Firenze: Matteo Palmieri, il manoscritto segreto e la teoria della reincarnazione
Di Enrico Baccarini© – Dall’antica chiesa della Badia Fiorentina, davanti al Bargello, si dipartono una serie di ‘viuzze’ e piccole strade che ospitarono anticamente alcune delle arti e dei mestieri più nobili di Firenze. Una piccola strada che interseca via della Condotta, conosciuta oggi come via Canto dei Cartolai, ospitò i copisti di codici e di manoscritti, appunto denominati ‘cartolai’.
Le loro arti vennero messe al servizio dei mecenati fiorentini specialmente nel periodo umanista ovvero fino a quando l’avvento della stampa non costrinse molte botteghe alla chiusura per dare spazio alle prime tipografie della città. Tra i più noti cartolai che la città ricordi si rammenta Vespasiano da Bisticci, un uomo che nel quattrocento trasformò il suo lavoro in un’arte sublime e la sua bottega in un cenacolo culturale pubblico. La sua maestria e il circolo di personaggi appartenenti all’intellighenzia fiorentina che raccolse furono però anch’essi eclissati dall’avvento della stampa di Guttebberg, un mezzo attraverso cui la cultura poté diffondersi capillarmente ma che condusse la maggioranza delle antiche botteghe fiorentine alla chiusura per gli alti costi richiesti dal loro lavoro manuale.
Matteo Palmieri
Nelle vicinanze, ovvero nell’attuale via del Proconsolo, nel 1557 avvenne un evento ascritto negli annali della storia cittadina, la disfatta di Matteo Palmieri. Morto nel 1475 Palmieri era stato priore, gonfaloniere di giustizia, ambasciatore presso Alfonso I d’Aragona e presso papa Paolo II nel 1446 e Sisto IV nel 1473. Un uomo che per la città del giglio aveva assolto tra gli incarichi più importanti e il cui rispetto e la cui memoria erano diventate una traccia indelebile per tutti i fiorentini. Matteo Palmieri fu quello che oggi sarebbe stato definito all’americana un self made man, essendo nato come speziale ed avendo asceso la gerarchia delle cariche pubbliche della città. L’evento che però incrinò profondamente la sua memoria avvenne proprio nel lontano 1557 quando una piena dell’Arno, seguita da un’alluvione di vaste proporzioni, invase proprio la sede giurisdizionale di via del Proconsolo. Come avvenne il 4 novembre del 1966 Firenze venne invasa dalle acque e decine di documenti furono riversati nelle strade della città.
La città di vita e la teoria della reincarnazione
Tra il materiale ‘rubato’ alle loro sedi originali, in quello dell’Arte dei Notai, saltò fuori un manoscritto di Palmieri dimenticato e di cui non si era mai avuta memoria. Si intitolava “La città di vita”, un poema a sfondo esoterico e allegorico che Palmieri avrebbe desiderato fosse pubblicato postumo. Nel componimento furono esposte molte dottrine care all’occulto e all’astrologia, ma tra tutte ciò che fece insorgere le ire laiche e religiose fu un’antica credenza secondo la quale ogni anima preesisteva al corpo cui sarebbe andata ad incarnarsi. Un concetto esotericamente suggestivo che poteva compenetrarsi con quella filosofia ermetica ed esoterica, quanto a molte filosofie orientali, tanto cara alla corte medicea e specialmente a Lorenzo il Magnifico. I tempi erano però cambiati e tali asserzioni non potevano essere lasciate impunite. La vicenda del poema ritrovato fu ben presto nota a tutta la municipalità ed altrettanto velocemente non tardarono ad arrivare le ire stessa della Chiesa. Le dottrine di Palmieri vennero dichiarate eretiche e il suo corpo, dissotterrato dalla tomba di famiglia sita in San Pier Maggiore, venne sepolto nuovamente fuori dal sagrato. Storicamente Firenze ha sempre avuto passioni alterne nei confronti di molti suoi illustri cittadini. Odio e amore sono stati i sentimenti che, nel corso dei secoli, hanno segnato le sue strade e i suoi personaggi.
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La Città di Vita di Matteo Palmieri e l’eresia di Origene | Press & Archeos