Giuseppe Brex e il primato Italico (di Paolo Galiano)
(estratto da Roma prima di Roma, di prossima pubblicazione per le Edizioni Simmetria)
di Paolo Galiano
Centuripe, città antica fondata dall’arcaico popolo dei Siculi, tra i numerosi motivi di interesse dovuti alla bellezza dei luoghi e ai notevoli resti archeologici ne ha uno meno conosciuto non solo dagli appassionati di storia ma forse anche dai suoi stessi cittadini, perché fu la città natale di Giuseppe Brex, una figura di studioso e di scrittore che si inserisce a pieno titolo in una linea di pensiero che possiamo far risalire almeno al XVIII secolo: parliamo di quegli scrittori che ricercarono le origini della civiltà italica, facendola risalire ad un periodo antichissimo e ponendola anzi come la più antica tra le civiltà del Mediterraneo.
L’argomento di questa ricerca storica prese il nome di “Saturnia Tellus”, la Terra di Saturno, termine adoperato dagli autori classici romani e greci per indicare l’Italia come il luogo in cui fiorì la prima civiltà introdotta dal Dio Saturno, il quale, secondo la mitologia, sconfitto e spodestato dal figlio Giove venne a rifugiarsi nel Lazio, dove fece costruire una città sul Campidoglio, che da lui prese il nome di Saturnia, là dove millenni dopo sarà fondata da Romolo la città di Roma.
Questo filone storico, indubbiamente appassionante e che solo in tempi relativamente recenti sta trovando le prime conferme negli scavi sul Campidoglio e sul Germalo intrapresi all’inizio del 1900, trovò le sue prime origini in autori toscani, tra cui Anton Francesco Gori, Mario Guarnacci e Luigi Lanzi, i quali nel 1700, in una Italia allora divisa tra tanti Stati e sotto il governo di popoli stranieri, rivendicarono attraverso lo studio dei testi degli antichi scrittori latini e greci il “primato italico”, cioè l’origine della civiltà occidentale, al popolo degli Etruschi.
Con il passare dei decenni, le ricerche furono approfondite e raggiunsero la prima sistematizzazione con Angelo Mazzoldi, il quale pubblicò a Milano nel 1840 il suo principale testo Delle origini italiche e della diffusione dell’incivilimento italiano, fondamentale per tutti gli autori che lo seguirono: egli dava il “primato italico” ad un popolo precedente gli Etruschi, popolo che abitava una terra che in seguito era andata distrutta da inondazioni e terremoti vulcanici, la Tirrenide (nulla a che vedere con l’Atlantide platonica), un subcontinente che comprendeva Italia, Sicilia, Sardegna, Corsica, l’isola d’Elba e Malta.
La moderna geologia ha in gran parte confermato le brillanti intuizioni di Mazzoldi: effettivamente alla fine dell’ultima Era Glaciale (circa nel 6000 a.C.) il Mediterraneo salì di oltre cento metri al di sopra del livello attuale, il che vuol dire che tutte le zone pianeggianti furono sommerse, e sembra che ciò sia avvenuto in un tempo abbastanza breve, forse non più di trenta anni.
A questa inondazione, da non confondersi con il diluvio biblico, fece seguito l’eruzione improvvisa della catena vulcanica che attraversa l’Italia dalla Toscana al Lazio, alla Campania fino alla Sicilia (si ricordi che nelle isole Eolie i vulcani sono ancora attivi e che nel mare tra Napoli e la costa nord della Sicilia vi è una catena parallela di vulcani, almeno uno dei quali , il Marsili, è ancora in fase eruttiva). Il “cataclisma italico” o “catastrofe atlantica”, come lo chiamarono questi scrittori, distrusse gran parte dell’Italia centrale e meridionale e staccò la Sicilia dal continente, a cui una volta era unita da un istmo (si pensi che questo già lo sapeva Plinio, autore romano che scrisse nel I secolo d.C. !), costringendo le popolazioni a rifugiarsi sui monti o a fuggire via mare per scampare alla catastrofe.
In questo movimento di popoli vi fu anche quello dei proto-Siculi, che, spinti dalle genti che facevano ritorno alla terra che avevano abbandonata a causa delle catastrofi, i Pelasgi, giunsero in Sicilia portando con sé il retaggio dell’antica civiltà della Tirrenide.
Al Mazzoldi fecero seguito una serie di studiosi e di archeologi i quali perfezionarono ulteriormente le sue tesi, anche grazie allo sviluppo di nuove scienze quali la paleoetnologia e la paleontologia ed ai nuovi studi archeologici che si andavano facendo a Roma come in Sicilia; ci limitiamo a citare tra essi Camillo Ravioli e Ciro Nispi-Landi per il XIX secolo ed Evelino Leonardi, Costantino Cattoi e Guido Di Nardo per il XX.
In questa linea di autori si inserisce a pieno titolo Giuseppe Brex, nato a Centuripe nel 1896 e morto a Lanuvio presso Roma nel 1972, autore di un testo, intitolato proprio Saturnia Tellus e stampato a Roma nel 1944, nel quale avanza la tesi che il “primato italico” sia da attribuirsi al popolo dei Siculi per il periodo successivo a quella che viene chiamata la “catastrofe atlantica”.
Nato in Sicilia ma vissuto a Roma, Brex si distingue dagli autori che lo hanno preceduto per diversi motivi: il suo libro, Saturnia Tellus, ha come argomento centrale l’antichità del popolo dei Siculi, del quale egli rivendica il primato sulle altre stirpi come più antica popolazione italica : non a caso il libro venne pubblicato a Roma nel maggio 1944, quando gli Anglo-Americani erano in procinto di sbarcare nella sua terra nativa (luglio 1944), quasi volesse rivendicare contro le più recenti etnie anglosassoni la supremazia storica dei siciliani; altro aspetto particolare è l’essere il suo un testo prettamente storico ed archeologico, che poco spazio lascia alle idee esoteriche che invece costituiscono il nucleo centrale delle opere di Leonardi e ancor di più del Di Nardo e di Cattoi (anche se quest’ultimo non ci ha lasciato scritti di sua mano, ma la storia dei suoi lavori non lascia dubbi in merito). Ciò non toglie che Brex possa avere avuto un ruolo nell’ambiente dell’esoterismo romano nel quale doveva essere conosciuto, visto che l’Introduzione al suo libro la scrisse Romolo Artioli, esoterista e noto archeologo, collaboratore di Boni negli scavi del Foro e del Palatino.
Molti anni dopo la pubblicazione del libro di Brex, venne rinvenuta nel 1963 una lapide scritta in dialetto dorico FIG. 1, la quale, tradotta dall’epigrafista catanese Giacomo Manganaro, rivelò essere un trattato di “riconoscimento ufficiale dei vincoli di parentela, di amicizia e di ospitalità, che legavano i Centuripini con i Lanuvini… il Senato di Lanuvio riconobbe la fondatezza della richiesta centuripina ed emanò il decreto di convalida dei remoti vincoli di parentela fra i due popoli” .
Il Sindaco di Lanuvio nel 1971 propose al suo omologo di Centuripe di rinnovare l’antico gemellaggio, invito che venne accolto anche per l’esortazione di Giuseppe Brex, a quel tempo Presidente dell’Associazione “Aborigeni d’Italia” da lui fondata a Centuripe. Da allora periodicamente il gemellaggio tra le due cittadine viene rinnovato nei mesi di maggio e di settembre, con l’incontro dei massimi rappresentanti dei due comuni.
Brex morì l’anno successivo al primo gemellaggio ma volle essere sepolto nell’adottiva Lanuvio, ove ancora oggi una stele ricorda lo studioso FIG. 2
La “lapide del gemellaggio” confermava, con una prova archeologica inconfutabile, le tesi già espresse da Brex nel 1944 della comune origine dei Siculi e dei Latini: Brex aveva messo in luce i rapporti, davvero singolari, tra la sicula Centuripe e Roma, ricordando come Cicerone nelle sue orazioni contro Verre, il pretore che aveva dissanguato la Sicilia durante il suo incarico, avesse affermato le comuni origini dei cittadini di Centuripe e di Segesta con la stessa Roma: “I cittadini di Segesta e di Centuripe sono legati al popolo romano non solo per i servizi resi, per la fede giurata, per l’antica amicizia, ma anche per essere nati da uno stesso ceppo”.
Questa comune origine di due città così distanti tra di loro si può spiegare con la comune discendenza dei due popoli, i Siculi ed i Romani, dal ceppo proto Latino, e gli studi archeologici ed antropologici che erano stati condotti nella prima metà del XX secolo, in particolare quelli di Orsi, grande ricercatore delle origini siciliane, e di Sergi, avevano dato una nuova conoscenza della storia della Sicilia.
La tesi dei Siculi come primi abitatori d’Italia, ripresa più tardi dal Di Nardo in suo lavoro del 1952, sempre poggiato sugli studi del Sergi (nel quale attribuisce tale primato al popolo Ligure-Siculo di cui sarebbero successive ripartizioni i popoli dei Latini, Osci, Volsci, Sabini, Marrucini e Frentani), si appoggia, secondo Brex, anche sulle somiglianze di molti nomi di città o località sicule sia con quelle latine (pagg. 42 ss.), sia con quelle della Troade, la regione dove sorgeva Troia e da cui era venuto Enea in Italia, il che “ci fa ritenere che il luogo d’origine dei Siculi sia appunto quello dell’Asia Minore” (pagg. 16 ss.), Siculi che sono per Brex appartenenti alla famiglia degli Indoeuropei, affermazione contrastante con le tesi anti-indoeuropeiste degli scrittori che lo hanno preceduto, Leonardi e Di Nardo come dello stesso Sergi.
L’origine del nome “Siculi” è spiegata dall’autore in modo piuttosto particolare: il nome verrebbe da “Aus(ik)eli” cioè gli “Asi Antichi”, da cui Sikeli ed infine Siculi, dove il termine keli, antico, andrebbe messo in relazione con parole latine comesae-culum, periodo antico, e Jani-culum, monte dell’antico Dio Giano (pag. 21); ad appoggiare la sua tesi, Brex cita la radice africana kulù usata da molte popolazioni dell’Africa sud-orientale per comporre il nome del loro più importante Dio, il cui significato è “vecchio antenato”.
L’antichità della popolazione sicula sarebbe confermata dal fatto che Saturno, il più antico Dio italico, è raffigurato con in mano il falcetto o sikala, strumento ideato dai Sikeli-Siculi per falciare e disboscare (pag. 23 e pag. 33); questa immagine del Dio si è poi trasformata in quella di Saturno con la falce quando la religione italica venne a contatto con quella greca, in cui Kronos, la divinità greca ritenuta omologa del Saturno romano, era il Dio del Tempo che trascorre e non più il Dio che aveva dato agli uomini la conoscenza dell’agricoltura e della civiltà.
Non possiamo sorvolare su di un errore commesso da Brex, il quale segue in questo Ravioli e Leonardi (senza però citarli), nella descrizione che egli fa degli effetti del “cataclisma atlantico” sulla forma dell’Italia: riprendendo la cartina che RavioliFIG. 3 aveva pubblicato ne I primi abitatoririfacendosi alle parole di Plinio, egli commenta dicendo che “Secondo questo grande scrittore [cioè Plinio] (Nat. Hist III e V) [errore: in realtà è libro III, cap. V, 43], la primitiva forma geografica della nostra Patria era quella di una foglia di quercia, successivamente, in un periodo remotissimo (forse contemporaneo all’inabissamento dell’Atlantide), tratti di territorio della nostra penisola furono sommersi. Dopo tale cataclisma, il resto della penisola dalla forma di foglia di quercia prese quella attuale di uno stivale” (pag.13). La cartina del Ravioli venne ripresa (senza citazione) da Leonardi FIG. 4 e poi da Brex FIG. 5 con alcune variazioni, consistenti nella cancellazione del rettangolo posto in alto a destra nel disegno di Ravioli.
Lo sbaglio si perpetua nel tempo: infatti “Siro Tacito”, parlando dell’argomento in Prima Tellus(Roma 1998, pagg. 38 – 40), non si accorge dell’errore di traduzione commesso dai tre autori e lo stesso avviene in Roma Renovata Resurgat del Giorgio (Roma 2011, vol. I, pag. 19 nota 3), dove si parla del “ricordo di un’Italia antichissima, fisicamente diversa da quella attuale, [che] si trova in Plinio”.
Il testo di Plinio ha invece il verbo al presente: “Est folio maxime querno adsimilata”, e non al passato, “fuit”, quindi lo scrittore latino intende riferirsi al modo in cui ai suoi tempi era concepita la forma geografica dell’Italia, senza alcun riferimento a mutamenti di sorta.
L’errore, nato con Ravioli, si continuò nei secoli successivi, visto che nessuno dei suoi epigoni aveva pensato di controllare la citazione originaria.
A parte questo suo errore, l’opera di Brex rimane un lavoro interessante, fosse solo perché dimostra come, anche tra le difficoltà materiali del periodo bellico ormai alla fine e con l’invasione anglo-americana alle porte, il mito della Terra di Saturno fosse ancora vivo tra gli italiani e fonte di orgoglio e non di vanità per un popolo la cui antichità e la cui sapienza superavano di gran lunga quelle di qualunque altra nazione.
NOTE:
– I primi assertori dei Siculi quale primo popolo abitatore dell’Italia erano stati in precedenza Cuoco nel Platone in Italia scritto tra il 1804 e il 1806 e Micali ne L’Italia avanti il dominio dei romani pubblicato a Firenze nel 1810.
– Su Artioli vedi GIORGIO Roma Renovata Resurgat, Roma 2011, vol. I pag. 115.
– In Rendiconti della Accademia di Archeologia Lettere e Belle Arti – Nuova Serie – Vol. XXXVIII,Napoli 1963. Per maggiore completezza si potrà trovare il testo della stele e la storia di questo gemellaggio in http://www.lanuvionline.eu/pag_WEB/pagine_curioso/gemellaggio/rinnovo_gemellaggio.htm.
Ringraziamo il vicesindaco Dott. Giuseppe Biondi per il materiale e le informazioni forniteci.
– Citazione in Giuseppe Brex Saturnia Tellus, pagg. 56 – 57. Al suo testo sono riferiti i numeri di pagina posti tra parentesi.
– Vi è stato chi ha ritenuto (“SIRO TACITO” Prima Tellus, Roma 1988 pag. 40 nota 35) che il libro di Brex fosse in realtà un manoscritto inedito dello stesso Sergi pubblicato sotto falso nome: a parte il fatto che il Sergi morì nel 1936, otto anni prima della pubblicazione di Saturnia Tellus, ci sembra che la vita stessa di Brex smentisca tale affermazione.
– Guido Di Nardo I più antichi popoli italici secondo gli storici classici, in “Biblioteca dei Curiosi” n° n. 28 – anno 1952 pag. 18.
– Le cartine in questione si trovano in RAVIOLI L’Italia e i suoi primi abitatori Roma 1865, LEONARDI L’origine dell’uomo Roma 1932 a pag. 353 (il quale taglia la scritta di Ravioli contenuta nel rettangolo in alto a destra “Atlantica-Italia an. 2200 a.C.”) e BREX Saturnia Tellus cit. a pag. 12 (il quale elimina anche il rettangolo).
Tratto da – Simmetria, settembre 2011
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