Scoperti due pianeti gemelli della Terra, possibile la presenza d’acqua

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La sonda Kepler della NASA ha individuato cinque pianeti di dimensioni simili a quelle terrestri intorno alla stella Kepler-62: i due più esterni sono compresi nella “zona abitabile” e potrebbero avere un’atmosfera e acqua liquida, quindi essere potenzialmente in grado di ospitare forme di vita. Le simulazioni al computer della densità indicano inoltre che si tratterebbe di super-Terre con una composizione prevalentemente rocciosa, oppure di pianeti con una notevole percentuale di acqua allo stato solido al loro interno.

Tutti e cinque sono pianeti di dimensioni simili a quelle terrestri, ma solo due, i più lontani dalla stella, si trovano nella “zona abitabile”, dove le condizioni di temperatura sono tali da permettere l’esistenza di acqua allo stato liquido: stiamo parlando dei nuovi esopianeti scoperti dalla sonda Kepler della NASA e descritti sulle pagine della rivista “Science”.

William Borucki, dell’Ames Research Center della NASA a Moffett Field, in California, e i colleghi di un’ampia collaborazione internazionale hanno analizzato i dati riguardanti Kepler-62, una delle 170.000 stelle osservate finora dalla sonda Kepler in quasi tre anni di operatività. I ricercatori hanno usato un sofisticato metodo statistico, denominato BLENDER, per confrontare i segnali dei cinque “candidati” pianeti in orbita con altre possibili fonti di “falsi positivi”, cioè di oggetti che potrebbero essere scambiati erroneamente per sistemi planetari.

Le analisi mostrano che i due pianeti più esterni, cioè Kepler-62e e Kepler-62f sono due “super-Terre”, cioè hanno raggi, rispettivamente, di 1,61 e 1,41 volte il raggio della Terra e sono in orbita entro la zona abitabile di Kepler-62. I due pianeti, inoltre, ricevono rispettivamente 1,2 e 0,41 volte la quantità di radiazione che riceve la Terra, il che li rende potenzialmente in grado di avere un’atmosfera e acqua liquida sulla loro superficie.

Collocata in orbita eliocentrica con un lancio da Cape Canaveral nel marzo del 2009, la Kepler è stata progettata espressamente per l’osservazione di sistemi planetari lontani, di cui ormai sono state scoperte alcune centinaia. Dato che non emettono luce propria, solo una piccola percentuale di pianeti fuori dal sistema solare è stata individuata mediante un’osservazione diretta.

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In genere, le ricerche vengono effettuate utilizzando il metodo della velocità radiale e quello del transito.

In alcuni casi, infatti, puntando il telescopio verso una stella si può osservare che la sua radiazione subisce un lieve effetto doppler, cioè uno spostamento verso il rosso (redshift) o verso il blu (blushift), alternativamente. Questo è un indice della possibile presenza di uno o più pianeti in orbita, e della rotazione della stella intorno al centro di massa del sistema. Il secondo metodo si basa sulla misurazione della diminuzione dell’intensità della luce di una stella causato dal parziale occultamento dovuto al passaggio di un pianeta la cui orbita interseca la direzione di osservazione.

Questi metodi funzionano egregiamente con pianeti molto massicci e di grandi dimensioni, come Giove o Nettuno: gli esopianeti di questo tipo già catalogati si contano a centinaia. Uno degli obiettivi principali degli astronomi e dei planetologi però è sempre stato quello di individuare pianeti simili alla Terra per dimensioni, composizione e condizioni presenti sulla superficie, in grado eventualmente di ospitare qualche forma di vita.



Purtroppo, la ricerca di pianeti con dimensioni paragonabili a quelle terrestri, o di quelli con dimensioni di poco superiori (battezzati “super-Terre”), è resa molto ardua dal fatto che la loro massa è così piccola da rendere l’effetto del transito non rilevabile o confuso in mezzo a un “rumore di fondo” di altri segnali.

Le stesse analisi statistiche, infine, hanno permesso di fare alcune congetture anche sulla composizione di Kepler-62e e Kepler-62f, utilizzando come parametri i dati riguardanti altri esopianeti di raggio simile. Tenuto conto anche dell’età stellare, pari a circa 7 miliardi di anni, Borucki e colleghi ipotizzano che si tratti di super-Terre con una composizione prevalentemente rocciosa, oppure di pianeti con una forte componente di acqua solida al loro interno.

 

Fonte – Le Scienze, 18 aprile 2013

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