Bodhidharma, le arti marziali ebbero origine in India nel IV d.C.
di Enrico Baccarini© – Lo sviluppo delle arti marziali in Asia non può essere condensato in poche pagine di un articolo ma indubbiamente possono essere rintracciate le sue origini, e la sua successiva evoluzione, nel territorio cinese.
Se questa terra ha dato il lustro e la magnificenza a quest’arte, pochi però conoscono che la nascita delle arti marziale ebbe origine grazie alla fusione dei princìpi del buddhismo indiano e del taoismo cinese.
Tra tutte le leggende sorte attorno alla genesi delle arti marziali la più veritiera ed antica è indubbiamente quella del monaco Bodhidharma (India, 483 circa–540) e del Tempio Shaolin.
Bodhidharma (Ta-Mo in cinese, Daruma in giapponese), la cui vita si colloca tra il V e il VI secolo d.C., è un personaggio tra i più indecifrabili ed enigmatici. Le leggende su di lui sono tanto numerose quanto scarne sono le fonti storiche accertabili. Tra i pochi dati sicuri c’è la sua origine, proveniva da una nobile famiglia del Sud dell’India.
Durante il suo tempo, Bodhidharma non richiamò molto l’attenzione del popolo cinese, infatti, le prime annotazioni che lo menzionano, sono datate a cento anni più tardi. Le nostre conoscenze riguardo alla sua vita derivano da due fonti.
- La prima, che contiene le più antiche informazioni su di lui menzionandolo solamente come un monaco dedito alla meditazione, è costituita dalle “Biografie dei grandi Sacerdoti”, libro composto da Tao-Hsuan al principio della dinastia Tang, verso il 645. L’autore fu l’erudito fondatore della setta Vinaya in Cina, vissuto però prima che il Buddhismo Chan raggiungesse la sua maturità con il sesto patriarca Hui-neng, che aveva nove anni al tempo in cui Tao-Hsuan scrisse le “Biografie”.
- L’altra fonte è costituita dagli “Annali della trasmissione della lampada” (Chuan-Deng-Lu), compilati dal monaco Chan Tao-Yuan, nel 1004, al principio della dinastia Song, dopo che il Chan era stata formalmente riconosciuta come una particolare corrente del buddhismo. L’opera contiene detti dei maestri Chan e notizie sulla loro opera. L’autore spesso invoca l’autorità di certe precedenti storie del Chan, che però sono andate perdute, tanto che se conoscono solo i titoli. Bodhidharma, il cui nome in origine era Bodhitara, era un principe originario di Kancipura (Xing-Chi), a quel tempo una piccola ma prospera provincia buddhista a sud Chennai (Madras), terzo figlio del Re Sugandha, sovrano della dinastia Syandria, un piccolo regno della provincia di Madras nel sud dell’India.
Altro dato certo sul suo lignaggio è che fu il XXVIII° Patriarca del Buddhismo, quindi discendente in linea diretta di Siddharta Gautama.
Pur essendo il successore del Buddha storico, difficilmente però è possibile immaginare due personaggi più diversi.
Nato in un periodo di tumulto, in cui l’India era devastata dagli Unni provenienti dal Nord del paese, come membro reale della casta degli Ksatriya, Bodhidharma ricevette un’educazione militare nell’arte marziale vedica, allora chiamata Kalari-Payat, addestramento necessario per succedere al trono di suo padre.
La tradizione vuole che, Bodhidharma, affrontasse intorno al 520 d.C. un viaggio dal paese nativo sino alla Cina per diffondere il buddhismo. Probabilmente la missione di Bodhidharma in Cina consisteva nell’assistere, o succedere, al suo famoso contemporaneo Bodhiruci. Fu così che Bodhidharma partì e dopo tre anni di viaggio via mare approdò a Canton (Guang-Zhou) in Cina, dove fu ricevuto dall’Imperatore Liang Wu Di, della dinastia Liang.
Allontanato dalla corte a causa del suo pensiero innovativo, Bodhidharma proseguì il suo cammino fino ai piedi del monte Sung-Shan nella provincia di Honan, giungendo al Tempio di Shaolin (Shorinji in giapponese, Sorimsa in coreano), il cui nome significava “giovane foresta”.
Lo Shaolinquan e lo sviluppo delle arti marziali in Cina
Qui fondò una scuola impostata sulla meditazione: Dhyana in sanscrito, Chan in cinese, Zen in giapponese. Viste le non buone condizioni fisiche dei monaci, insegnò loro degli esercizi di respirazione e di ginnastica e, secondo la leggenda, anche delle tecniche di combattimento a mani nude che con il tempo furono arricchite e perfezionate sotto la generica denominazione di wushu, ossia arti marziali (bujutsu in giapponese). Secondo molti maestri la prima vera e propria arte marziale orientale fu quella praticata nel monastero, denominata shaolinquan, la cui forma originale è andata perduta ma è stata ricostruita sulla base degli stili derivati.
I tantissimi stili di wu-shu si sono sviluppati lungo due direttrici:
- La prima prende il nome di Wei-Chia e comprende gli stili “esteriori” o “duri” di lotta, che si fondano sull’uso della forza in linea retta, sviluppando movimenti vigorosi come calci e pugni, e sembrano ispirarsi direttamente dall’originaria scuola del tempio buddhista di Shaolin. Tra questi vi era l’arte dello shorin-ryu, evolutosi poi nello shuri-te sull’isola di Okinawa, da cui deriva il karate, diffuso in Giappone da Gichin Funakoshi (1868-1957).
- La seconda direttrice è la Nei-Chia e comprende gli stili “interiori” o “morbidi” che facevano a capo al tempio taoista di Wutang, che si sviluppano con il concetto di Wu-wei, solitamente tradotto con “non azione”, ma sarebbe meglio dire “non ingerenza”: rappresenta la capacità di dominare le circostanze senza opporvisi, arrivando a sconfiggere un avversario cedendo apparentemente al suo assalto per neutralizzarlo con movimenti circolari e rivolgere contro di lui la sua stessa forza, privilegiando una respirazione ventrale, simile a quella dello yoga indiano. Gli stili morbidi, portarono in Cina allo sviluppo di discipline come Tai Chi Chuan, studiate ancora ai giorni nostri soprattutto per la salute psicofisica del praticante, mentre in Giappone generarono il jujutsu, da cui sono derivati il judo di Jigoro Kano (1860-1938) e l’aikido di Morihei Ueshiba (1883-1969).
Ovviamente, la filosofia taoista prevede una complementarietà dei principi Yin e Yang (passivo e attivo), così è improbabile trovare una tecnica che sviluppi unicamente movenze “dure” o all’opposto solo “morbide”. Tutte le scuole cinesi cercano uno sviluppo del Chi, l’energia interiore, solo che, per realizzarlo scelgono diverse strade.
Successivamente alla visita di Bodhidharma, che, presumibilmente, partì poi per continuare la sua opera di “evangelizzazione”, i monaci di Shaolin continuarono a praticare insieme allo yoga anche le arti marziali e il secolo successivo godevano già la fama di essere invincibili, capaci di difendersi con efficacia dai briganti e dai criminali che si rifugiavano nei boschi.
Lunghi anni di addestramento, isolati dal mondo, trasformarono i monaci in formidabili combattenti, motivo per cui divennero famosi in tutta la Cina, e la loro superiorità non fu solamente fisica, ma grazie al Buddhismo Chan, anche spirituale e mentale.
Conclusioni
Gli storici moderni escludono tuttavia che Bodhidharma abbia insegnato ai suoi discepoli delle tecniche di combattimento e anzi ne mettono in discussione addirittura l’esistenza.
Indipendentemente dal fatto che Bodhidharma sia o no esistito, pare accertato comunque che, intorno al 500 d.C., alcuni monaci indiani abbiano introdotto una particolare forma di buddhismo, detta Chan, che influenzerà in seguito tutta la filosofia marziale dell’Estremo Oriente.
Di certo possiamo affermare che in India si praticava già da secoli una forma marziale che, nella tecnica oggi a noi nota, presenta rilevanti analogie con gli stili di tradizione Shaolin.
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