Il Vampiro nella storia e nella tradizione
Il vero vampiro è orribile a vedersi. Magro e peloso nello stato di veglia, diventa, quando giace ben nutrito nella sua bara, grasso e gonfio da scoppiare. Il sangue fresco gli cola dalla bocca, dal naso e dalle orecchie. La sua pelle è fosforescente e il suo alito fetido.- (Roland Villeneuve, vampirologo e demonologo, in Loups-garous et vampires – Lupi mannari e vampiri)
Questa citazione, presa da Roland Villeneuve, è a sua volta ripresa da Prospero Lambertini, alias papa Benedetto XIV, in un testo del Settecento. Come si può ben constatare questa descrizione della figura del vampiro ha un qualcosa di ripugnante e abominevole che si discosta di molto dalla tradizione letteraria e cinematografica cui siamo oggi abituati. Diffusa anche nel corso dell’Ottocento, questa visione era però destinata ad essere dimenticata grazie ai successi di alcuni importanti autori del romanzo gotico, che proprio in quel periodo iniziavano a diffondersi per l’Europa.
Il vampiro gentiluomo, quella figura carismatica, con un forte fascino, in grado di attirare a sé la vittima senza troppo sforzo, nasceva nel 1819 quando il medico John Polidori diede alle stampe il suo romanzo breve Il Vampiro, il cui protagonista, Lord Ruthven, era ricavato dall’amato/odiato Lord Byron. Da qui in poi il vampiro, in letteratura, ottenne sempre maggiori successi, passando per Carmilla, la vampira di Le Fanu, e per Varney, vampiro che animava i classici fascicoli a puntate, per finire con l’apice massimo del genere, quelDracula di Bram Stoker che fuse in se parte degli elementi folcloristici europei e parte dei topos letterari del tempo, realizzando una sintesi perfetta e al contempo originale sull’argomento e un’avventura senza tempo e appassionante.
Indice
|
Etimologia del nome
I vampiri, come tramandato dalla tradizione, sono morti che tornano dalla tomba per succhiare ai viventi l’essenza vitale (preferibilmente il sangue). Il termine vampiro ha origine slava: riconducibile alla radice -pi, mago, stregone, e al verbo lituano wempti, bere, succhiare. Chiamati vampir in Serbia e Bulgaria, upiór in Polonia, upir in Russia, si distinguono non solo per i nomi, ma anche per caratteristiche e modus operandi e, per lungo tempo, sono stati considerati tutt’altro che un parto fantastico di leggende perse nel tempo.
Le origini del mito
Le origini dei vampiri sono antiche quanto il mondo stesso: non sono pochi, infatti, i ritrovameneti archeologici che indicano quanto antica fosse la paura del vampirismo. Ad esempio in molte necropoli preistoriche sono stati rinvenuti resti con pietre piantate sul corpo probabilmente per impedire al morto di tornare dall’aldilà. Il più antico testo vampirico di cui si è a conoscenza è, poi, una tavoletta babilonese conservata al British Museum su cui è incisa una formula magica che serve a proteggere dai demoni succhia sangue, gli etimmé.
Nella tradizione ebrea antica è poi presente l’aluka (succhiasangue), un essere che assale i viandanti che si sono persi nel deserto: non a caso tra i precetti della Torah c’è anche il divieto di bere il sangue, veicolo dell’essanza vitale degli esseri viventi, probabilmente ricordo delle antiche paure vampiriche. La stessa figura biblica di Lilith, che riprende il demone assiro di lilitu, era un demone di genere succubus (la versione femminile degli incubus, demoni dalla forma spettrale piuttosto che corporea). Prima, malvagia moglie di Adamo, essa è ritenuta nella tradizione ebraica la madre di tutti i vampiri: come tutte lesuccubi, è golosa di seme umano e per questo entra di notte nel letto degli uomini per prosciugarli della loro forza vitale. Da Lilith discendono anche lelilin, che succhiano il sangue dei bambini. Secondo la tradizione, se un bambino sorride nel sonno durante la notte del sabato ebraico, si dice che stagiocando con Lilith: per salvarlo, gli si strofina il naso per tre volte e si dice la frase augurale: Adamo, Eva, fuori Lilith!.
Anche greci e romani avevano una loro mitologia vampirica, perlopiù rappresentata da vampiri di sesso femminile, che si unisce con una certa tradizione sciamanica europea. La lamia, ad esempio, regina dei succubi, è una sorta di strega, che a volte appare in forma di bella fanciulla, a volte come vecchia donna, a volte anche con sembiante animale, preferibilmente un serpente con la testa di donna. Nella Roma antica, poi, si aggiunge anche lastix, diretta antenata delle strie italiane e degli strigoi rumeni. Dalla forma d’uccello rapace e assetata di sangue, che beveva con un lungo e affilato becco, viene così descritta da Ovidio:
- Si dice che strazino i fanciulli ancora lattanti
- e pieno di sangue tracannato abbiano il gozzo
- Hanno nome di strigi: causa del nome
- è che sogliono di notte orribilmente stridere
Altra letale fanciulla era l’empusa, che per una particolare malia, appare come una splendida fanciulla, quando in realtà nasconde mostruose e ripugnanti fattezze (ha un piede di bronzo e un di streco d’asina). Come le mormos, vampire un po’ più gradevoli, erano al servizio di Ecate, dea della notte, della magia nera e protrettrice delle streghe.
Così la descrive James Robinson nella miniserie Vertigo Witchcraft:
- Ecate. Regina delle tenebre. Regina della notte. Colei che ha tre corpi e tre teste. Vergine, madre e vecchia. Cielo, terra e inferno. Artemide, Diana e Proserpina. Colei che non ha nome. Ragina dei fantasmi.
- Regina delle streghe.
E arriviamo al primo racconto sui vampiri: Filostrato riporta nella Vita di Apollonio di Tiana la storia del giovane Menippo che salva il suo maestro Apollonio dalle terribili trame di una empusa, utilizzando una lingua sciolta e tanta fantasia.
Testimonianze ancora più importanti sui non-morti dell’antica Roma ci pervengono dal resoconto di un certo Flegone Tralliano, liberto dell’imperatore Adriano, che narra la vicenda di Philinnio (che fu ripresa, in poesia, da Goethe – leggi on-line la traduzione di Benedetto Croce -, che la ambienta a Corinto e che fu probabile fonte del racconto Arria Marcella di Théophile Gautier), giovane morta e che ritorna, con il consenso degli dei, per amore di un giovane, Machate. La giovane viene scoperta dai genitori, e questo incontro la riporta alla morte, sembra definitivamente; ma la popolazione si rivolge al saggio Ryllus che
- ordinò loro che per nessuna ragione permettessero che il corpo di Philinnio fosse ricollocato nel sepolcro, ma si assicurassero che fosse immediatamente incenerito in un luogo lontano, fuori dalle mura della città.
Le Epidemie
Da questi primi miti greco-romani, probabilmente influenzati da miti più antichi provenienti dall’Oriente o forse reminescenza di leggende nate quando il mondo aveva un unico continente, Pangea, la leggenda del vampiro si è diffusa nell’Europa dell’Est e da qui in tutto l’Occidente. Questa, però, si rivelò molto più di una semplice leggenda, ma una vera e propria epidemia, che venne documentata fin dal Seicento. Si parte dal 1672 in Istria con il vampiro Giure Grando di Coriddigo, quindi in Grecia (1701), Prussia Orientale (1710 e 1721), Ungheria (1725-30), Serbia (1725-32), Slesia (1755), Valacchia (1756), Russia (1772) e via discorrendo. In ognuno di questi casi gli inquisitori produssero una vasta e dettagliata documentazione, in cui venivano descritte di esumazioni di cadaveri, che presentavano crescita di capelli e unghie dopo la morte, colorito acceso e che emettevano urla strazianti e inumane una volta che veniva tagliata loro la testa e infilato un paletto nel cuore, il tutto rilasciando dalle ferite così inferte fiotti di sangue fresco.
Molte furono le personalità che si occuparono di vampiri, ottenendo, a buon diritto, il titolo di vampirologi (Dom Augustin Calmet, Collin De Plancy, Montague Summers), ma la summa sull’argomento è un’opera di oltre 900 pagine redatta dall’abate Augustin Calmet, Dissertation sur les Apparitions des anges, des démons e des esprits et sur les revenants et vampires de Hongrie.
Calmet raccolse nel suo tomo tutte le testimonianze e le leggende sui vampiri (denominati revenants, spettri che ritornano), cercando anche di dare spiegazioni razionali ai fenomeni: morti apparenti, differenti gradi di decomposizione, e altre ancora. La spiegazione che però l’abate proponeva più spesso era quella soprannaturale: i vampiri erano infatti considerati da Calmet dei veri e propri demoni, che conservavano dopo la morte una vera esistenza. Essi erano in grado di uscire dalle bare attraverso dei fori praticati sulla bara, probabilmente smaterializzandosi e rimaterializzandosi, e quindi andavano tra i vivi in caccia del sangue necessario per proseguire la loro immonda esistenza.
A questa maledizione ci si poteva opporre solo con la Magia Postuma, dal titolo di un trattato del 1706 di Ferdinand De Schertz: come già descritto, consisteva nel mutilare ed aggredire il cadavere del sospetto vampiro tramite la decapitazione e la distruzione del suo cuore. Questa pratica imperversò un po’ in tutta Europa e solo nel 1755 si ebbe un freno grazie all’imperatrice Maria Teresa che con una legge imperiale ne impedì l’applicazione nei territori da lei retti: già questo semplice divieto fece terminare le epidemie di vampirismo.
I vampiri, però, continuarono ad essere oggetto dell’attenzione del popolo: nel 1816, ad esempio, Prosper Merimée, l’autore di Carmen, fu testimone di un caso di vampirismo in Serbia, assistendo all’esumazione e alla distruzione del cadavere, mentre nel 1909, in Transilvania, venne dato alle fiamme il castello di un altro vampiro
Le epidemie inglesi
Come detto già nel Regno Unito del XII secolo si iniziavano ad avere resoconti di casi si vampirismo. In questi primi resoconti ci si riferisce alla creatura (generalmente un morto ritornato alla vita) come ad una sanguisuga. Un esempio sono i numerosi casi che si riscontrano a Newburg, tutti riportati da tal Guglielmo di Newburg. Ad esempio un uomo, seppellito alla vigilia dell’ascensione, a partire dalla notte successiva e per tre notti di seguito si presenta alla moglie e le si getta addosso, lasciandola praticamente senza fiato. La moglie, però, la terza notte si fa trovare preparata e si organizza con un gruppo di amici, la cui presenza spinge il morto a fuggire urlante. Nelle notti successive il povero morto inizia a spaventare gli abitanti del villaggio, anche in pieno giorno: a quel punto gli abitanti chiedono consiglio alle autorità religiose, che propongono una soluzione:
- I teologi raccomandano al vescovo di far bruciare il corpo, ma questo metodo sembra al prelato “del tutto indesiderabile e sconveniente”. Preferisce scrivere di suo pugno un decreto di assoluzione per il morto. Aperta la tomba, il corpo è trovato incorrotto “precisamente com’era il giorno della sepoltura”, e da quel momento gli incidenti cessano completamente.
Molte altre di queste apparizioni si verificano un po’ in tutta l’Inghilterra e non risparmiano nessuno: basta semplicemente morire senza essere stati confessatti, come un altro eminente cittadino di Newburg che, caduto dal tetto della sua casa mentre cercava le prove del tradimento della moglie, continuerà a terrorizzare, dopo morto, i cittadini. Il suo corpo si dice sia stato ritrovato in parte gonfio e decomposto, con il viso florido. Quando questi viene colpito, ne fuoriesce una gran quantità di sangue caldo, a dimostrazione del fatto che tale essere si è nutrito da molte vittime. Il corpo viene quindi portato fuori dalle mura del paese per essere bruciato.
Serbia: villaggio di Medvedja
Dicono le cronache che nel 1731 il villaggio di Medveđa (Medvedja), in Serbia, venne attaccato dai vampiri, provocando la morte di parecchie persone. Venne inviato a compiere le indagini l’ufficiale medico Johannes Fluchinger, che redasse un dettagliato resoconto. Quelli che seguono sono dei semplici estratti, tratti dal servizio in terza di copertina del numero 6 diDampyr:
- Ho condotto l’indagine con la consulenza di altri due ufficiali medici, in presenza del capitano della locale compagnia di heiduk(fanteria serba) e degli hajduci più anziani del villaggio. I quali mi hanno riferito ciò che segue: cinque anni fa un heiduk locale, Arnold Paole, si ruppe il collo cadendo da un carro. Lo stesso Paole, in vita, aveva detto di essere stato morso da un vampiro, presso Gossowa nella Turchia serba. Per liberarsi dall’influsso maligno, aveva mangiato terra presa dalla tomba del presunto vampiro. Tuttavia, una ventina di giorni dopo la sua morte, alcune persone dissero che Paole era tornato a tormentarle e in effetti quattro di loro morirono. I paesani disseppellirono Paole quaranta giorni dopo la sepoltura e trovarono il suo corpo intatto. Sangue fresco era colato da occhi, naso, orecchie, bocca; camicia, sudario e bara erano pieni di sangue; le unghie delle mani e dei piedi erano riscresciute. Da ciò si dedusse che Arnold Paole era un vampiro e, secondo l’usanza, gli fu piantato un paletto nel cuore. In quello stesso istante. egli emise un forte gemito e un fiotto di sangue schizzò fuori dal suo corpo. Indi il cadavere fu arso e ridotto in cenere. Così si dispose anche dei quattro uccisi da Paole. (…)
- Quindici giorni fa una ragazza di nome Stanacka si svegliò a mezzanotte gridando di essere stata aggredita da un certo Milloe, che era stato sepolto nove settimane prima. (…)
Il 12 dicembre del 1731 gli abitanti di Medvedja si recarono al locale cimitero per riesumare le salme e distruggere tutti i presunti vampiri presenti. Con sommo orrore dell’ufficiale, si constatò che molti corpi erano in buono stato di conservazione:
- Le teste dei vampiri furono fatte tagliare a degli zingari di passaggio e poi bruciate con i corpi. Le ceneri furono gettate nel fiume Morava.
Questi brani, in realtà, sembrano tratti da un racconto del terrore, quando in realtà provengono da un resoconto di un ufficiale dell’Impero Austro-Ungarico. L’unica cosa che ci si può chiedere è quanto di vero abbia scritto Fluchinger e quanto di romanzesco, trascritto per coprire chissà quale losco traffico.
Congetture a parte, si può ben osservare come molte delle situazioni e delle atmosfere della letteratura vampirica non sono delle esclusive invenzioni degli autori, me spesso dei semplici adattamenti delle oscure atmosfere che si respiravano negli sperduti villaggi dell’Europa Orientale
Il folklore europeo
La leggenda del vampiro, ovvero di quell’essere tra il soprannaturale e l’abominevole che, tornato in qualche insano modo dalla morte, si nutre dell’essenza vitale dei vivi è molto diffusa tra le popolazioni del mondo. In questa sezione si andrà, pertanto, a fare una più o meno rapida carrellata tra i vari vampiri delle leggende mondiali.
In Grecia
Dopo essere stata, con Roma, la culla più importante del mito originario dei vampiri, nella Grecia moderna e in Macedonia le leggende vampiriche sono soprattutto di origine slava, come è di discendenza slava la maggior parte della popolazione greca. Il vampiro più diffuso è il vrykolaka, o brucolaca: è un non-morto che gira per i villaggi chiamando per nome le vittime designate o bussando alle porte delle case. Egli può entrare nelle abitazioni solo se invitato espressamente da chi vi si trova all’interno e solo in questo modo può fare vittime tra i vivi. Tra l’altro fino all’inizio del XX secolo erano ancora diffusi nell’isola di Andros le spedizioni anti-vampiri: sovente, infatti, i preti locali scoperchiavano le tombe dei sospetti vampiri e procedevano all’impalazione e alla decapitazione del cadavere.
In Germania
La Germania, terra gotica per eccellenza, presenta una folta varietà di vampiri e succhiasangue:
- l’alp: vampiro demone di genere incubus, entra in casa sotto le sembianze di una farfalla e si posa sul petto di chi dorme;
- il Blutsauger: varietà abbastanza normale di succhiasangue (che è poi il signoficato del nome), ma il suo corpo è interamente coperto di peli e non presenta alcun osso; le sue vittime diventano succhiasangue anch’esse quando mangiano la terra della sepoltura del Blutsauger loro cacciatore;
- la mara o mora, presente anche nei paesi slavi, è in realtà un piro spirito in grado di assumere varie forme, quindi, scelta la sua preda, la costringe a dormire per poi soffocarla nel sonno e succhiarle il sangue dal petto;
- infine il Nachzehrer, il masticatore di sudari, il più noto vampiro germanico. È un mostro abbastanza atipico, una sorta di ghoul(mangiatore di cadaveri) che spesso non abbandona nemmeno il cimitero nel quale è sepolto. Principalmente divora i cadaveri delle tombe vicine e a volte arriva anche a divorare i suoi stessi resti; oltre ciò ha anche una influenza sui vivi, che iniziano a perdere progressivamente energia fino a che, raccolta abbastanza essenza vitale, il Nachzehrernon esce dalla sua tomba per camminare nel mondo degli uomini, diffondendovi la peste. Questo mito ha attirato l’attenzione di un certo numero di studiosi. Uno dei primi fu Philip Rohr, teologo, che nel 1679 nel trattato De masticatione mortuorum seggeriva che dietro questa immonda attività si nascondesse l’attività blasfema di un demone, Azazel per la precisione. Successivamente fu Michael Ranfitus, nel 1725, ad occuparsi dell’argomento. Egli propone due teorie: prima una spiegazione razionale, suggerendo che i rumori tra le tombe e la diffusione della peste fossero da ascriversi alla febbrile attività dei ratti; quindi dava una supposizione un po’ più soprannaturale. Egli, infatti, suggeriva l’esistenza di una anima vegetativa, che aleggiava ancora intorno al morto, causando la crescita dei peli e delle unghie e a volte era in grado di danneggiare i vivi.
In Russia
Il vampiro russo per eccellenza è l’upyr: originario dell’Ucraina, ma diffuso in tutta la Russia europea, ha un aspetto particolarmente disgustoso, con lunghe zanne che ricordano quelle della preistorica tigre dai denti a sciabola, e anche più resistenti, se possibile. Usciti dalla tomba, iniziano ad attaccare le famiglie che vivono in fattorie isolate, una alla volta. La prima notte si nutrono dei bambini, quindi il resto della famiglia in ordine d’età fino ad arrivare ai componenti più anziani e allo sterminio della famiglia o degli abitanti dei dintori. Temuto soprattutto in inverno, quando l’isolamento delle comunità della steppa era ancor più accentuato, se possibile, era attivo soprattutto nelle ore che vanno da mezzogiorno a mezzanotte, sopportando benissimo la luce del Sole, proprio come la maggior parte dei vampiri della tradizione popolare (tra cui l’upier polacco, molto simile all’upyr russo per caratteristiche).
Ucciderlo non è cosa semplice. Il provetto cacciatore deve affrontarlo dopo la mezzanotte, quando si trova nel luogo del suo riposo, cospargere di acqua benedetta la tomba e i suoi dintorni, quindi piantargli un paletto nel cuore e decapitarlo, facendo attenzione a spaccargli il cuore in due con un solo colpo, perché un secondo gli consentirebbe di tornare in vita e attaccare, senza possibilità di salvezza, lo sventurato cacciatore.
L’upyr bielorusso, anche noto come upor, possiede anche il potere di mutare forma, tipico dei licantropi della tradizione greco-romana.
Infine il leggendario e romantico vurdalak, protagonista di molte fiabe nere, spesso rappresentato come una giovane affascinante ma letale.
Sulle rive del Baltico
Le popolazini che vivono sulle sponde del Mar Baltico hanno tra le loro figure leggendarie il wieszcz, una sorta di vampiro-strega: infatti si ritiene che streghe e stregoni, una volta morti, si tramutano in wieszczy (plur. di wieszcz). Sono riconoscibili per la faccia rossa e l’occhio sinistro spalancato.
Dapprima il wiescz si nutre del suo stesso corpo, quindi riacquistate magicamente le forze, l’essere mostruoso stermina dapprima il bestiame, quindi la propria famiglia e infine tutti gli abitanti della regione succhiando loro il sangue dal cuore. Per evitare queste stragi, i congiunti del sospetto vampiro seppelliscono il suo corpo con un mattone sotto il mento, in modo da tenergli bloccata la mascella.
Simile al wiescz è l’erestun o eretica: è una donna che ha venduto l’anima al diavolo e che torna dopo la morte sotto forma di vampira, dall’aspetto di una vecchia povera e male in arnese. Di origine russa, questo tipo di vampiri si riuniscono in luoghi isolati per celebrare i loro sabba e vanno in letargo durante l’inverno. Sono in grado di uccidere i vivi solo guardandoli in faccia con il loro occhio malvagio: la stessa sorte capita a chi, sventurato, finisce nel luogo dove stanno in letargo.
In ultimo l’ustrel bulgaro, sempre appartenente alla famiglia del wieszcz, è però inoffensivo per gli esseri umani. La sua unica preda, infatti, è il bestiame. Egli è, semplicemente, un neonato morto prima di ricevere il battesimo, e può essere facilmente allontanata utilizzando il fuoco. Una volta isolato nella steppa, egli è destinato a deperire e quindi finire preda dei lupi.
Restanndo in Bulgaria, ci si imbatte nell’ubour, originato dal cadavere di persone decedute di morte violenta. Il loro corpo, dopo il decesso, inizia a gonfiarsi in modo orribile, fino a diventare una orrenda massa informe e gelatinosa composta prevalentemente da sangue. Quaranta giorni dopo la sepoltura, lo scheletro inizia a riformarsi e quindi, intorno ad esso, si ricompongono le carni, che riprendono l’aspetto che il defunto aveva in vita. Ci sono solo alcune differenza: il naso con una sola narice e la letale lingua retrattile, sulla cui punta è posto un pungiglione acuminato che serve all’ubourper succhiare il sangue delle sue vittime.
Per uccidere gli ubour le popolazioni bulgare chiamano un uccisore professionista, il vampirdzhija. Dapprima riempie la bara dell’ubour con una certa quantità di varie erbe velenose attraverso un foro in cima alla tomba, quindi ne perfora il corpo con un ramo acuminato e raccoglie il gas che da questo fuoriesce in una bottiglia, per poi darvi fuoco. Questo perché si ritiene che tale miasma letale sia, in realtà, l’anima del vampiro.
Sui Balcani
L’uccisore di vampiri per eccellenza, però, è il dampyr. Nato dalla tradizione zingara (serba o bosniaca), il dampyr nasce dall’unione di una donna umana con un vampir maschio, l’unico vampiro della tradizione popolare a non essere sterile. Il vampir è anche un vampiro invisibile e l’unico che può vederlo, attraverso una particolare vista interiore, è proprio il dampyr, che quindi era frequentemente impegnato in battaglie corpo a corpo contro nemici invisibili all’occhio umano. Altro suo avversario è il lampir, vampiro bosniaco portatore di pestilenze, e sconfitto dal dampyr attravesro complicati riti sciamanici.
A conferma, poi, della vicinanza delle due figure del vampiro e del lupo mannaro, ci sono poi una serie di vampiri come il serbo vukodlak, lo slovenovolkodlak, il farkaskoldoi d’Ungheria, il kozlak della Dalmazia e il kudlakistriano.
Tra tutti questi, spicca però il kudlak, una particolare specie di vampiro-strega dotato di poteri magici tra cui il dono di mutare forma e assumere il sembiante di un animale, con la limitazione, però, di avere sempre e comunque il manto nero, simbolo del Male assoluto e delle forze delle Tenebre cui appartiene. Suo naturale avversario è il kresnik, rappresentante del Bene e delle forze della Luce: anch’esso ha il potere di tramutarsi in animale, ma dal manto di colore bianco.
In Ungheria, poi, i vampir o liderc nadaly hanno nel talbó il loro implacabile cacciatore, che per ucciderli pianta loro un chiodo nella tempia.
Altro vampiro cambiaforma è il mullo della tradizione zingara. Dall’aspetto umano, a parte qualche impercettibile deformità, non ha scheletro: questa caratteristica gli consente di cambiare facilmente forma, anche se il suo aspetto prediletto è quello di un grosso lupo nero. È comunque un vampiro molto particolare: sia il maschio che la femmina del mullo è spinto da un forte desiderio sessuale, accoppiandosi frequentemente con i vivi e portando il proprio partner a morte per sfinimento. La donna che sopravvive ad un taletour de force, dà alla luce anch’essa un dampyr, unico in grado di uccidere ilmullo, che comunque è destinato a vita breve. Infatti, a causa del terribile stress cui sottopone il suo corpo privo di ossa, egli è destinato, nell’arco di un anno, a scigliersi in una melma ripugnante.
Romania: terra di vampiri
Pur se la Romania è diventata, nell’immaginario popolare, la terra dei vampiri per eccellenza proprio grazie al romanzo di Stoker, in effetti essa conta, al pari di molti altri paesi europei, un buon numero di vampiri e leggende vampiriche.
Il viaggio tra i vampiri rumeni inizia con i moroii, vampiri viventi come le strieitaliane: in realtà streghe e stregoni che sottraggono il sangue agli altri esseri viventi attraverso particolari rituali magici. Dopo la morte, essi diventanostrigoii: hanno capelli rosso sangue, occhi blu pallido e ben due cuori nel petto, rendendo così difficile la tradizionale uccisione per mezzo del paletto conficcato.
I murony, poi, sono una variazione sul tema degli strigoii tipica della Valacchia: sono dei cambiaforma, che possono tramutarsi in gatti neri o enormi ragni velenosi. Sempre in Valacchia ci si può imbattere nei priculic, che di notte assumono il sembiante di enormi e minacciosi cani neri, mentre di giorno si nascondono dietro le forme di forti e affascinanti giovani.
Come i priculic, anche i varcolaci hanno la possibilità di assumere forma umana. Questa figura molto antica del folclore rumeno, la più antica a dire il vero, ha però un aspetto molto più magro e spettrale, con la pelle secca e raggrinzita; inoltre le loro mutazioni sanno essere ben più orribili e spaventose (ad esempio sono in grado di tramutarsi in mostri dalle molte bocche, o in draghi minacciosi). Sono anche molto radicati nei miti locali: le eclissi, infatti, si ritiene siano provocate dai varcolaci, che, sonnambuli, si arrampicano sui raggi delle stelle e li divorano, placando la loro insaziabile fame.
Il più celebre vampiro rumeno è, però, il nosferatu, o nosferat: immortalato nel film di Friedrich Murnau (che però era una versione del romanzo di Stoker), è un non-morto di genere incubus: tormenta il sonno dei viventi e può anche ingravidare una donna e il frutto di tale concepimento è un moroii. In Moldavia e in Transilvania, poi, ci sono gli zmeu, anch’essi incubus, che seducono le donne entrando dalle finestre in forma di fiamma. Per sedurre gli uomini, invece, prendono l’aspetto di belle ragazze: in questo caso, però, è semplice smarscherarle, poiché al posto della schiena c’è il nulla. A differenza delle femmine zmeu, le casilde sono perfettamente integre e altrettanto belle: popolano i Carpazi e i Balcani e pur non essendo volutamente letali, possono uccidere per il troppo amore, spingendo l’incauto ciaggiatore cui si sono legate al suicido o alla morte a causa di questo amore impossibile.
Vampiri d’Oriente
Come detto è l’Europa Orientale ad aver influenzato buona parte dei miti vampirici attuali, ma anche l’Asia e le terre denominate con l’evocativo Orientehanno avuto un peso fondamentale nella definizione dei miti e delle leggende vampiriche (e non solo) di moda nel mondo moderno, soprattutto per gli aspetti mostruosi e orripilanti, caratteri distintivi dei vampiri d’Oriente.
In Cina
Una delle credenze cinesi più diffuse riguarda la molteplicità dell’anima, si ritiene, infatti, come già nell’Antico Egitto, che ogni essere umano possegga più anime, ognuna delle quali con un differente destino. Una di queste si pensa resti nel cadavere: è il p’o, il livello più basso: se il corpo ospite non viene distrutto completamente e viene anzi a trovarsi esposto ai raggi della Luna, o se entra a contatto con il sangue di un qualche animale, l’essenza vitale del p’o si fortifica, dando origine al chiang-shi. Esso è uno spirito in grado di rianimare cadaveri o di costruirsi egli stesso un corpo partendo da materia putrescente e in decomposizione: ha gli occhi rossi, artigli affilati, una folta peluria e il colorito verdastro tipico dei cadaveri. Può volare, tramutarsi in nebbia, rendersi completamente invisibile. Per distruggerlo bisogna trovare il luogo del suo riposo diurno e dare fuoco al corpo marcescente.
Affiancato al chiang-shi c’è il kuei: questa razza di demoni viene generata dalle anime di coloro che in vita sono stati malvagi. Hanno la particolarità di muoversi sempre in linea retta, ma subitaneamente si voltano indietro non appena incontrano un ostacolo, anche semplice come un paravento di bambù.
Parte di questi miti ci sono giunti anche grazie al gran lavoro di ricerca di Jan Jacob Maria de Groot, trascritto nell’opera The Relìgious System of China: in questa sede, ad esempio, egli traduce il nome del chiang-shi letteralmente come corpo-spettro, riassumendo già nel nome l’essenza di questo mito.
In Tibet, infine, i vampiri sono rappresentati come terribili creature dagli occhi iniettati di sangue e con la bocca verde, divoratori di morti e padroni dei cimiteri.
In Malesia
La Malesia, patria della Tigre di Mompracem e luogo ospite di molti dei capolavori di Emilio Salgari, presenta anche un ricco folclore vampirico.
Si inizia la breve carrellata con le langsuir, donne morte di parto, che divenute vampiri acquistano il sembiante di bellissime e letali fanciulle, in grado di volare, con unghie lunghissime e capelli ancora più lunghi. Esse succhiano il sangue dei bambini grazie ad una fessura che hanno alla base del collo. Per sconfiggerle bisogna tagliar loro le unghie e coprire la fessura succhia-sangue con i loro stessi capelli. Infine, per impedire ad una donna morta di parto di diventarelangsuir, le si riempie la bocca con pezzetti di vetro e le si trafiggono con gli aghi le palme delle mani. Lo stesso trattamento avviene al figlio nato morto, onde evitare che esso stesso si tramuti in vampiro, il pontianak, omati-anak.
Letali sono anche i pennangalan, delle teste volanti con al collo una collana fatta da intestini animali dai quali gronda sangue mortale: per difendersi dai loro attacchi, gli abitanti dei villaggi pongono sulle loro case i rami di una pianta spinosa per far sì che i letali intestini vi restino impigliati.
Di natura sciamanica (molto simile alle bambole voodoo) sono i polong, che vanno creati in coppia con i pelesit. Entrambi sono delle piccole creature, non più grandi della punta del mignolo, il cui compito è quelli di uccidere il proprio nemico. Prima interviene il pelesit, che pratica nel corpo della vittima, con la sua coda a succhiello, il buco nel quale andrà a sistemarsi il polong. A questo punto il polong inizia il suo lavoro di succhiare il sangue del corpo ospite. Esso viene creato con un complesso rito sciamanico: viene versato il sangue di una persona assassinata all’interno di un’ampolla dal collo stretto e lungo, quindi si recitano alcune invocazioni. Dopo alcuni giorni, quando dall’ampolla si ode uno strano cinguettare, allora vuol dire che il polong è pronto e bisogna subito dargli del sangue affinché possa crescere sano e forte per la sua missione: generalmente la prima razione gli viene data dallo stregone stesso attraverso un dito della sua mano.
In India
Molte teorie vorrebbero l’Egitto come culla della civiltà. Molte altre invece propendono per una nascita asiatica della cultura odierna. In questo caso una delle culle possibili è l’India, che ha certamente una mitologia molto antica e, nel caso dei vampiri, probabilmente la più antica. Molti studiosi, infatti, ritengono che i miti indiani siano quelli originali non solo per quel che riguarda le superstizioni e i credi religiosi, ma anche per il caso specifico del vampiro.
Queste prime figure sono molto simili a demoni, spesso così temuti da dedicare loro la costruzione di templi votivi nei quali offrire loro in sacrificio degli animali per placare la loro fame ed evitare che si accaniscano sui villaggi. È il caso delbhuta, il più noto demone-vampiro indiano, un essere notturno che di giorno ha la possibilità di riposarsi sulle culle appese al soffitto che trova nei templi e nelle cappelle a lui dedicate.
Il più temibile ed antico vampiro indiano è però il rakshasa, le cui prime tracce si possono trovare negli antichi Rig Veda, secondo i quali l’uomo stesso è nato dal sangue di un essere o divinità primigenia denominato Parusa, simile al gigante celtico Ymir, che ha invece dato origine al mare. Il rakshasa è, dunque, un mutaforma, in grado di diventare lupo o anche bellissima donna, ma la cui forma originaria è quella di una pallida creature luminosa con un alone azzurro intorno alla gola ed una cintura di campanelle alla vita, con il corpo perennemente macchiato di sangue. Volano e di notte si rifugiano sugli alberi: in vita erano uomini che sono diventati demoni poiché si sono nutriti del cervello dei loro simili.
Ad essi si aggiungono i baital, o vetala, che riposano appesi agli alberi a testa in giù, sono in grado di animare i cadaveri e camminano tra gli uomini in cerca di prede sotto le spoglie di pellegrini o donne anziane. Considerano se stessi come i re dei vampiri indiani e per questo spesso si presentano con vesti sgargianti ed impugnano una spada scintillante.
Insieme a queste figure, i testi vedici citano anche il divoratore di carne cruda, il kravyad, noto anche come yaksha. Temuto per la rapidità delle sue sortite, questo vampiro, oggi noto come pisacha, ha assunto anche alcune connotazioni benevole: simile ad una divinità capricciosa, esso può concedere favori a chi gli fa offerte di suo gradimento. Quando infatti una persona soffre di un male incurabile, ogni notte si reca ad un crocicchio con offerte di cibo nella speranza che compia il pisacha e gli conceda una facile guarigione. Se, però, le offerte non sono di suo gradimento, egli si ciberà direttamente dal corpo del questuante. (Questa figura leggendaria ricorda la leggenda voodoo di Papa Legba, signore dei crocicchi, anch’esso capriccioso demone che concede i suoi favori o la morte a chi ne richiede i servigi – controllare)
Infine resta da citare la jigarkhwar, vampiro-strega della regione del Sind, che con le sue arti magiche può arrecare danno agli esseri umani. Per neutralizzarla, bisogna marchiarle a fuoco le tempie, riempirle la bocca di sale e tenerla a testa in giù per quaranta giorni.
Buona parte di queste leggende sono giunte a noi anche grazie all’opera dello scrittore ed esploratore Richard Francis Burton, riunite nella raccolta Vrikam the Vampire.
Non dimentichiamo, poi, che l’India è la terra dei tugs e della dea Kalì, la sanguinaria divinità quadrumana che porta in sé tracce di vampirismo e cannibalismo.
Il mondo arabo
Anche il mondo arabo, considerato il principale punto di transito e scambio tra i miti d’Occidente e quelli d’Oriente, presenta la sua mitologia vampirica. NeLe mille e una notte, infatti, non sono rari i racconti in cui mostri, demoni e altre terribili creature infestano i cimiteri e presidiano le strade deserte, assaltando i viandanti solitari per berne il sangue.
E soprattutto in Turchia, ma anche in Persia e in Arabia era molto diffusa la paura della gula, un vero e proprio ghoul, piuttosto che un vampiro. È infatti una demone in grado di volare e che predilige i cimiteri come luogo d’azione: spirito puro, piuttosto che succhiare il sangue delle sue vittime, preferivaspogliarle della loro vita. Questo perché in questi paesi il principio vitale non era tanto il sangue (infatti le popolazioni arabe sono solite dissanguare la carne prima di consumarla), quanto quel qualcosa che si potrebbe identificare comeanima.
Di voodoo e altre storie
L’Africa, il continente a tutt’oggi più primitivo in assoluto, se si escludono alcune tribù nel cuore dell’Australia, terra di origine dei riti voodoo e di alcune delle leggende più terribili a noi note, lega in maniera stretta il mito del vampiro con i riti sciamanici e stregoneschi: spesso, infatti, gli sciamani africani sono soliti praticare la necrofagia, il cannibalismo e il vampirismo, in un certo senso tutte variazioni dello stesso mito. In queste zone, solitamente, ci si riferisce aivampiri come ai loro familiari, ovvero quelle creature demoniache che servono gli stregoni e sono i messaggeri che li tengono in contatto con le forze del male. Spesso sono animali, come i gatti o i corvi nella tradizione medievale, o serpenti e granchi giganteschi, in quella africana, come ad esempio lo nkala. Ci sono poi lo nyalumaya, una scultura in legno magicamente animata, e ilkhidudwane, un cadavere ambulante agli ordini della strega che gli ha concesso quella simil-vita.
Le stesse streghe, poi, con particolari incantesimi, sono in grado di lanciare in aria il loro corpo astrale e rubare, durante la notte, l’essenza vitale a vittime ignare: a volte si siedono sul tetto della sua capanna per succhiarne via il cuore. Tra queste streghe particolari c’è la obayifo, considerato il più pericoloso di tutti, che succhia il sangue dei bambini e percorre enormi distanze distruggendo i raccolti incontrati nel suo casuale peregrinare.
Le congreghe di streghe sono solite riunirsi in particolari cerimonie (note nella tradizione europea come sabba) durante le quali, a turno, bevono il sangue da una grande coppa, la baisea, per aumentare il loro potere attravreso quello racchiuso nel liquido rosso. Gli stregoni della Guinea, poi, sono in grado di risvegliare i morti, facendoli diventare loro schiavi: detti isithfuntela, sono molto simili agli zombi degli stregoni haitiani e sono in grado di ipnotizzare le loro vittime con il semplice sguardo. Per evitare problemi con il libero artbitrio, gli stregoni piantano nel cervello dei loro schiavi dei chiodi appuntiti. Sempre nel tema degli zombi, si devono citare i mutala, che altro non sono se non la parte malvagia dell’anima dei morti che non riesce a trovare pace. Vagano nel regno dei vivi trascinandosi al suo con la forza delle sole braccia, avendo la forma di un cadavere putrefatto senza gambe. Durante la notte si impossessano dell’essenza vitale delle loro vittime strappandogli i capelli. A volte capita poi che qualcuno non riesca proprio a morire e che, nonostante la sepoltura, egli si rialzi e inizi a girare per le capanne del villaggio. Noto come wusangu, egli è un immortale che non riesce a trovare pace, senza però mai nuocere a nessuno, salvo che per i suoi lamenti e la sua cronica amnesia. Ben più pericoloso è invece il loango, spirito irrequieto di uno stregone defunto, che si aggira senza posa per le foreste alla ricerca di sangue da succhiare da vittime umane o animali, senza troppe distinzioni.
Un altro familiare interessante, addirittura più potente della strega che lo dovrebbe controllare è l’impundulu, che vive nella regione del Capo. Si presenta alla strega sotto le sembianze di un giovane avvenente, per divenirne l’amante: in realtà egli è un vampiro assetato di sangue, che costringe la strega ad inviarlo durante la notte ad uccidere per evitare di essere uccisa a sua volta. Se uccide di sua iniziativa, questa creatura viene detta ishologu. Sui pari sono gli asanbosam del Ghana: di aspetto umanoide, vivono nelle parti più profonde delle foreste e sono dotati di denti durissimi e uncini agli arti inferiori, che utilizzano per ghermire i viandanti e portarli nei loro rifugi in cima agli alberi, dove poi verranno divorati con comodo.
Infine, presso i Bantu, gli Obang e i Keaka si è trovato un rimedio contro questi terribili mali: infatti questi popoli esumano i corpi di coloro che sono stati sospettatti di aver praticato in vita la stregoneria per sventrarli in pubblico; dalle sue viscere o uscirà il suo familiare, sotto forma di uccello nero, ratto o pipistrello, che si cercherà subito di eliminare, o verrà trovata una escrescenza maligna, detta ko’du. Il corpo del vampiro, invece, veniva bruciato in una notte senza luna o inchiodato al suolo.
I nuovi mondi
Anche i continenti che per gli europei sono di recente scoperta, America ed Oceania, hanno le loro antiche tradizioni, per lo più tramandateci dalle leggende e dalle mitologie delle tribù pre-esistenti alle colonizzazioni europee.
Ad esempio tra i nativi del Nord America, presso cui era molto diffusa la figura del vampiro, era diffusa la leggenda del wendigo, che come altri mostri e demoni simili era ritenuto un divoratore di corpi, cervelli e anime di esseri umani: caratteristiche, queste, molto tipiche dei vampiri dei miti dei Nativi americani, che spesso figuravano questi mostri con un lungo naso che, introdotto nell’orecchio del malcapitato, serviva per succhiarne via il cervello. Scendendo più giù si arriva in Messico, dove la mitologia vampirica ha prodotto la llorona (donna piangente), ritenuta da alcuni studiosi un mito di importazione europea, mentre da altri come derivata da una terribile demonessa vampira temuta dagli antichi aztechi: essa è una donna fantasma di bianco vestita che è in grado di affascinare un uomo con lo sguardo e portarlo così alla morte.
Sempre in Messico ci sono i tlaciques, che si trasformano in palle di fuoco o in tacchini selvatici, e le civitateo, streghe-vampiro, di sicura origine asteca, vestite di stracci, vecchie e scheletriche, che assalgono i bambini agli incroci.
In Cile si teme un vampiro dalle sembianze di una bella donna vestita di nero, che ha in una mano una sciarpa rossa e nell’altra un coltello, che utilizza per pugnalare il cuore delle vittime e da qui berne il sangue. A questo vampiro si affiancano il pihuchen, un serpente alato in grado di succhiare il sangue a distanza, e il chucho, una testa umana con grandi orecchie che gli servono da ali.
In Australia ci si imbatte, poi, nei mrart, vampiri che infestano i deserti, mentre in Nuova Guinea i Papua ritengono estremamente pericoloso perdere anche solo una goccia di sangue, perché essa è già più che sufficiente per consentire ad uno stregone di controllare magicamente il possessore di quel sangue e portarlo anche alla morte. Infine, per impedire il ritorno dei morti dalla tomba, queste popolazioni sono solite spezzare le gambe ai cadaveri o porre sul loro corpo delle pesanti pietre.
I vampiri letterari
Il vampiro, quella figura nobile ed affascinante, tormentata e spietata al tempo stesso, che oggi conosciamo, in realtà è un’invenzione letteraria, una reinterpretazione del mito poc’anzi sviscerato. La sua nascita è anche facilmente databile, e riconduce al Gennaio del 1816 quando, sul lago di Ginevra un gruppo di giovani si riunì per passare un po’ di tempo tra amici, in maniera diversa dalla solita routine. Il gruppo, ormai noto, era composto da Lord Byron, il già famoso poeta, Percy Bysshe Shelley, anch’egli poeta, il dottor John Polidori, medico personale di Byron, e le amanti dei due poeti, Claire Clairmont e Mary Wollstonecraft. Il gruppo, ispirato, a quanto si dice, dalla lettura del Phantasmagoria, una raccolta di racconti fantastici trovata nella biblioteca di Villa Diodati, dove si erano riuniti, e dalla visita di Matthew Gregory Lewis, autore del celebre romanzo gotico Il monaco, decide di sfidarsi nella realizzazione di un’opera del terrore, sia essa un racconto, un romanzo o una poesia.
Esiste, però, anche una versione leggendaria che si aggiunge a questi fatti: il gruppo, infatti, decide prima di discutere di resurrezione, morti e vampiri e, inevitabilmente, si finisce con il leggere il poema di tema vampirico Christabeldi Coleridge. Durante la lettura, Shelley sembra che cada in trance, sognando, ad occhi aperti, una terribile vampira, una lamia simile alla Christabel del poema, scuotendosi dalla visione lanciando un urlo agghiacciante. Questo episodio diede a Byron l’idea di lanciare la gara, dalla quale, come ormai è chiaro a tutti, uscirono due vincitori: Polidori e la Wollstonecraft.
Mentre Shelley provò a trascrivere il suo incubo (cosa che, poi, lasciò perdere), Mary partorì, in una notte buia e tempestosa, il famosissimoFrankestein, molto probabilmente ispirata dal discorso condotto con Polidori. Il buon dottore, dal canto suo, come Byron, del resto, si dedicò ai vampiri. In realtà Polidori dapprima si era gettato su un racconto gotico la cui prima bozza avrebbe successivamente utilizzato per un futuro racconto, Emestus Berchtold o il moderno Edipo. Si imbatté, però, nella bozza di Byron, che aveva provato ad impostare un racconto su un vampiro aristocratico, dissoluto e dongiovanni, che aveva iniziato a tormentare, dopo morto, un suo giovane amico. Mentre il poeta lasciò perdere questo racconto, Polidori riuscì a ricavarne il primo vero romanzo sui vampiri, il famoso Il vampiro, il cui protagonista, Lord Ruthven, era ricalcato su Byron stesso, mentre il rapporto con il suo giovane amico ricalcava il rapporto di odio-amore, che Polidori aveva con il suo paziente-amico.
Il vampiro nei fumetti
Oltre alla letteratura, anche il mondo del fumetto e dell’animazione si è interessato al mito del vampiro. Sicuramente è il Dracula di Stoker a farla da padrone nella gran mole di prodotti che possono essere citati, inizando sicuramente dalla personale interpretazione che ne fa l’artista italiano Guido Crepax in Conte Dracula (ed.Rizzoli – Milano Libri). L’editore che però per più a lungo ne ha pubblicato le avventure è la Marvel Comics, le cui versioni sono state portate in Italia prima dall’Editoriale Corno di Luciano Secchi prima con Gli albi dei supereroi, quindi con Dracula – Superfumetti in film, quindi tocca alla Star Comics con La tomba di Dracula, che propone le avventure edite su The Tomb of Dracula, e successivamente proponendo la riduzione del film di Coppola, Dracula di Bram Stoker.
La Marvel, però, non ha solo presentato le avventure di Dracula, ma nel suo universo esiste anche un atipico vampiro: Morbius, che ha anche avuto una collana tutta sua, pubblicata in Italia dalla Comic Art. Morbius, il dr.Michael Morbius, in realtà è un vampiro vivente: egli, infatti, per curare una rara malattia del sangue di cui era affetto, assume il sangue chimicamente trattato di pipistrelli vampiri. Altro vampiro atipico di casa Marvel è, infine, Blade, protagonista dell’omonimo film: il ragazzo, infatti, non è un vero e proprio vampiro, né può essere considerato un dampyr, ma è il figlio di una donna morsa da un vampiro mentre era incinta proprio di lui. Saputo delle sue origini, Blade decise di combattere e uccidere la razza dei vampiri per vendicare la morte della madre.
In casa DC Comics la serie più importante sui vampiri è stata Crimson di Humberto Ramos, edita per l’etichetta Cliffangher!, in cui viene raccontata la sfida di un vampiro predestinato a salvare il mondo dal giorno del giudizio e ostacolato da tutta una lunga serie di nemici, primi fra tutti i draghi e i licantropi.
Per concludere la carrellata tra gli editori statunitensi non resta che passare per gli indipendenti: si inizia con la Dark Horse che ha presentato, con la traduzione della Phoenix di Daniele Brolli, il volume La maledizione di Dracula, senza dimenticare lo Spawn di Todd McFarlane che spesso ha avuto a che fare con vampiri e licantropi. Citazione finale per la Chaos Comics di Brian Pulido, con la sua vasta gamma di fumetti horror: punta di diamante Lady Death.
Vampirella e le altre
E proprio Lady Death consente di introdurre un filone interessante nel fumetto vampirico che vede l’Italia primeggiare: come ben si può intuire, sin dai suoi esordi il vampiro letterario ha trasportato con sé una latente carica erotica che, prima o poi, sarebbe divenuta evidente. Sia il cinema, sia il fumetto si accorsero di questo aspetto scabroso e reagirono prontamente proponendo prodotti specifici in cui il vero protagonista è una vampira, che fa con i maschi viventi tutto quello che vuole. L’esponente più noto di questo genere è Vampirella, ideata nel 1969 da Forrest Ackerman e proposto dalla Warren Pubblications e, in anni recenti, dalla Harris Comics. Proveniente da un altro pianeta, è costretta, per sopravvivere, a nutrirsi del sangue umano e inizia a girare nelle notti terrestri con un costume rosso ridotto al minimo.
L’Italia, come detto, non poteva restare a guardare: nello stesso anno dell’esordio di Vampirella, faceva il suo esordio nelle edicole del bel paeseJacula, ispirata nelle sembianze alla bella Patty Pravo, i cui fumetti vennero pubblicati dalla Ediperiodici, poi Edifumetto, casa editrice molto attiva in questo filone con collane come Il Vampiro, I Notturni, I Sanguinari. Gli anni Settanta portano il personaggio di culto Zora la vampira (che prende le sembianze di Catherine Deneuve, futura vampira nel film Miriam si sveglia a Mezzanotte), alla quale viene dedicato un omonimo film girato dai Manetti Bros., e quindi Sukia, ispirata alla bella Ornella Muti, che presenta esplicitamente gli organi di riproduzione umani (maschili in particolare).
Di passaggio verso gli anni Ottanta è un altro fumetto del genere, Necron di Magnus, con protagonisti Frieda Boher, biologa tedesca e necrofila, eNecron, il suo mostro superdotato personale, che pur se reinterpreta il mito del mostro di Frankestein, è probabilmente uno degli utlimi fumetti del genere: infatti l’ultima serie da citare è stata la meno fortunata di tutte (già Necron fu chiusa molto presto, ma solo perché, più che un fumetto porno, era una serie comica, e quindi poco seguita dai lettori del genere) è Yra, che in una serie dai toni fantasy, presenta una fanciulla che diventa vampira ad opera di una strega.
Il nuovo che avanza
Come detto l’accoppiata erotismo-vampiri ha ceduto il passo, anche al successivo tentativo di rilancio da parte della Harris Comics. Negli stessi Stati Uniti la situazione è abbastanza dinamica. L’editore che più spesso propone i vampiri negli albi a fumetti è la DC Comics con la sua etichetta, la Vertigo Comics, oggi edita in toto dalla Magic Press. Sia in passato con la serie Swamp Thing, ai tempi del grande Alan Moore, sia con il Preacher di Ennis e Dillon che presentarono uno dei vampiri più crudeli e decadenti (anche nell’aspetto) degli ultimi anni: Cassidy.
L’Italia ha, per contro, presentato i vampiri soprattutto nelle serie edite dalla Bonelli: si parte dal classico Dylan Dog, che a più riprese ha incrociato la strada con i vampiri, per passare per Martin Mystere, Nathan Never, Legs Weaver, Zagor, fino ad arrivare ai recenti Gregory Hunter, contro un falso vampiro, e soprattutto Dampyr, una delle serie che più si è ispirata alla tradizione popolare vampirica, mescolandola abilmente con la letteratura del terrore più classica e famosa. In ultimo restano da citare i Cinque allegri ragazzi morti, fumetto horror di Davide Toffolo, edito dalla Panini Comics, e, sempre dello stesso editore, i due volumi di Rigel (Elena de’ Grimani e Fabrizio Palmieri), serie espressamente dedicata ai vampiri.
Ultima citazione ai vampiri Disney: gli evroniani, che hanno sfidato Paperinik sulle pagine di PKNA e sfidano ora Pikappa sulle pagine di PK – Pikappa.
Leave a Comment