Pralaya, La fine dei tempi nelle tradizioni d’Oriente e d’Occidente
PralayaLa fine dei tempi nelle tradizioni d’Oriente e d’OccidenteISBN 978-88-97339-34-2 € 32,00 |
Le grandi civiltà, sia quelle scomparse sia quelle ancora viventi, da tempo immemorabile hanno tramandato, con tradizioni scritte od orali, numerose e complesse ipotesi sulla conclusione dall’attuale società umana. In queste credenze e teorie, la stessa concezione del tempo comporta la necessità di una conclusione del ciclo umano, dato che questo stesso aveva avuto un inizio registrato nelle memorie mitiche della cosmogonia. Concepita come fine dei tempi o di un mondo, come un diluvio di fiamme o di piogge, come una guerra finale con la ricomparsa degli eroi del passato o sotto altre forme, questa conclusione è descritta alla stregua d’un drammatico avvenimento. Una lunga, inquietante sequela di segni dei tempi anticipano la catastrofe finale che solamente gli spiriti più eletti, profeti, santi, veggenti, sanno correttamente interpretare. Al contrario i “malvagi” sono portati ad apprezzare tutte le ingiustizie, le violenze e le anomalie, considerandole come ineluttabile miglioramento delle condizioni della vita umana, facendosi così complici dell’ignoranza, dell’iniquità e della matta bestialità che scateneranno la fine. Gli studiosi che si sono dedicati alla ricerca in quest’ambito, con fonti nelle lingue più diverse, distinte metodologie scientifiche e prospettive critiche differenti, hanno fornito un panorama a tutto tondo della posizione delle civiltà nei confronti del futuro dell’umanità. Questo tema, dovuto al clima d’insicurezza e inquietudine che pervade il mondo intero, foriero di temuti accadimenti infausti o di speranze messianiche, minacciato da irrazionali allarmismi che la tecnologia attuale diffonde, è di grandissima attualità.
Fin da tempo immemorabile, tutte le grandi culture della terra hanno concepito l’idea, trasmessa poi di generazione in generazione attraverso tradizioni che potevano essere scritte o orali, di un compimento, di una conclusione dall’epoca attuale: ‘l’età del ferro’, ‘l’era oscura’, ‘il kali yuga’, ovvero il periodo caratterizzato dalla presente umanità. Partendo dal presupposto che il ciclo umano aveva avuto un suo inizio, celebrato nei miti cosmogonici, nelle leggende delle tribù, nella memoria di ciascuna comunità umana, la concezione stessa del tempo che ne consegue comportava – e comporta ancor oggi presso le civiltà viventi – anche la necessità di una fine. Comunque sia concepita questa conclusione, come fine dei tempi, come fine di un mondo, come un diluvio di fiamme e di piogge, come una guerra finale con la ricomparsa degli eroi del passato o sotto altre forme, essa è descritta alla stregua d’un drammatico avvenimento, una vera e propria punizione collettiva, la purga dell’umanità da cui solamente i giusti alla fine saranno risparmiati e traghettati verso un nuovo mondo purificato. Tuttavia l’inquietante successione di segni dei tempi che anticipano la catastrofe finale possono essere correttamente interpretati solamente dai giusti o dagli spiriti eletti. Viceversa, tutte le storture e anomalie sono considerate in forma rovesciata e positiva da coloro che non saranno in grado di trascendere le barriere dello spazio e del tempo, facendosi così complici dell’ignoranza e della violenza personificate che scateneranno la Fine.
In Occidente, l’idea della fine del mondo è avvertita forse in maniera più drammatica in quanto il tempo stesso è percepito come insistere lungo una linea retta: dal principio, o cosmogonia, si sviluppa insistendo lungo una direzione specifica, che consiste in ciò che i Greci chiamavano eschaton, “fine”. In Oriente il tempo è un concetto ciclico, ricorsivo, meglio ancora spiraliforme, la fine di un’epoca è il preludio di una successiva. Tuttavia, a sua volta, la sequenza delle dissoluzioni (i pralaya del mondo indiano) prelude alla fine di un intero ciclo maggiore (il mahāpralaya).
All’alba del terzo millennio, siamo dunque consapevoli di trovarci ancora una volta in un’epoca di grande insicurezza, caratterizzata ormai da uno stato di crisi pressoché permanente. Dopo l’effimero compiacimento circa la caduta del comunismo sovietico, il dramma dell’epoca presente sta nel non aver trovato soluzione alle storture intrinseche del capitalismo, avvallando un sistema globale che ha condotto a enormi squilibri, nonché i mercati alla crisi economica totale. È evidente che anche molti dei paesi del Terzo Mondo, coloro che soffrirono il colonialismo, molti di quelli che ancora oggi incensano la loro posizione ‘non-allineata’, all’alba del nuovo millennio non sono tuttavia riusciti ad indicare una concreta alternativa. In un momento in cui ‘la crisi della democrazia’ suona ai nostri orecchi quasi alla stregua di un refrain ormai abusato, i confini politici creati in un secolo di guerre e conflitti, anche religiosi, si sgretolano pressoché ovunque. In questo angoscioso periodo di sbandamento culturale e di sconvolgimenti etnici e sociali si sente spesso parlare della fine del mondo, di catastrofi, di declino dell’umanità. In quella che per molti è un’epoca di vuotezza intellettuale – forse prima in occidente che in oriente, ma la tendenza è globale – molti movimenti new age e le numerose pseudo-religioni si sono impadronite di questo argomento dando adito alle più disparate paure millenaristiche. Per questi gruppi la descrizione di un cataclisma cosmico in questo caso è spesso tracciata come una dolce transizione verso un mondo migliore. In esso tutta l’umanità si trasferirebbe per godere, in una rinnovellata età dell’oro, i risultati positivi di non si sa quali meriti. Del resto la propensione di molti singoli è quella fuggire da un mondo divenuto incomprensibile e incontrollabile, pertanto alcuni trovano vacuo rifugio in un bizzarro assortimento di credenze la cui forza risiede proprio nella loro intrinseca irrazionalità.
Molte tradizioni hanno infine descritto la comparsa di un nuovo continente, la discesa della città celeste sulla terra, l’inizio d’una nuova generazione dedita alla ricerca della saggezza e della pace, la trasmutazione del vecchio uomo in un essere angelicato e l’avvio di una nuova civiltà a diretto contatto con i voleri di Dio e con la frequentazione degli déi-angeli-spiriti, a riparo dalla menzogna e dall’egoismo.
Se lasciamo in sospeso per un attimo la constatazione – sicuramente fondata e che avremo modo di sviscerare nel presente libro – che l’ansia escatologica si faccia maggiormente presente nei momenti di crisi del sociale, ebbene, quello che ci pare il nocciolo della questione è che in ogni caso con la fine del mondo le diverse tradizioni hanno affrontato l’interrogativo che più d’ogni altro attanaglia l’uomo cercando di offrire, ciascuna secondo il proprio ambito dottrinale, la prospettiva ultima e più elevata al senso della vita.
È sull’onda di queste considerazioni che la Venetian Academy of Indian Studies (VAIS) si è proposta di organizzare un convegno[1] per stimolare un confronto e un approfondimento comparato tra le dottrine che riguardano la fine dei tempi e il rinnovamento del mondo come descritte dalle maggiori tradizioni e religioni. Tuttavia il presente volume non costituisce quella che di consueto è la pubblicazione degli atti dell’evento passato, ma si tratta di un prodotto assolutamente nuovo, frutto di questi mesi di studio, di scambio costante di prospettive e suggestioni, durante quello che per noi è stato una sorta di laboratorio di ininterrotto dibattito. Se è vero che abbiamo perso per strada qualcuno dei vecchi partecipanti, degli amici e colleghi assorbiti in progetti accademici nazionali e internazionali, è anche vero che l’idea del presente progetto ha coagulato attorno a sé l’interesse e l’apporto nuovo di esperti, docenti e ricercatori che hanno voluto partecipare con il loro contributo.
È dunque in modo tradizionale che vogliamo presentale di seguito il lavoro di questo nuovo team e gli argomenti che saranno trattati in questo volume, senza tuttavia voler anticipare nulla dei contenuti di quella che possiamo assicurare sarà un’avvincente lettura. L’ordine degli temi non segue un iter cronologico o ancora meramente alfabetico, ma si è scelto di inanellare le ricerche dei vari autori intessendo una trama tematica, che seguendo il filo del logico discorso, si muova attraverso le culture e le aree geografiche di pertinenza dei nostri esperti: dalle tradizioni hindū del Subcontinente indiano, alla Cina e il buddhismo, dal mondo islamico, ai documenti antichi dell’area mesopotamica e dell’Egitto, fino a giungere alle tradizioni d’Occidente, a partire dalla cultura greca fino all’escatologia dei monoteismi cristiano ed ebraico, passando attraverso l’Armenia e la Russia, e ancora i cicli mitologici nordici e germanici, concludendo infine con le tradizioni degli indiani d’America.
Il nostro incredibile viaggio incomincia dunque in India con Gian Giuseppe Filippi che, dopo una breve introduzione sulle tematiche generali della raccolta, illustra la concezione tradizionale del tempo nel mondohindū. Le ere cosmiche, gli yuga, i manvantara e i kalpa, si susseguono, alternandosi a periodici pralaya, momenti di dissoluzione, incessantemente lungo la voluta a spirale della concatenazione temporale; un processo ciclico, ma mai uguale a sé stesso, laddove solo il saggio è in grado di uscire dal tempo attraverso un cammino di conoscenza. Prendendo le mosse dalla teoria dei cicli cosmici, Monia Marchetto entra nel vivo dell’argomento analizzando sulla base di un’accurata analisi di fonti letterarie classiche, la dinamica della fine del ciclo, il kali yuga, l’epoca oscura, il rovesciamento dell’ordine. Ed è descritto non solo un mondo di violenza, ma d’ignoranza e decadenza; la caratteristica della fine dei tempi è il capovolgimento dei costumi: l’abbandono di tutto ciò che è sacro in favore, non tanto del profano, ma diremmo addirittura di tutto ciò che è anti-sacro. L’articolo è corredato nella sua conclusione da alcune considerazioni di ordine astronomico e astrologico del capitano Manuel Martin Hoefer, studioso di jyotiṣa, ovvero la scienza tradizionale indiana che esplora appunto il cosmo e le sue dinamiche astrali. Illuminante una serie di considerazioni sul calcolo della precessione degli equinozi, già introdotta nel capitolo d’apertura, ovvero il lento movimento di orientamento dell’asse di rotazione terrestre rispetto al ‘cielo delle stelle fisse’; molte popolazioni antiche risulta che fossero a conoscenza di questo ciclico movimento e riuscissero a calcolarlo con una buona approssimazione da cui, come si vedrà in seguito, l’idea tutto sommato comune del reiterarsi dei cicli cosmici. Giunti dunque al culmine della manifestazione ciclica degli yuga, Guido Zanderigo ci conduce attraverso una panoramica di riferimenti letterari (in particolare il Kalki Purāṇa) sulle tracce della figura del Kalkin, l’avatāra definitivo, il ‘distruttore dell’ignoranza’, il Rājā di Śambhala, ovvero la discesa del divino destinata a chiudere il ciclo temporale nella battaglia cosmica finale. Nel seguente articolo invece si prende in esame un passo specifico tratto ugualmente dal corpus purāṇico, la letteratura di commentario che, indipendentemente dalla data di composizione, si sforza in India di sistematizzare la tradizione sacra dell’induismo. Gianni Torcinovich seleziona all’interno del Brahmāṇḍamahāpurāṇa – il celebre purāṇamaggiore che illustra la manifestazione dell’universo e del suo divenire dall’Uovo cosmico di Brahma che giace sull’oceano primordiale – il capitolo terzo detto della ‘dissoluzione dell’universo’, di cui si propone una traduzione pressoché integrale arricchita da una serie di note e commenti dell’autore, che pone particolare accento sulla dottrina della dissoluzione in termini macrocosmici e microcosmici. La lunga sezione dedicata all’India si conclude infine con il nostro personale contributo più orientato verso la storia contemporanea e l’antropologia. Il saggio di Stefano Beggiora si propone di esplorare le idee della fine del tempo e del suo rinnovamento presso le tradizioni sciamaniche degli ādivāsī, ovvero gli aborigeni d’India. Qui s’osserva però che l’idea tradizionale della fine è sottoposta ormai al rischio della fine oggettiva di queste culture dimenticate. La modernità, ma soprattutto lo sfruttamento indiscriminato del territorio e le dinamiche della globalizzazione hanno portato anche nel cuore dell’India tribale aspri conflitti e una guerra poco nota, ma dai risvolti inquietanti e destabilizzanti per l’intero Subcontinente.
Assieme a Ester Bianchi ci spostiamo dunque verso la Cina: idealmente seguiremo le tracce di Faxian, il celebre monaco pellegrino del V secolo, che instancabile si recò dalla Cina all’India e viceversa per visitare i luoghi del Buddha, ma soprattutto per recuperare le sacre scritture del canone buddhista che attraverso le traduzioni cinesi diffonderanno il dharma al di fuori del Subcontinente. L’autrice ci propone quindi una visione della fine del ciclo temporale secondo testi cinesi medievali, in Faxian e altre fonti coeve, alla cui traduzione ha molto lavorato in questi ultimi anni. L’avvento del Buddha dell’era futura, Maitreya, che equivale al Kalkin della tradizione hindū, pur nel contesto fosco e catastrofico dell’estinzione del dharmasegnerà la salvezza del popolo degli eletti.
La tradizione islamica è rappresentata da un paio di contributi complementari, opera di Angelo Scarabel eThomas Dähnhardt,che giustappunto s’incastrano l’uno nell’altro come un perfetto ingranaggio teoretico. Nel primo troviamo un orientamento decisamente dottrinale, Scarabel introduce alcuni commentari a versetti coranici suddividendo fra tradizione essoterica islamica e ambito inziatico, proponendo circa la fine dei tempi un’accattivante chiave di lettura e analogie nel simbolismo esoterico che si ritrovano in correnti diverse e contigue il mondo musulmano. Il saggio di Dähnhardt invece illustra i diversi e terrificanti aspetti dei segni dell’avvicinarsi dell’Ora fino agli eventi del compiersi dei tempi: l’avvento dell’Impostore (al-Dajjāl), l’Anticristo della tradizione islamica – oltre che l’apparizione di Gog e Magog e il ritorno di Gesù figlio di Maria – la battaglia finale, il caos e la distruzione, ma anche la salvezza dei giusti nel giudizio finale. In un’epoca in cui anche nell’islam si moltiplicano i molti movimenti messianici e millenaristi, le numerose fonti e gli ḥadīṯ proposti sono analizzati nell’ottica di fare chiarezza su di un tema che ha enorme importanza nella tradizione musulmana.
Contiguamente, quantomeno per ambito geografico, il nostro viaggio continua con Pietro Mander che facendo cronologicamente un passo indietro ci conduce nell’antica Babilonia. Per quanto Berosso, sacerdote di Bel Marduk e astronomo babilonese in epoca tarda avesse evocato la fine del mondo a seguito dell’allineamento dei pianeti attraverso una terribile tempesta di fuoco, l’autore intende esplorare le fonti più antiche della documentazione cuneiforme alla ricerca di una dottrina dei cicli cosmici e della loro potenziale fine, tanto attraverso l’interpretazione del simbolismo mitologico assiro-babilonese, quanto in chiave più puramente metafisica. Passando poi da bacino a bacino fluviale, che furono la culla delle prime civiltà umane, scendendo idealmente lungo il corso del Nilo, assieme a Emanuele Ciampini giungiamo alle sabbie dell’antico Egitto. La dimensione del deserto, del caos esterno che si contrappone all’ordine faraonico della civiltà, del tempio e della regalità, disegna la cosmologia di questa antica terra. Ciampini ci descrive la dimensione dello spazio e del tempo all’epoca dei faraoni, attraverso la traduzione di colofoni e manoscritti su papiro. Le connotazioni apocalittiche d’epoca tarda si sfumano vieppiù in epoca alessandrina in cui la nuova era sarà salutata come il ripristino di un nuovo ordine.
Pietra miliare, è il caso di dirlo, della nostra raccolta è il contributo di Salvatore Giuseppe Sorisi,che con il suo confronto fra religioni occidentali e dottrine orientali costituisce la chiave di volta fra la prima e la seconda parte del libro. Sorisi suddivide le escatologie occidentali dei monteismi – ebraismo, cristianesimo e islam – dalla tradizione orfico-pitagorica e platonica che per le visioni e simbolismo spaziale e temporale sembra accostarsi alle dottrine hindū. Di grande interesse il tema del confronto fra la ‘resurrezione di luce’ e la cosiddetta ‘resurrezione della carne’, interpretata come una semplificazione essoterica di più antiche dottrine d’Oriente, concezione nota ai mistici e a una certa patristica orientale e poi venuta meno a seguito della disputa con la teologia. Molti altri aspetti interessanti alla luce di un confronto fra le dottrine hindū e la cultura greca classica sono evidenziati da Patrizia Tedesco Busetto che propone un saggio veramente ricco di rimandi e affinità simboliche costruite attorno alla figura di Prometeo. Il titano che sfidò gli dei, che donò all’umanità il dono maligno del fuoco (ma che permise loro “di aprire gli occhi e di vedere”), incatenato alla rupe inclina con il suo peso l’asse del mondo, proiettando il suo supplizio nel ciclo temporale cosmico della precessione equinoziale che, come abbiamo visto più sopra, sta alla base di molte concezioni cosmologiche ed escatologiche nelle culture dell’uomo.
Boghos Levon Zekiyan presenta invece una riflessione colta sull’opera di Movsēs Chorenatsi uno degli autori più discussi e dibattuti della letteratura dell’Armenia, ma contemporaneamente considerato il padre della sua storiografia. Il concetto di escatologia nella sua accezione di fine, ma anche con le sue dinamiche di rinnovamento, con la sua potenzialità implicita di rinascita è qui applicato alla Storia e in particolare alla storia del popolo armeno: dalla divisione del Regno d’Armenia che prelude a una fine già chiaramente annunciata, all’idea del suo rinascimento culturale (la creazione dell’alfabeto e di una grande cultura letteraria). Qui Zekiyan ci propone una riflessione sui temi di ethnos, nazione ed altri fenomeni sociali in relazione alla loro effettiva sacralità e ai condizionamenti religiosi. Dall’Armenia passiamo velocemente alla Russia, dove Gian Luca Tenuti dipinge un ambiente spirituale dal carattere profondamente messianico. Tale messianismo, così come emerge dai molti riferimenti alla letteratura, sarebbe un attributo implicito nel dualismo della popolazione, da cui l’inclinazione apocalittica stessa risulta uno degli estremi in cui si lacera l’anima russa. Del resto il millenarismo fa parte delle tendenze religiose che si incentrano sulla fine, dunque la “ricerca dei tempi che non tornano più” è la ricerca presso lo stesso “substrato etnico” di restituire valore alla prospettiva escatologica, che anche la chiesa ortodossa aveva relegato ormai ad un indefinito futuro. Interessantissima la digressione sui movimenti e le sette locali, quali i Christovovery (Credenti di Cristo) e iChlysty (Flagellanti), praticanti il culto di una religiosità di natura estatica.
Il saggio successivo ci porta assieme a Piero Capelli ad esplorare alcuni risvolti dell’apocalittica nella grande tradizione ebraica. Prima di addentrarsi nella ricca messe di citazioni tratte dalle numerose traduzioni che l’autore ha eseguito dalle fonti bibliche, pseudepigrafiche e rabbiniche, una breve introduzione ci ricorda come l’apocalittica affianchi la cosmologia e l’escatologia tradizionale facendosi categoria del pensiero umano nell’epoca in cui si verifichino crisi istituzionali e sociali o, come già sottolineato da vari altri autori, quella tradizione sia andata perduta. Segue in tale senso una panoramica attenta della letteratura ebraica dal periodo della dominazione persiana, di quello ellenistico e romano, alla religiosità della diaspora, alle moltissime fonti del periodo di formazione dell’ebraismo rabbinico.
Restando in tema biblico, si ritorna in ambito cristiano con Marco Giardini che ci illustra un enigmatico passo della seconda lettera ai Tessalonicesi in cui si fa riferimento a una misteriosa entità, detta catéchonche sarà chiamata a trattenere l’abominio apocalittico. Questo sarà destinato ad essere infine rimosso per lasciare che s’avveri la manifestazione ultima della fine dei tempi, attraverso l’avvento dell’Anticristo e la realizzazione la del mysterium iniquitatis. Attraverso un indagine fra le interpretazioni della patristica, i testi canonici e una certa letteratura extra-biblica Giardini interpreta l’antica profezia dell’Ultimo Imperatore attraverso l’escatologia cristiana medievale.
Luca Bragaja invece ci conduce attraverso una disamina densa, affascinante e sicuramente alquanto complessa dei segni della fine dei tempi nell’opera di Dante. Riconoscendo da un lato che non esistano immagini esplicite della ‘fine’ nella Commedia, ma di una sorta di maturazione dello spirito, di fruttificazione del tempo stesso, di un rinnovellarsi dell’eterno che ci attende, Bragaja si muove fra simbolismo (la Bestia, l’albero cosmico, la ruota del cielo), articolate numerologie e ‘vere profezie’. Queste immagini dellaCommedia quindi richiamano – attraverso un perfetto meccanismo che sembra contenerla tutta – la letteratura sacra e la tradizione esegetica, che schiude implicitamente il finale compiersi del Tempo.
Lorenzo Gobbi nel suo saggio osserva come la storia cristiana è stata spesso costellata da movimenti di carattere millenaristico, chiliastico ed escatologico. Dopo una panoramica storica che muove dalla distinzione fra escatologia in senso teologico e millenarismo di tipo apocalittico, si dimostra come quest’ultimo a più riprese sopito abbia avuto la forza di riemergere in chiave critica nei confronti del cattolicesimo. Un atteggiamento cauto, ma a tratti anche ambiguo è quello della Chiesa nei confronti della nuove sette, delle innumerevoli apparizioni mariane, che sono espressione del riemergere del millenarismo nel mondo contemporaneo, espressione dell’inquietudine del presente, desiderio di protagonismo dei singoli nel divenire di una società oggi in evidente crisi.
Con gli ultimi due articoli cambiamo decisamente panorama, puntando verso culti che definiremmo ‘primordiali’. In questi ambiti sembrerebbe che l’escatolgia strictu sensu svolgesse un ruolo minore in quanto generalmente basata sulla nozione di un rinnovo ciclico a breve termine, laddove aspettative messianiche sono spesso frutto di influenze cristiane, occidentali o ancora culti di crisi come abbiamo visto più sopra. Tuttavia non bisogna generalizzare in quanto il simbolismo espresso presenta risvolti inaspettati.
Secondo la mitologia germanica, narrata nell’Edda e nella Volöspá, il termine dei tempi è indissolubilmente legato alla distruzione finale, un universale cataclisma chiamato Ragnarök, il ‘Crepuscolo degli Dei’. Durante quest’evento vi sarà un successione d’inverni terribili accompagnati da una generale corruzione dei costumi, che più che essere il motivo della catastrofe finale ne saranno gli ineluttabili segni precursori. Il lupo Fenrisinghiottirà il sole, il cielo si spaccherà in due e il sacro albero Yggdrasill, l’asse del mondo, sarà scosso, gli dei s’affronteranno in battaglia e il fuoco inghiottirà tutto. Ulrike Kindl ci conduce attraverso i simboli di questa visione terribile costruendo un’arguta riflessione: la possibilità che tale destino totale sia seguito da un nuovo inizio non è qui che una vaga indicazione, da leggersi forse come un ascendente di origine cristiana o ancor peggio di un inganno atroce il cui segreto è custodito nei versi del mito germanico.
Infine l’ultimo saggio della raccolta è una ricostruzione appassionata e struggente, condotta con un rigore che definiremmo al contempo storico e antropologicoda Enrico Comba, della storia della Ghost Dance degli indiani d’America, per la precisione delle tribù Lakota. La “Danza degli Spiriti” appariva come una visione escatologica di origine settaria che l’uomo bianco faticava a comprendere poiché esprimeva il tentativo di resistenza di un popolo sconfitto. La fine del mondo era da intendersi qual fine dell’uomo bianco e il ritorno dei morti – uomini e animali, cioè antenati e bisonti – simboleggiava il ritorno di un ordine che l’intolleranza e la repressione statunitense aveva contribuito ad estinguere. Ricollegandosi in un certo senso all’articolo sugli ādivāsī d’India, Comba ci ricorda come per molti popoli della nostra era la ‘fine dei tempi’ sia già irrevocabilmente giunta relegando quelle culture al silenzio della storia. In altri casi la lotta per la sopravvivenza è ancora in corso e molte popolazioni indigene, ciascuna attraverso la propria ‘Danza degli Spettri’, gridano al mondo la propria identità e desiderio di rinascita.
[1]Convegno Nazionale “Estinzione del mondo o chiusura d’un ciclo? La fine dei tempi nelle tradizioni d’Oriente e d’Occidente”, Chiostro di San Fermo, Verona, 14–16 Giugno 2013, in collaborazione con: Museo Diocesano d’Arte S. Fermo Maggiore, Istituto Superiore di Scienze Religiose di Verona, Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea (DSAAM) – Università Ca’ Foscari di Venezia; con il patrocinio del Comune di Verona.
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Curatore: Stefano Beggiora
Autori: Stefano Beggiora, Ester Bianchi, Luca Bragaja, Piero Capelli, Emanuele M. Ciampini, Enrico Comba, Thomas D.Hnhardt, Gian Giuseppe Filippi, Marco Giardini, Lorenzo Gobbi, Manuel Martin Hoefer, Ulrike Kindl, Pietro Mander, Monia Marchetto, Angelo Scarabel, Giuseppe Salvatore Sorisi, Patrizia Tedesco Busetto, Gian Luca Tenuti, Guido Zanderigo, Boghos Levon Zekiyan
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