AUSTRALIA: Un documento di 400 anni fa potrebbe riscrivere la storia dell’Australia
Un manoscritto portoghese del XVI esimo secolo, raffigurante un canguro, dimostrerebbe che la scoperta del Paese sia avvenuta molto prima del 1770
In ogni caso era opinione comune ritenere che l’Australia fosse stata scoperta nel 1770 da James Cook, luogotenente (successivamente capitano) della Royal Navy. Ora un manoscritto portoghese, rappresentante quello che a molti studiosi appare come un canguro, potrebbe riscrivere la storia. Il disegno risale a un periodo che va dal 1580 al 1620 e, se vero, dimostrerebbe che a quell’epoca qualcuno aveva già conosciuto il tipico animale australiano.
Il documento, che contiene il testo o la musica per una processione liturgica, è stato acquistato di recente da “Les Enluminures Galley” di New York , che lo ha stimato per una valore di 15.000 dollari (9.174 euro) . In precedenza apparteneva a un commerciante di libri antichi portoghese .
Laura Luce, ricercatrice presso la galleria di New York, ha riferito al giornale “The Age Australia” che “il canguro, o wallaby, è la prova inconfutabile che chi l’ha disegnato è stato in Australia molto prima di Janszoon o Cook e, cosa ancora più interessante, che studi sul nuovo mondo erano presenti in Portogallo già da parecchi anni.” Il manoscritto raffigura anche due uomini seminudi vestiti soltanto con corone di foglie, quasi certamente aborigeni.
Ma non tutti la pensano come Laura Luce. Secondo il dottor Martin Woods della “National Library of Australia” “potrebbe trattarsi di un altro animale del sud-est asiatico, come una particolare specie di cervo capace di alzarsi sulle zampe posteriori per nutrirsi dai rami più alti” . Per altri, infine, il manoscritto potrebbe risalire a un periodo successivo allo sbarco di Janszoon, non dimostrando pertanto nulla di nuovo rispetto agli studi precedenti. Il dibattito resta aperto. Intanto, per chi lo volesse vedere, il canguro tanto conteso sarà presto visibile presso la nota galleria newyorkese.
SCOPERTO TRAMITE ANALISI GENETICHE
L’Australia non era così isolata: dall’India un flusso migratorio 4 mila anni fa
Il continente australe non sarebbe quindi rimasto isolato per lungo tempo dal resto del mondo
141 GENERAZIONI FA – «Abbiamo rilevato», precisa Irina Pugach, autrice dello studio, «tracce di un sostanziale flusso genico tra le popolazioni indiane e australiane ben prima del contatto con le popolazioni europee, in contrasto dunque con l’opinione prevalente secondo la quale il continente sarebbe rimasto isolato per lungo tempo dal resto del mondo. Stimiamo che il flusso genico si sia verificato circa 4.230 anni fa, ovvero 141 generazioni fa». Periodo che, come spiegano i ricercatori, approssimativamente coincide anche con la comparsa di cambiamenti documentati dai reperti archeologi australiani, in merito per esempio alle tecniche di lavorazione degli strumenti in pietra, oltre che dalla prima apparizione del dingo tra i reperti fossili. «E queste variazioni possono essere correlate alla migrazione dall’India», aggiunge Pugach.
MIGRAZIONI – Per confermare o meno il dibattuto isolamento del continente dopo la colonizzazione iniziale, il team di ricercatori ha studiato centinaia di migliaia di varianti del Dna (tecnicamente chiamate mutazioni di singolo nucleotide) del genoma di 344 persone, tra aborigeni australiani, abitanti di Papua-Nuova Guinea e popolazioni delle isole del sud-est asiatico e dell’India. E hanno trovato così chiare indicazioni di un flusso migratorio dall’India all’Australia. Le migrazioni, infatti, sono accompagnate dall’introduzione di nuovi alleli o dal cambiamento delle frequenze alleliche nella popolazione, a cui si dà il nome di flusso genico. «Studiando un gran numero di polimorfismi di un singolo nucleotide del Dna, e osservando quanto diverse siano queste mutazioni tra le diverse popolazioni, si può stimare il momento del loro ultimo contatto, assumendo che le differenze si accumulino a tasso costante nel tempo», spiega Guido Barbujani, docente di genetica all’Università di Ferrara.
TRACCE – I ricercatori, inoltre, hanno riscontrato un’origine comune tra le popolazioni dell’Australia, della Nuova Guinea e iMamanwa, un gruppo etnico delle Filippine, sostenendo che queste popolazioni siano i discendenti di una delle prime rotte migratorie dall’Africa verso sud. Popolazioni che si sarebbero separate precocemente, circa 36 mila anni fa. «Gli scambi migratori», aggiunge Barbujani, «anche molto antichi come in questo caso, lasciano una traccia nel nostro genoma, un segno che i genetisti hanno imparato a riconoscere e a interpretare. Ed è così che Pugach e collaboratori hanno potuto dimostrare che la popolazione australiana è stata meno isolata di quanto finora si pensasse. Inoltre è grazie a queste tracce che si è capito come tutta l’umanità discenda da una popolazione africana che si è espansa fino a colonizzare tutto il pianeta».
DALL’AFRICA – Evidenze paleontologiche, archeologiche e genetiche suggeriscono infatti che gli esseri umani anatomicamente moderni, partendo dall’Africa, abbiano colonizzato tutti gli angoli del mondo. Tale colonizzazione, come si legge sull’articolo pubblicato su Pnas, si ritiene abbia seguito due vie: verso nord, portando all’origine dei popoli asiatici tra 38 e 23 mila anni fa, e una migrazione verso sud, lungo la costa della penisola arabica e dell’India, fino al continente australiano. Gli antenati degli aborigeni australiani e di Papua-Nuova Guinea si sarebbero separati dalla popolazione ancestrale euroasiatica circa 75-62 mila anni fa, raggiungendo almeno 45 mila anni fa la cosiddetta Terra di Sahul (la piattaforma continentale che durante l’ultima era glaciale era emersa e collegava Nuova Guinea, Australia e Tasmania con parte delle isole indonesiane).
DENISOVIANI – Durante il viaggio verso oriente, gli antenati degli aborigeni australiani si sarebbero imparentati non solo con i neandertaliani, ma anche con i denisoviani, una specie di ominidi vissuti in Asia 44 mila anni fa. Tracce di Dna appartenente ai denisoviani sono state rilevate non solo negli aborigeni dei Territori del nord dell’Australia, ma anche tra gli abitanti delle montagne della Nuova Guinea e i Mamanwa. Tuttavia, come si evince dallo studio, negli aborigeni australiani è stato rintracciato l’11% del genoma dei migranti che arrivarono dall’India 4 mila anni fa. Mentre il contributo genetico dei denisoviani negli antenati di queste popolazioni è di circa il 3-5%. «Sull’onda della scoperta, genetica, paleontologica ed archeologica, dell’Uomo di Denisova», aggiunge Marco Peresani, ricercatore presso il dipartimento di studi umanistici dell’Università di Ferrara, «si stanno aprendo grandi scenari sull’interazione tra le forme umane anatomicamente moderne e “gli altri” popoli che abitavano vaste regioni del continente eurasiatico. Nel caso australiano, la ricerca, benché tratti di una storia di popolamento relativamente recente, getta luce sulla complessità delle migrazioni che hanno plasmato la storia delle popolazioni umane, sin dall’uscita dal continente africano. E con la progressiva integrazione della ricerca paleogenetica al campo paleoantropologico e archeologico, assisteremo a ulteriori soprese in futuro».
Fonte – Il Corriere della Sera, 21 gennaio 2013
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