Caterina de’ Medici, astrologa illuminata

Assetata di potere, ninfomane, assassina, in combutta con il demonio e, innanzitutto, ” italiana e donna”: per oltre quattro secoli Caterina de’ Medici è stata prigioniera di una leggenda nera. Nessuna regina di Francia ha mai suscitato tanta esecrazione e il processo intentato contro di lei da famosi scrittori come Michelet, Balzac, Dumas ha portatoa una damnatio memoriae destinata a iscriversi nell’ immaginario collettivo. Solo a partire dal Novecento gli storici hanno guardato con occhi nuovi all’ operato di Caterina, rendendo giustizia al suo genio politico.

Per circa trent’ anni, in una Francia insanguinata dalle guerre tra cattolici e protestanti e sotto la minaccia dell’ imperialismo spagnolo, la vedova di Enrico II riesce infatti a preservare l’ integrità e l’ autonomia del paese servendosi di tutti mezzi a sua disposizione. Nell’ affrancare Caterina dalla sua leggenda, restituendoci l’ immagine di una grande regina con una visione politica, pacifista e tollerante, gli studi più recenti hanno però lasciato un dubbio irrisolto. La sovrana ha davvero praticato, come sostengono i suoi detrattori, le arti magiche e divinatorie, facendo ricorso alla negromanzia, alla stregoneriae ad ogni sorta di talismani, veleni e incantesimi ?

E’ una giovane storica dell’ arte italiana Luisa Capodieci, a rispondere oggi a questa domanda in un libro dotto e affascinante, Medicaea Medaea. Art, Astres et Pouvoir à la Cour de Cathérine de Médicis ( Droz). Prendendo le mosse dalle ricerche di Aby Warburg sul ruolo della magia e dell’ astrologia nell’ arte del Rinascimento e dall’ ipotesi formulata a suo tempo da Francis Yates di una possibile funzione talismanica della produzione artistica (cicli pittorici, feste e balletti di corte, arazzi, incisioni, medaglie, ecc.) promossa da Caterina, la Capodieci costruisce la sua indagine in due tempi. Nella prima parte del libro la studiosa mostra come le accuse mosse alla regina (l’ avere introdotto in Francia dalla nativa Firenze, il machiavellismo politico, il ricorso superstizioso agli oroscopi astrali, l’ occultismo) vadano esaminate alla luce della cultura della sua epoca.

Caterina si muove infatti nel quadro di una tradizione neoplatonica, ermetica ed astrologica che ha già solide radici alla corte dei Valois e, fortemente influenzata da Marsilio Ficino, il suo interesse per la scienza degli astri risponde a “un’ aspirazione comune al neoplatonismo fiorentino e alle correnti filosofiche e profetiche francesi: un rinnovamento spirituale e morale che chiede alla Saggezza degli astri pace e benessere”. Non si trattava di una posizione di per sé eretica ma rischiava facilmente di diventarlo per la sua contiguità con pratiche considerate illecite. Ora, benché Caterina fosse notoriamente ossessionata dal desiderio di leggere nel futuro, niente prova che abbia valicato i confini che separavano l’ astrologia divinatoria dalla magia nera.

E, d’ altra parte, Caterina, come si mostra nel saggio, si preoccupava di conciliare il determinismo astrale con il libero arbitrio dell’ uomo. Si può certamente supporre che, al riparo dagli sguardi indiscreti, la regina praticasse anche un “devozione” segreta, strettamente personale e con implicazioni magico-sacrileghe, ma quel che la studiosa vuole farci capire è che allo stato attuale della ricerca, rispetto alle accuse più forti, la regina ha diritto ad essere assolta per insufficienza di prove. Poste queste premesse, la seconda parte del libro affronta l’ ipotesi di una eventuale funzione talismanica delle immagini che figuravano nei cicli pittorici e nelle scenografie effimere commissionate da Caterina. Precisato che si intende qui per talismano un manufatto che ha la capacità di captare e trasmettere l’ influsso benefico degli astri in base a una corrispondenza naturale (la materia di cui è fatto) e una artificiale (l’ intervento dell’ artista), limitiamoci a dire che la pittura talismanica può essere definita come “una immagine astrologica la cui efficacia dipende dalle sue qualità cromatiche e formali”.

Se nel ricostruire l’ iconografia dei due cicli pittorici – la Galleria di Ulisse e la Camera di Enrico II – che Caterina aveva fatto eseguire a Fontainebleau, la Capodieci propende per una chiave di lettura non già magica ma encomiastica e politica -l’ esaltazione del potere reale- il suo percorso critico ci porta al cuore della riflessione neoplatonica sulla natura metafisica della creazione artistica. L’ identità immagine-talismano conferisce infatti implicitamente una potenzialità magica a qualsiasi espressione dell’ arte figurativa e l’ atto stesso di concepire un’ immagine è suscettibile di infondere il potere celeste di cui è essa il riflesso nel prodotto dell’ artifex. Quali che siano le sue intenzioni, liberato dal peso della materia, l’ artista nato dalla riflessione dei neoplatonici, “fabbrica i suoi propri talismani figurativi riproducendo e rispecchiando il processo che presiede alla creazione dell’ universo”. E qualsiasi riflessione moderna sulla forza creatrice dell’ arte e il potere delle immagini trarrebbe vantaggio a ripartire da questa certezza.

Fonte – La Repubblica, art. di Benedetta Craveri, 26 settembre 2011

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