Cervello e coma: il 40% dei pazienti in stato vegetativo sarebbe cosciente
Commento di Enrico Baccarini© – Ripropongo due articoli del 2006 e del 2009, la cui portata e i cui contenuti riteniamo abbiano costituito un punto di svolta nella ricerca sugli stati di coma. Le implicazioni di queste scoperte sembrano aprire nuove speranze verso la comprensione di questa realtà tanto dolorosa quanto ancora sconosciuta. Se negli ultimi anni nuove ricerche hanno cercato di svelare possibili processi capaci di attivare meccanismi psichici e fisiologici in grando di risvegliare i soggetti vittime di questo stato di animazione sospesa, parallelamente gli studi che Vi riproponiamo costituiscono una speranza per tutti coloro che vivono questa drammatica realtà, una sospensione della vita e dalla vita stessa.
Da pochi anni esiste anche la figura dello Psicologo del Coma, purtroppo ancora scarsamente valorizzata in Italia ma il cui scopo principale è quello di valutare e studiare le migliori strategie di recupero riabilitativo delle funzioni cerebrali danneggiate nel soggetto risvegliato come anche offrire un aiuto a coloro che parallelamente vivono questo esperienze come familiari, amici o parenti.
Il percorso da compiere è ancora lungo, ma piccoli passi sembrano oggi aprire grandi possibilità per poter ridonare il sorriso e la vita a chi è caduto dentro questo oscuro baratro.
——
Più del 40% delle persone con diagnosi di “stato vegetativo” sarebbe in realtà “minimamente cosciente”. Lo riporta oggi il New Scientist in un articolo dedicato ai nuovi metodi di valutazione dello stato di coscienza nei pazienti in coma (Biever C, Doctors missing consciousness in vegetative patients, New Sci, 21 July 2009).
“Se c’è una cosa peggiore del coma, è quando gli altri pensano tu sia in coma ma non è vero”, scrive Celeste Biever sul New Scientist. E in questa terrificante condizione non si troverebbero soltanto alcuni casi isolati sporadici, bensì più di 4 persone ogni 10 che vengono correntemente dichiarate in “stato vegetativo”.
“E’ un problema di diagnosi sbagliata – spiega la Biever – che ha importanti ripercussioni sulle decisioni in merito non solo alla vita o alla morte del paziente, ma anche al tipo di trattamento a cui può venire o meno sottoposto, precludendo in alcuni casi le stesse probabilità di recupero”.
Nello “stato vegetativo” (SV) i riflessi sono intatti e il paziente può respirare senza ausilio, ma è privo di consapevolezza. Lo “stato di minima coscienza” (SMC) è una sorta di linea di confine, solo di recente preso in considerazione nelle diagnosi, in cui le persone possono in qualche modo percepire dolore fisico, esperire emozioni, addirittura comunicare. Nell’SMC la coscienza sarebbe però fluttuante, intermittente e incompleta, tanto da rendere difficile la decisione diagnostica fra stato vegetativo e stato di minima coscienza.
I primi criteri diagnostici dell’SMC sono stati pubblicati nel 2002 da Joseph Giacino del JFK Rehabilitation Institute in New Jersey (Giacino et al., The minimally conscious state: Definition and diagnostic criteria, Neurology 2002).
Sempre Giacino e colleghi nel 2004 hanno pubblicato la Revised Coma Recovery Scale (CRS-R), una serie di test comportamentali basati sui criteri che possono essere usati per distinguere fra SV e SMC.
Per verificare se la CRS-R può migliorare la diagnosi di questi pazienti borderline, Giacino e i colleghi del Coma Science Group dell’Università di Liegi, hanno condotto uno studio, durato due anni, fra il 2005 e il 2007, durante il quale hanno diagnosticato nuovamente pazienti già valutati con i tradizionali metodi di “consenso clinico” presso una rete di unità di cura intensiva e cliniche neurologiche dislocate sul territorio del Belgio, scoprendo che alcuni medici specialisti si basavano soltanto su osservazioni qualitative al letto del paziente, altri utilizzavano vecchi strumenti diagnostici, nessuno utilizzava la CRS-R. Risultato: dei 44 pazienti diagnosticati in stato vegetativo da parte dei clinici di cui sopra, ben 18 (cioè il 41% del totale) risultavano in SMC secondo i criteri della CRS-R.
Il nuovo studio di Giacino e colleghi – destinato a far riflettere molti, non solo medici e personale sanitario – è stato pubblicato oggi sulla rivista open access BMC Neurology (Schnakers C et al, Diagnostic accuracy of the vegetative and minimally conscious state: Clinical consensus versus standardized neurobehavioral assessment, BMC Neurol, 21 July 2009).
“Allora perchè i medici adottano ancora una valutazione qualitativa del paziente?” si chiede la Biever . “Il fatto è che i medici si focalizzano tradizionalmente sulla morte o sulla sopravvivenza del paziente, su fattori biologici che richiedono trattamento, su questioni del tipo per quanto tempo è necessario che il paziente resti nell’unità di cura intensiva; insomma, per i loro scopi la distinzione fra VS e SMC è di poca importanza…” le risponde John Whyte del Moss Rehabilitation Research Institute di Philadelphia. Ma per i famigliari la differenza fra VS e SMC è della massima importanza, in funzione delle decisioni relative al possibile trattamento, con farmaci, antidolorifici, stimolazione cognitiva del cervello, tecniche di miglioramento delle capacità comunicative residue.
Fonte – BrainFactor, 21 luglio 2009
Le reazioni registrate con la risonanza magnetica. La cautela degli scienziati
«Il cervello resta cosciente anche in coma vegetativo»
Uno studio inglese riapre il dibattito etico
ROMA – Un urto contro il guard rail, l’ auto che sbanda. Lei sbatte violentemente il capo e cade in un sonno profondo. «Stato vegetativo persistente», scrivono sulla sua cartella i medici di un ospedale britannico. Condizione che significa perdita di coscienza di sé e di consapevolezza dell’ ambiente. La ragazza, 23 anni, apre gli occhi ma non vede, muove la bocca ma solo per emettere suoni incomprensibili. Dopo cinque mesi i neurologi del Medical Research Council di Cambridge misurano il suo stato di «responsività» con la risonanza magnetica funzionale (Rmf). E scoprono che ha reazioni cerebrali del tutto simili alle persone sane. Il suo cervello, stimolato da ricordi piacevoli, si eccita, si accende, quando le si chiede di immaginare di giocare a tennis o girare per casa. La storia viene descritta in un articolo pubblicato sull’ ultimo numero di Science dallo psichiatra Adrian Owen e fornisce nuovi spunti ad un dibattito etico fra i più controversi della medicina moderna.
Quando e se sia giusto negare le cure e il mantenimento artificiale in vita ai malati in coma visto che la scienza è ancora sprovvista di strumenti certi per stabilire se hanno possibilità di risalita. Per Owen «i risultati confermano senza ombra di dubbio che la giovane per quanto in coma vigile fosse coscientemente consapevole di se stessa e dell’ ambiente circostante e dimostrano l’ importanza dell’ uso della Rmf». Ma nel timore di illudere le famiglie di ragazzi in coma, gli esperti aggiungano alla fine una chiarimento fondamentale affinché le conclusioni della ricerca non vengano generalizzate. Una precisazione dettata dal timore delle eventuale conseguenze della ricerca, soprattutto sul piano etico. E insistono sulla profonda differenza tra la ragazza «che ha giocato a tennis nella sua testa» e Terry Schiavo, staccata dalle macchine che la nutrivano e dissetavano dopo 15 anni di stato vegetativo permanente, quindi irreversibile. L’ autopsia ha confermato che per la donna americana non ci sarebbe stata mai più luce, mai più risveglio.
Francesco D’ Agostino, presidente uscente del Comitato nazionale di bioetica, trae dallo studio nuovi argomenti per riaffermare il diritto «costituzionale» di ogni individuo ad essere accudito «fino a che non verrà definito un criterio rigoroso per dimostrare che ha raggiunto un punto di non ritorno alla coscienza». E insiste sul principio di precauzione: «Quando dalle neuroscienze verrà offerto uno strumento certo per decidere se esistono capacità di ripresa allora potremo discutere sulla interruzione delle cure. Non si può intervenire basandosi su dati probabilistici». Adriano Pessina, direttore del centro di bioetica dell’ università Cattolica, sottolinea il legame sempre più stretto tra scienza ed etica: «Vanno di pari passo. Se la scienza è condotta con chiarezza non smentisce le tesi della filosofia che ci dicono che anche le emozioni sono presenti nelle persone la cui lampadina è spenta ma solo perché la luce si è interrotta». Rita Formisano, neurologa dell’ Ircss Fondazione Santa Lucia, ragiona da tecnica: «La novità interessante dello studio di Owen consiste nell’ uso della risonanza magnetica funzionale come strumento per valutare se è in corso un’ evoluzione verso uno stato di minima coscienza. Siamo solo agli inizi.
Mi stupisce però che gli autori non abbiano fatto distinzione tra la diagnosi di stato vegetativo e il cosiddetto locked-in, letteralmente chiuso-dentro, col quale si indica un paziente che pur non muovendo gambe, braccia e bocca, ma solo le palpebre, è tuttavia cosciente ed è dunque prevedibile che possa rispondere agli stimoli». E Paolo Rossini, neurologo del Fatebenefratelli: «Siamo di fronte a un caso di stato vegetativo che è meglio chiamare prolungato e può finire col risveglio specie dopo un trauma». A 5 mesi dall’ incidente e dal trauma cranico la giovane mostrava tutte queste caratteristiche. Occhi aperti, nessuna capacità di contatto con l’ ambiente esterno, ma regolare nel ritmo sonno-veglia. I medici hanno provato anche a sottoporla a test più impegnativi parlandole in modo poco comprensibile e costringendola ad attivare quei percorsi neurali per la decifrazione del linguaggio. Proprio come nei sani. Le fotografie delle zone che si sono accese corrispondevano. COMA «PERSISTENTE» Gianluca Sciortino nel 1992 uscì dal coma ascoltando una canzone di Venditti (insieme nella foto).
Era in uno stato vegetativo persistente COMA «IRREVERSIBILE» L’ americana Terry Schiavo restò in coma permanente per quindici anni. Nel 2005 la Corte diede il via libera all’ eutanasia
Fonte – Corriere della Sera, art. di Margherita De Bac, 9 settembre 2006
Leave a Comment