità senza mai abdicare, nemmeno nei tempi peggiori, e s’impose ai re cacciando i despoti e governando sempre la nazione con una superiorità intellettuale ed una saggezza profonda e celata, che mai alcun corpo insegnante uguagliò in nessun paese e in nessuna epoca.
Fa pena il vedere che i nostri storici hanno appena intraveduto questo fatto essenziale e pare che non gli diano importanza alcuna, mentre invece dovrebbero trarne innumerevoli conclusioni. Non è necessario essere archeologi o linguisti per comprendere come l’Assiria e l’Egitto abbiano rappresentato due opposti princìpi, in virtù dei quali si mantenne l’odio implacabile fra i due popoli, e che la lunga durata del popolo egiziano si dovette ad una ossatura religiosa e scientifica più forte di qualsiasi rivoluzione.
Per più di 5000 anni, attraverso il turbinoso periodo che dopo l’epoca ariana seguì i tempi vedici fino alla conquista persiana e all’epoca alessandrina, l’Egitto fu la rocca di pure ed elevate dottrine, le quali nell’insieme costituiscono la scienza dei princìpi, che potrebbe anche chiamarsi l’ortodossia esoterica dell’antichità. Cinquanta dinastie ebbero modo di succedersi e il Nilo poté spargere le sue alluvioni su intere città e l’invasione fenicia spandersi sul paese e esserne espulsa: ma in mezzo ai flussi e riflussi della storia e sotto l’apparente idolatria del suo politeismo esteriore, l’Egitto conservò il vecchio fondo della sua occulta teogonia e della sua organizzazione sacerdotale, resistendo contro i secoli come la piramide di Gizah, mezzo sepolta dalle sabbie ma pur sempre intatta. Ed è in virtù di questa granitica resistenza che l’Egitto divenne l’asse, attorno al quale si dovette evolvere il pensiero religioso dell’umanità passando dall’Asia in Europa; Giudea, Grecia, Etruria, anime di vita che formarono civiltà diverse, donde trassero le loro idee madri se non dalla organica riserva dell’antico Egitto? Mosè ed Orfeo crearono due religioni opposte e prodigiose per l’aspro monoteismo dell’una e lo sfolgorante politeismo dell’altra; ma in qual modello si formò il genio loro? Ove trovò l’uno la forza, l’energia, l’audacia di rifondere un popolo semiselvaggio, come nelle fornaci si fondono i bronzi, e l’altro la magia di far parlare gli dèi all’anima dei suoi barbari incantati, con accento di melodiosa lira, se non nei templi di Osiride, nell’antica Tebe, nell’arca solare o città del sole degli iniziati, contenente la sintesi della scienza divina e di tutti i segreti dell’iniziazione?
Ogni anno, nel solstizio d’estate, quando scrosciano le piogge torrenziali nell’Abissinia, il Nilo cangia colore e assume quella tinta di sangue, che ricorda la Bibbia, seguitando a crescere fino all’equinozio di autunno per seppellire sotto le sue acque l’orizzonte delle sue rive. Ma eretti sulle granitiche basi, arsi dal sole accecante, stanno i templi tagliati nella roccia, le necropoli, i piloni e le piramidi, che riflettono la maestà delle loro rovine nel Nilo cangiato in mare. Così, con la sua organizzazione ed i suoi simboli, con gli arcani per lungo tempo impenetrabili della sua scienza, ha attraversato i secoli il sacerdozio egiziano. In quei templi, in quelle cripte e in quelle piramidi maturava la grande dottrina del Verbo-Luce, della Parola universale, che Mosè avrebbe poi rinchiuso nell’arca d’oro e di cui Cristo sarebbe stato la face vivente.
Immutabile è in se stessa la verità e sola sopravvive a tutto, ma cangia dimore e forme, ed intermittenti sono le rivelazioni sue. Spenta per sempre nelle cripte abbandonate sta la « luce di Osiride » e si è avverata la profezia di Ermete ad Asclepio: <<O Egitto! O Egitto! Non resteranno di te che fole incredibili per le future generazioni, e nulla durerà di te se non parole scolpite nei sassi>>.
Eppure, per quanto possano permetterlo l’intuizione esoterica e il fuggevole riflesso dei tempi, vorremmo far rivivere un raggio del sole misterioso dei santuari seguendo la segreta via dell’antica iniziazione egiziana. Tuttavia, prima di entrare nel tempio, esaminiamo fuggevolmente le grandi fasi che attraversò l’Egitto prima dei tempi degli Hyksos.
Quasi tanto vecchia quanto la struttura dei nostri continenti, la prima civiltà egiziana risale all’antica razza rossa. Opera sua è la colossale Sfinge prossima alla grande piramide, e nel tempo in cui non esisteva il delta, formato in seguito dalle alluvioni del Nilo, il mostruoso e simbolico animale era già sdraiato sulla sua collina di granito avanti alla catena dei monti libici e guardava il mare infrangersi ai piedi suoi, là ove oggi si stendono le sabbie del deserto. La Sfinge, prima fra le creazioni dell’Egitto, è divenuta il suo simbolo principale, la sua insegna. Immagine della natura calma e spaventevole del mistero suo, fu scolpita dal più antico sacerdozio umano. Testa d’uomo che esce da un corpo di toro, che ha gli artigli di leone e ripiega le sue ali d’aquila sui grossi fianchi, è l’Iside terrestre, la natura nella vivente unità dei suoi regni; poiché quegli antichissimi sacerdoti già sapevano ed insegnavano che nella grande evoluzione la natura umana emerge dalla natura animale. In questo insieme del toro, del leone, dell’aquila e dell’uomo, sono anche racchiusi i quattro animali della visione di Ezechiele, rappresentanti i quattro elementi costitutivi del microcosmo e del macrocosmo: acqua, terra, aria e fuoco, base della scienza occulta. Perciò, quando nei secoli posteriori gli iniziati vedranno il sacro animale sdraiato sulla soglia dei templi o nel fondo delle cripte, sentiranno questo mistero vivere in se stessi e ripiegheranno tacitamente le ali dello spirito sulle verità interiori; e prima di Edipo sapranno che l’enigma della sfinge è l’uomo, il microcosmo, l’agente divino che riassume tutti gli elementi, tutte le forze della natura.
La razza rossa non ha dunque lasciato di se stessa altro testimonio che la Sfinge di Gizah, prova irrefutabile ch’essa aveva posto e risoluto a suo modo il grande problema.


ERMETE

La razza negra, succedendo nel dominio del mondo a quella rossa australe, costituì l’alto Egitto a suo principale santuario e indubbiamente il nome di Ermete Toth, il misterioso e primo iniziatore dell’Egitto alle sacre dottrine, si riconnette con una prima e pacifica fusione delle razze bianca e nera, avvenuta nelle regioni dell’Etiopia e dell’alto Egitto molto tempo avanti l’epoca ariana. Come Manu e Buddha, Ermete è nome generico, che designa ad un tempo un uomo, una casta e un dio. Quale uomo, Ermete è il primo ed il grande iniziatore dell’Egitto; quale casta, è il sacerdozio depositario delle occulte tradizioni; quale dio, è il pianeta Mercurio, assimilato con la sua sfera ad una categoria di spiriti iniziatori divini, ed egli presiede così alla regione sopraterrestre della celestiale iniziazione. Tutte queste cose, nell’economia spirituale del mondo, sono legate come da un filo invisibile, da segrete affinità, e il nome di Ermete è quale talismano che le riassuma, quale suono che le evochi. Da ciò il suo prestigio. Ermete Trismegisto, tre volte grande, lo chiamarono i greci, discepoli degli egiziani, perché egli era re, legislatore e sacerdote. Così egli è il simbolo dell’epoca in cui sacerdozio, legislatura e regalità si trovavano riunite in un sol corpo di governo. La cronologia egiziana di Manetone chiama tale epoca regno degli dèi, perché allora non esistevano né papiri, né scrittura fonetica, ma soltanto l’ideografia sacra; e la scienza del sacerdozio era incisa in geroglifici sulle colonne e sui muri delle cripte e soltanto più tardi passò nelle biblioteche dei templi, ma di molto aumentata. Gli egiziani attribuivano ad Ermete 42 libri, che trattavano della scienza occulta, e certamente il libro greco conosciuto col nome di Ermete Trismegisto, racchiude resti alterati ma infinitamente preziosi di quella antica teogonia, che è il fiat lux dal quale Orfeo e Mosè ebbero i primi raggi di luce. Così la dottrina del Fuoco-Principio e del Verbo-Luce, racchiusa nella Visione di Ermete, resterà vetta e centro dell’iniziazione egiziana.
E noi cercheremo di rinvenire questa visione dei maestri, mistica rosa che sboccia soltanto nella notte del santuario e nell’arcano delle grandi religioni. Talune parole di Ermete, gravi di antica saggezza, potranno ben prepararci. Asclepio, suo discepolo, ascolta: « Nessuno dei nostri pensieri potrebbe mai concepire Iddio, nessuna lingua definirlo. L’Incorporeo, l’Invisibile, privo di forma, non può essere percepito dai nostri sensi; non la breve regola del tempo può misurare l’Eterno: e però ineffabile è Dio. Può egli infondere a pochi eletti la facoltà di trascendere le cose naturali e percepire il lontano irradiarsi della suprema perfezione sua, ma niuna parola trovano gli eletti per tradurre in linguaggio volgare l’immateriale visione che li rese esultanti. Possono essi spiegare all’umanità queste secondarie cause della creazione, che passano sotto gli occhi loro come immagini della vita universale, ma velata rimane la causa prima, e giungeremo a comprenderla soltanto attraversando la morte>> . Così parlava del dio ignoto Ermete, eretto sulla soglia delle cripte; e i discepoli, che penetravano con lui nelle profondità, imparavano a conoscerlo quale essere vivente.
Il libro parla della morte sua come della dipartita di un Dio: «Vide Ermete l’insieme delle cose, e avendo veduto comprese, avendo compreso aveva il potere di manifestarsi e rivelarsi. Quel che pensò egli scrisse, quel che egli scrisse in gran parte nascose, tacendo con saggezza eppure parlando, affinché il mondo avvenire in tutta la sua durata cercasse queste cose. E dopo aver ordinato agli dèi, suoi fratelli, di servirgli da scorta, salì alle stelle ».
Si può, a rigore, isolare la storia politica dei popoli, ma non è possibile scindere la loro storia religiosa. Le religioni dell’Assiria, dell’Egitto, della Giudea non si comprendono che quando si afferra il punto di contatto con l’antica religione indo-ariana, e allora, anziché mostrarsi a noi come enigmi e sciarade, nel loro insieme e vedute dall’alto ci appaiono quale superba evoluzione, ove tutte le cose si ordinano e si spiegano reciprocamente. La storia di una sola religione sarà sempre ristretta, superstiziosa e falsa, poiché non c’è di vero che la storia religiosa dell’umanità; e da questa altezza null’altro si avverte all’infuori delle correnti, che fanno il giro del globo. Né poté sottrarsi a questa legge universale il popolo egiziano, che pur fu più indipendente di ogni altro e più di ogni altro chiuso alle influenze esteriori. La luce di Ràma, accesa nell’Iran cinquemila anni prima di Cristo, irradiò sull’Egitto e divenne la legge di Ammon-Rà, Dio solare di Tebe. Così fu che l’Egitto poté affrontare tante rivoluzioni, e Menes fu il primo re di giustizia, il primo faraone esecutore di tal legge. Egli non volle togliere all’Egitto l’antica teologia, che era anche la sua, ma la riaffermò e la svolse aggiungendovi una nuova organizzazione sociale: il sacerdozio, ossia l’insegnamento a un primo consiglio, la giustizia a un altro, il governo ad entrambi; la regalità concepita come loro delegazione e soggetta al loro controllo; una relativa dipendenza dei nómi, o comuni, alla base della società. Questo è quello che possiamo chiamare governo degli iniziati, che aveva a sua base una sintesi delle scienze conosciute sotto il nome di Osiris (O-Sir-Is), il signore intellettuale, e di cui è simbolo e gnomone matematico la grande piramide. Ben diverso era dunque il faraone dal despota assiro, poiché, mentre questi fondava l’arbitrario suo potere sui delitti e sul sangue, il faraone esercitava l’arte sacerdotale e reale sul trono, dopo aver ricevuto dal tempio il suo nome di iniziazione. Allievo e strumento degli iniziati era il faraone cinto di corona, se pure non ancora iniziato. Per secoli, contro l’Asia divenuta dispotica e contro l’Europa divenuta anarchica, i faraoni difesero la legge dell’Ariete, rappresentante allora i diritti della giustizia e dell’arbitrato internazionale.
Intorno al 2200 a. C. l’Egitto subì la più tremenda crisi che possa attraversare un popolo: l’invasione e una quasi conquista straniera. Quale seguito del grande scisma religioso, che avea sollevato le masse e seminato dissidi nei templi dell’Asia, l’invasione fenicia, condotta dai re pastori, chiamati Hyksos, precipitò sul delta e sul medio Egitto. I re scismatici portavano con sé una civiltà corrotta, la mollezza ionica, il lusso dell’Asia, i costumi dell’harem e la grossolana idolatria. Compromessa era l’esistenza nazionale dell’Egitto, pericolante l’intellettualità e minacciata la sua universale missione; ma lo animava un corpo organizzato di iniziati, depositari dell’antica scienza di Ermete e di Ammon-Rà, anima vivente della nazione celatasi nel fondo dei santuari, raccolta tutta in se stessa per resistere meglio al nemico. Infatti quel sacerdozio, che sembrava curvato sotto l’invasione riconoscendo il dominio degli usurpatori, che imponevano la legge del Toro e il culto del bue Apis, conservava invece nell’intimo recesso dei templi la scienza, le tradizioni e l’antica e pura religione avita con la speranza di restaurazione della dinastia nazionale. Fu in quell’epoca che i sacerdoti diffusero tra le folle la leggenda di Iside e di Osiride, dello smembramento di questo e della sua risurrezione per opera di Oro, suo figlio, il quale ritroverebbe, trasportate dal Nilo, le sue sparse membra. Con le solennità delle pubbliche cerimonie si eccitava l’immaginazione del popolo che, commosso dalle sventure della dea e dal suo dolore, lenito soltanto dalla speranza che riponeva in Oro, suo figlio, intermediario divino, conservava amore all’antica religione. Ma contemporaneamente sentivano gli iniziati esser necessario che inattaccabile fosse la verità esoterica, e perciò la coprirono di un triplice velo. Al diffuso culto popolare di Iside ed Osiride corrisponde l’intima e sapiente organizzazione dei misteri maggiori e minori, difesi da quasi insuperabili barriere e da tremendi pericoli. Furono inventate le prove morali e richiesto di giurare il segreto, mentre con grande rigore s’infliggeva la pena di morte agli iniziati, che divulgassero il minimo particolare dei misteri. Così, per virtù di questo severo organismo, l’iniziazione egiziana non fu soltanto rifugio di esoteriche dottrine, ma anche crogiuolo, ove si preparavano puri elementi per la nazionale risurrezione e scuola di religioni future. Mentre i coronati usurpatori regnavano in Menfi, lentamente Tebe preparava la rigenerazione del paese. Dal suo tempio, dalla sua arca solare, uscì Amos, il salvatore dell’Egitto, che cacciò gli Hyksos, dopo nove secoli di loro dominazione, e ripristinò nel suo diritto la scienza egiziana e la virile religione di Osiride.
Tale era la forza disciplinare dei misteri e la potenza della loro iniziazione, ch’essi racchiudevano la migliore energia morale e la più alta selezione intellettuale dell’Egitto, sì che ne salvarono l’anima dal giogo della tirannia straniera; e ciò fu bene per l’umanità.
Più sano e più elevato del nostro era il concetto dell’uomo, sul quale riposava l’iniziazione antica, poiché noi abbiamo dissociato l’educazione del corpo da quella dell’anima e dello spirito, e le nostre scienze fisiche e naturali, per quanto avanzatissime in sé, astraggono dal principio dell’anima e della sua diffusione nell’universo. La nostra religione non soddisfa ai bisogni dell’intelligenza, la nostra medicina nulla vuol sapere di anima e di spirito. L’uomo contemporaneo cerca il piacere senza felicità, la felicità della scienza, la scienza priva di saggezza. Invece in antico non si ammetteva che tali cose potessero separarsi e, in tutti i campi, si teneva conto della triplice natura dell’uomo. L’iniziazione era il graduale addestramento di tutto l’essere umano alle vertiginose sommità dello spirito, donde si può dominare la vita. « Per giungere al dominio di sé », dicevano i savi di quel tempo, l’uomo ha d’uopo di una totale rifusione di tutto il suo essere psichico, morale ed intellettuale, ma tal rifusione non è possibile che mediante il simultaneo esercizio della volontà, dell’intuizione e del raziocinio. Con la loro completa concordanza l’uomo può evolvere le sue facoltà fino a incalcolabili limiti. L’anima possiede sensi assopiti che l’iniziazione ridesta, e l’uomo, mediante studi profondi e costante applicazione, può mettersi in rapporto cosciente con le forze occulte dell’universo fino a raggiungere, con prodigioso sforzo, la diretta percezione spirituale, aprirsi le vie dell’al di là e sapervisi dirigere. Soltanto allora può dire di aver vinto il destino e conquistato da quaggiù la sua libertà divina; soltanto allora può l’iniziato divenire iniziatore, profeta e teurgo, ossia veggente e creatore di anime, poiché soltanto colui che comanda a se stesso può comandare agli altri, soltanto colui che è libero può liberare. »
Così pensavano gli antichi iniziati, e così vivevano ed agivano i più grandi fra essi. Dunque ben altra cosa che non un vuoto sogno o un semplice insegnamento scientifico era la vera iniziazione, per cui l’anima creava se stessa e sbocciava su di un piano superiore a fiorire in un mondo divino.
Poniamoci nei tempi di Ramsete, all’epoca di Mosè e di Orfeo, verso il 1300 prima dell’èra cristiana e tentiamo di penetrare nel cuore dell’iniziazione egiziana. I monumenti figurati, i libri di Ermete, la tradizione ebraica e quella greca permettono di farne rivivere le fasi ascendenti e di formarci un’idea della più alta rivelazione sua.

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